Gli occhi che brillano, il sorriso luminoso, la forza straordinaria. Chi la guarda non può non essere trascinato dal ritmo e dalla gioia che Katelyn Ohashi trasmette con i suoi esercizi. Le routine che hanno reso (nuovamente) famosa questa ginnasta statunitense sono un antidoto a qualsiasi cattivo umore. Come quella che lo scorso 19 gennaio le è valsa un punteggio di 10 netto e che immediatamente è diventata virale sui social media, con oltre sessanta milioni persone che l’hanno guardata e riguardata saltare e danzare su un medley di vecchie canzoni lasciando commenti estasiati e reclamando la sua presenza alle prossime Olimpiadi.
Non è la prima volta che questa atleta di 21 anni diventa un fenomeno virale. Aveva ottenuto lo stesso risultato, ma un punteggio appena più basso (9.95), lo scorso 25 marzo, con la routine le è valsa la vittoria nel campionato collegiale (l’NCAA, che nel caso di molti sport è seguito quanto il campionato professionistico). Anche in quell’occasione Katelyn era stata in grado di trasmettere una grande forza e una grande gioia. Quelle che lei stessa, in un’intervista a Good Morning America, dice di provare in pedana: “Essere lì con il mio team, la mia allenatrice, vedere le mie compagne danzare con me, mi fa sentire a casa”.
Ma non è sempre stato così.
Katelyn Ohashi, infatti, non è un volto nuovo per gli amanti della ginnastica artistica. Dai dodici a sedici anni ha fatto parte della squadra nazionale di ginnastica artistica. Allora era veramente una speranza olimpica, capace di conquistarsi le copertine di tutti i magazine specializzati e di oscurare il talento della coetanea Simon Biles. A quel tempo tuttavia non c’era la stessa gioia sul suo volto. Per accorgersene basta guardare i video delle competizioni di allora. In quelle immagini si intravede qualcosa che oggi sappiamo essere un grande dolore. E se Katelyn Ohashi è oggi un’atleta in grado di trasmettere gioia di vivere è perché il cammino per ottenerla è stato molto duro.
Il dolore di Ohashi è simile a quello che molti atleti del suo livello si trovano ad affrontare, e a nascondere. È causato dalla pressione insostenibile posta sulle loro spalle da allenatori, media, pubblico; da gravi infortuni e problemi di salute che oltre a provocare dolore fisico diminuiscono la qualità della vita di questi ragazzi; dalla battaglia senza fine contro il body shaming e contro i conseguenti comportamenti autodistruttivi e depressione.
Sono abituata a svegliarmi con il sapore di ferro e sangue in bocca, come se dovessi vomitare dalla fame.
Pensate tutto questo sulle spalle di una bambina di 12 anni o di un adolescente di 14. Non c’è di che stupirsi se abbia provato un grande sollievo quando, a sedici anni, dopo la sua prima e unica competizione senior nel circuito élite, le hanno detto che non sarebbe più stata in grado di gareggiare a livelli da nazionale. Si è anche sentita però privata del suo mondo.
Per fortuna lo ha ritrovato quando ha deciso di iscriversi alla University of California Los Angeles e unirsi a una delle migliori squadre di ginnastica degli Stati Uniti: le Ucla Bruins, guidate da 36 anni a questa parte da Valorie Kondos Field a.k.a “Miss Val“, una vera leggenda nel mondo della ginnastica collegiale (che purtroppo ha annunciato il suo ritiro a fine stagione).
“Durante il suo primo anno di college, (Katelyn) si presentò: dicendo ‘non voglio mai più essere forte come prima’. Cercai di capire meglio cosa ci fosse dietro questa affermazione e fu lì che lei confesso: ‘quando ero grande non c’era niente che mi desse gioia ed ero profondamente infelice. Perché dovrei voler tornare a quella condizione?’”, ricorda Miss Val.
Nei passati tre anni, grazie al lavoro con la sua nuova allenatrice e con le sue compagne di squadra, Katelyn Ohashi ha ritrovato la voglia di essere grande e si è nuovamente innamorata del suo sport. Anche l’ambiente del college ha influito molto sulla sua rinascita. Le lezioni e la vita al di fuori della palestra le hanno dato la prospettiva e la sicurezza necessarie per portare alla luce e combattere un’altra delle ombre sul suo cammino: le voci che da sempre le dicono che è troppo “grossa e grassa”, che deve perdere peso, che il suo aspetto non è quello che “dovrebbe avere” una ginnasta.
Questa battaglia la giovane atleta la combatte soprattutto attraverso il blog “Behind the Madness”, che condivide con una sua amica e collega ginnasta.“È cominciata quando avevo 13 anni e pesavo poco più di 30Kg”, scrive. “Mi dicevano che sembravo un elefante o un maiale (…). Se un giorno apparivo più gonfia dovevo correre e fare condizionamento muscolare per sudare e apparire “pronta” a cominciare l’allenamento (…). Ancora oggi ricevo commenti su Instagram e YouTube che fanno riemergere i ricordi di quando non avevo fiducia nel mio corpo, quando la mia autostima veniva diminuita da ogni critica”.
Le parti in cui il dolore è più tangibile sono quelle in cui la ginnasta riporta estratti dai suoi diari di bambina-atleta nazionale: “Da quando sono entrata in nazionale ho sentito la pressione di essere all’altezza dello stereotipo del fisico della ginnasta (…). Sono abituata a svegliarmi con il sapore di ferro e sangue in bocca, come se dovessi vomitare dalla fame (…). So che la bulimia non è una pratica sana ma potrebbe essere la mia unica possibilità”. Per fortuna oggi Katelyn Ohashi la vede diversamente, sa che è proprio il suo corpo forte a rendere possibili quei salti e quelle evoluzioni in pedana.
È essere in grado di uscire dalla pedana con un sorriso e sentendomi contenta di me stessa.
Pressione a essere la migliore, body shaming… sembrerebbe abbastanza, ma a rendere più difficile il suo cammino ci si sono messe anche due malattie croniche con cui convivere: la colite ulcerosa (di cui soffre anche il nuotatore Simone Sabbioni) e il granuloma anulare. Quest’ultima è una malattia rara cronica della pelle, ed è la prima che ha fatto la sua comparsa, una mattina del 2008, sul bicipite sinistro di Ohashi. I medici le avevano detto che sarebbe scomparso nel giro di tre anni, in compagnia di molti altri comparsi sul resto del corpo nei passati dieci anni.
La diagnosi di colite ulcerosa è invece arrivata nel 2016 dopo mesi di sintomi dolorosi e allarmanti come sangue nelle feci, dolori addominali, vomito: “Ho cominciato ad avere movimenti intestinali incontrollabili, dovevo sempre portarmi dietro un cambio, ci sono state volte in cui ero molto vicina a un bagno, ma non vicina abbastanza, e volte in cui ho rinunciato ad andare in palestra, per la paura di ‘avere un incidente’ durante uno dei miei salti”.
Sembra dunque incredibile guardare le routine di Katelyn Ohashi oggi e non trovare traccia di questo dolore. Certo, alcuni degli ostacoli che le impedivano di provare la gioia che oggi trasmette se li è lasciati alle spalle, ma la maggior parte sono sempre in agguato pronti a farle lo sgambetto quando meno se lo aspetta. Ma come lei stessa racconta a The Players Tribune, ora ha un’arma in più rispetto all’adolescente di qualche anno fa: “Ho trovato la mia fonte di gioia (…). Non è il risultato. Non è salire sul podio e vincere una medaglia. È essere in grado di uscire dalla pedana con un sorriso e sentendomi contenta di me stessa”.