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Il destino di Hakeem, da stella del calcio a prigioniero politico


È un calciatore il protagonista di questa storia. Ma questa non è una storia di sport, quanto più di politica, di religione, di diritti umani negati, di alleanze strategiche e di conti che non tornano. È la storia di Hakeem Al-Araibi che oggi, dopo 76 giorni di prigionia, abusi e paura è tornato a casa. Non in Bahrain, ma in Australia, dove è stato accolto dopo essere fuggito dal suo Paese e che lui stesso al suo arrivo a Melbourne ha chiamato: “la mia patria”.

Ma chi è e perchè è finito in prigione in Thailandia, Hakeem Al Araibi? È un ragazzo di 25 anni, ex stella della nazionale di calcio del Bahrain ora in forze al Pascoe Vale Football Club di Melbourne. Ma è anche un dissidente. Marchiato come tale perchè, insieme a molti suoi compagni di squadra, altri atleti e alla maggior parte della popolazione dello stato, che conta un totale di un milione di persone ed è composta al 75 per cento di sciiti, è sceso in piazza quando la primavera Araba ha raggiunto il Bahrain nel febbraio 2011.

Cinque anni fa, quasi precisi, sono cominciate le proteste con la “Rivolta del 14 febbraio” o “Rivolta delle perle”, dal nome della piazza in cui si sono riversati i manifestanti: Piazza delle perle, a Manama. Rivolta repressa nel sangue da parte di militari agli ordini della famiglia reale, la dinastia sunnita di Al Khalifa, che porta avanti da sempre politiche restrittive nei confronti degli sciiti: minimo accesso a posti di lavoro e risorse economiche e sociali.

Si sono contati quattro morti quel 14 febbraio, numero salito a 30 nei giorni e nelle settimane successive. Centinaia sono stati i feriti e i detenuti sottoposti a torture e processi sommari. Primi tra tutti atleti e calciatori, come il capitano della nazionale A’ala Hubail e suo fratello: volti noti e amati, la loro sorte sarebbe servita da esempio, come spiega molto bene questo video di Tifo Studios, e ancora meglio il documentario di Espn “The Athletes of Bahrain”.

Hubain e il fratello sono stati identificati tra i manifestanti e nell’aprile 2011 arrestati e torturati prima di riuscire a fuggire in Oman. “Insieme a loro, altre figure rilevanti del panorama sportitvo sono state arrestate, oltre 100 funzionari delle associazioni sportive, arbitri, giocatori di calcio, pallamano e pallavolo delle squadre nazionali e dei club locali sono stati sospesi e banditi dalle competizioni internazionali”, racconta Tahiyya Lulu sulle pagine del Guardian.

Hakeem è stato arrestato invece l’anno seguente. Anche lui incarcerato e picchiato brutalmente alle gambe, quasi a fare in modo che non potesse giocare mai più. L’accusa: aver partecipato a proteste contro il regime e aver vandalizzato una stazione di polizia. Questo è il primo conto che non torna: nel giorno del presunto attacco, Al-Araibi era in campo, a giocare una partita di campionato trasmessa in televisione. Hakeem ha trascorso tre mesi in carcere prima di riuscire a fuggire.

Hakeem rappresenta chiunque soffra sotto una tirannia.

Nel 2014 è arrivato in Australia dove gli è stato garantito lo status di rifugiato politico e dove ha cominciato una nuova vita. Nel frattempo in patria è stato processato in contumacia e condannato a 10 anni di carcere. A pesare sul suo destino non solo le accuse del 2012, ma anche le dure critiche nei confronti di Salman Bin Ibrahim Al-Khalifa durante la campagna elettorale per la presidenza della Fifa nel 2016.

In interviste a Espn e al New York Times infatti, Al-Araibi ha accusato Al-Khalifa, influente esponente della famiglia reale, già presidente della Federazione calcistica del Bahrain e dal 2013 presidente dell’Asian Football Association, di non aver protetto i calciatori della sua federazione. Al contrario, il dirigente bahranita ha fatto dell’identificare e perseguitare gli sportivi coinvolti nelle proteste una priorità. A essere eletto presidente è poi stato Gianni Infantino, ma Salman Bin Ibrahim Al-Khalifa è comunque diventato vice presidente della commissione disciplinare.

Il Bahrain non ha dimenticato Al-Araibi e ha aspettato pazientemente che si presentasse l’occasione giusta: consapevole dell’imminente viaggio del calciatore, l’8 novembre scorso il ha chiesto all’Interpol di diffondere una cosiddetta red notice a carico del giocatore. Ed ecco il secondo conto che non torna: questa red notice sarebbe dovuta essere “rifiutata” in virtù dello status di rifugiato politico di Hakeem. Non è chiaro se sia stato un problema di comunicazione, un’omissione voluta, o un banale errore, fatto sta che quando il 27 novembre è atterrato a Bangkok per la sua luna di miele, è stato immediatamente arrestato e una richiesta di estradizione è stata subito inoltrata dal governo del Bahrain.

A quanto pare, infatti, perlomeno stando a quanto dichiarato da alcuni funzionari di polizia vietnamiti, l’ordine di arrestare il giocatore era arrivato già prima che questi arrivasse.

Ed ecco il terzo conto che non torna. Accertato lo status di rifugiato politico, Hakeem avrebbe dovuto, nella peggiore delle ipotesi, essere rispedito in Australia. E per un soffio, come racconta il Canberra Times non è stato così. Aveva in mano passaporto e biglietto, era in attesa di imbarcarsi, quando è stato nuovamente prelevato e incarcerato.

È bene ricordare che una red notice non è un mandato di arresto internazionale, è una richiesta di aiuto a localizzare e arrestare un ricercato. Inoltre, darle seguito non è obbligatorio, ma una scelta volontaria di ogni paese. Tuttavia, come ricorda Sbs News, Thailandia e Bahrein hanno fortissimi legami bilaterali dovuti ad amicizie tra membri delle rispettive famiglie reali e soprattutto a notevoli interessi economici e finanziari che vanno da hotel di lusso, a infiniti centri commerciali, al ruolo di intermediario commerciale del Bahrain tra la Thailandia e l’Arabia Saudita.

Fortunatamente il governo australiano si è messo immediatamente in moto per richiedere la liberazione del calciatore e sin da subito si sono attivate associazioni internazionali dei diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch che hanno dato enorme risonanza alla vicenda e hanno messo risorse legali a disposizione del calciatore.

Il lobbying politico internazionale e delle associazioni di diritti umani ha portato i suoi frutti e ieri il procuratore generale Chatchom Akapin ha chiesto di terminare il procedimento contro il calciatore: “Questa mattina il ministro degli affari esteri mi ha informato che il Bahrain non è più interessato alla richiesta di estradizione”, ha detto. In mattinata Hakeem è stato liberato e nella mattina (australiana) di oggi è arrivato a Melbourne dove ha trovato ad accoglierlo supporter, tifosi, media e soprattutto la moglie, i suoi compagni di squadra, e Craig Foster.

Vogliamo un’indagine completa sulla questione sia da parte della Fifa che del CIO per garantire che la giustizia sia fatta per tutti gli atleti, non solo Hakeem.

Il calciatore australiano ex nazionale è stato fondamentale nel non far cadere l’attenzione internazionale e a mobilitare in un processo a cascata figure sportive di rielievo internazionale, da Ian Thorpe a Didier Drogba (persino Giorgio Chiellini si è espresso in proposito).

Foster non ha smesso per un solo giorno di chiedere la liberazione di Hakeem e all’indomani della sua liberazione ha ringraziato in una lettera sul Guardian chiunque si sia speso, senza però risparmiare parole dure contro la Fifa, che si è mossa in favore del calciatore solo con enorme ritardo (probabilmente a causa del ruolo prominente di Salman Bin Ibrahim Al-Khalifa e di altri paesi della regione, come l’Arabia Saudita, nelle politiche del calcio contemporaneo). “Il primo passo è stato salvare la vita di Hakeem, il prossimo sarà chiedere conto agli organismi di gioco (ndr, la Fifa) della loro risposta, o meglio della sua mancanza di risposta (…). Questo episodio ha portato alla luce le atrocità commesse contro gli atleti in Bahrain tra il 2011 e il 2012 e vogliamo un’indagine completa sulla questione sia da parte della Fifa che del CIO per garantire che la giustizia sia fatta per tutti gli atleti, non solo Hakeem”, scrive Foster.

Abbiamo combattuto per un solo uomo, perchè Hakeem rappresenta chiunque soffra sotto una tirannia”, ha detto Foster all’aeroporto. “Vederlo qui oggi dice molto della forza di carattere, dei valori, dell’orgoglio che abbiamo in quanto australiani”. Una storia finita bene, c’è solo da esserne contenti. C’è però un ultimo conto che non torna: il destino di altri rifugiati che arrivano in Australia. Ora che questo rifugiato è salvo, forse è tempo che i valori e la forza di carattere messi in campo per Hakeem siano spesi per i bambini rifugiati, i richiedenti asilo e le loro famiglie imprigionati nel campo dell’isola di Nauro.