“America’s public enemy number one is drug abuse”. La voce – sottolinea il giornalista Matteo Bordone – è quella “potente” di Richard Nixon, presidente degli Stati Uniti, che nel 1971 prometteva una battaglia senza quartiere e “worldwide” – su scala planetaria – per sconfiggere la dipendenza da sostanze.
Dopo undici anni – sconfessando l’approccio della presidenza Carter – un altro presidente repubblicano, Ronald Reagan, chiariva il proprio punto di vista: la tossicodipendenza non è una questione sociale ma un problema che riguarda le scelte personali. Alla first lady Nancy Reagan era riservato il compito di parlare direttamente alle coscienze dei giovani e alle famiglie, con toni più concilianti e persuasivi e raccomandando prudenza e giudizio. L’occasione di parlare della questione delle dipendenze e in particolare della “crisi degli oppioidi” viene da una serie di cinque puntate del podcast Tienimi Bordone, uno dei progetti di maggior successo de Il Post, tra i media più innovativi non soltanto a livello italiano. “C’è sempre chi vende e c’è sempre chi compra” e questo aspetto centrale – osserva Bordone – rende particolarmente difficile la lotta di contrasto alle dipendenze: osservare questo terribile fenomeno anche analizzando la visione e le politiche dei presidenti statunitensi dà la possibilità di aggiungere porzioni di conoscenza importanti sia sull’atteggiamento delle classi dirigenti sia sulla trasformazione del mercato della droga.
Chi è Matteo Bordone? | La biografia su Wikipedia racconta la sua ricca esperienza di autore radiofonico e televisivo – con la partecipazione a molte edizioni del programma X-Factor – e di esperto sperimentatore e utilizzatore degli strumenti della comunicazione online (ha vinto il premio come migliore blog personale ai Macchianera Blog awards 2010 nell’ambito del Blogfest di Riva del Garda per il suo blog Freddy Nietzsche). Dal 2 settembre 2019 tiene il podcast quotidiano Tienimi_Bordone per gli abbonati al giornale online Il Post. Ma perché Bordone ha voluto dedicare i podcast di un’intera settimana alla crisi degli oppioidi sofferta dagli Stati Uniti? La risposta è sia nella gravità del problema sia nell’attualità: il Leone d’oro per il miglior film alla Mostra del cinema di Venezia 2022 è stato vinto da “All the Beauty and the Bloodshed,” diretto da Laura Poitras (1). ll film racconta la battaglia di Nan Goldin – fotografa molto conosciuta per i suoi lavori di documentazione sociale e straordinaria osservatrice della realtà nordamericana – contro Purdue Pharma e i proprietari di quell’azienda: i discendenti di Mortimer e Raymond Sackler, due dei tre fratelli medici che hanno trasformato una piccola azienda in un colosso farmaceutico. Se vogliamo approfondire, qui c’è un approfondimento del New York Times (2).
Purdue Pharmaceutical deve la propria fortuna al medicinale OxyContin approvato negli Stati Uniti dalla Food and Drug Administration nel 1995. Fino al 2020, le vendite di OxyContin avevano raggiunto un valore tra i 30 e i 50 miliardi di dollari, spiegavano i due reporter Jared Hopkins e Andrew Scurria sul Wall Street Journal (3). Non è un errore: parliamo di miliardi di dollari. Con un utile per la proprietà valutabile tra i 12 e i 13 miliardi di dollari. Come altri farmaci oppioidi, anche OxyContin non ha soltanto un’azione antidolorifica ma può indurre una sensazione di euforia e può dare assuefazione: in altre parole, chi lo assume ha bisogno di dosi crescenti di principio attivo per raggiungere l’effetto desiderato. “Per i consumatori può essere difficile interromperne l’uso perché ne diventano fisicamente dipendenti e patiscono tremendi sintomi di astinenza nel momento in cui provano a smettere” spiegano Anne Case e il premio Nobel per l’economia Angus Deaton nel libro Morti per disperazione e il futuro del capitalismo (4): “tra questi vomito, diarrea, sudorazione, insonnia, crampi e l’esperienza nota tecnicamente come parassitosi delirante o formicazione (ahimè la m non è un errore di battitura) ovvero la sensazione che formiche o insetti vari striscino sotto l’epidermide”.
Ma torniamo a Nan Goldin: quando viveva a Berlino, nel 2014, iniziò a soffrire di tendinite al polso e il medico le prescrisse 40 milligrammi al giorno di OxyContin. Alla fine fu necessario un intervento chirurgico, nonostante la dose giornaliera fosse arrivata a 450 milligrammi al giorno, ottenendo prescrizioni da più medici e infine rivolgendosi a uno spacciatore a New York che le spediva le pillole tramite FedEx. Dopo anni di OxyContin, Goldin ha ceduto all’eroina e ad altre sostanze spacciate nelle strade cittadine. Con molto sforzo, l’artista è riuscita a uscire dalla dipendenza anche grazie a un progetto molto personale col quale intende rendere la vita impossibile ai proprietari di Purdue Pharma. Il gruppo fondato da Goldin – Prescription Addiction Intervention Now, o P.A.I.N. — ha esortato i musei a rifiutare le donazioni della famiglia Sackler che hanno elargito in passato decine di milioni di dollari a istituzioni come il Victoria and Albert Museum, l’American Museum of Natural History, la Solomon Guggenheim Foundation e la Dia Arts Foundation: che finanziassero invece centri di riabilitazione, prevenzione delle ricadute e percorsi di cura delle dipendenze, sostiene Goldin. Che pubblicizzassero i pericoli degli oppioidi o formassero i medici per evitare che continuino a prescrivere farmaci non necessari.
“I Sackler hanno fatto fortuna promuovendo la dipendenza. L’OxyContin è uno degli antidolorifici che creano maggiore dipendenza nella storia della farmacologia. Hanno pubblicizzato e distribuito il loro farmaco conoscendone tutti i pericoli” – Nan Goldin
Più morti che nelle guerre mondiali
L’epidemia di oppioidi è una delle peggiori crisi sanitarie sofferte dagli Stati Uniti e il Canada: quasi 600.000 persone sono morte per overdose da oppioidi in questi due Paesi in vent’anni e si stima che entro il 2029 le cifre potrebbero raddoppiare. Nel 2015 a 98 milioni di statunitensi erano stati prescritti oppioidi: un terzo di tutte le persone adulte. Nel complesso, fino al 2017 l’epidemia da farmaci oppioidi aveva causato negli Stati Uniti un numero maggiore di morti rispetto a quello registrato nelle due guerre mondiali del Novecento (4). Va poi considerato che per ogni morte ci sono cento tossicodipendenti, oltre trenta visite al pronto soccorso causate da sovradosaggio, abuso o uso improprio di oppiacei, dieci delle quali portano a un ricovero ospedaliero. È un’epidemia iniqua che colpisce prevalentemente le persone non laureate e, da quando è iniziato il mercato illegale con la riduzione dei prezzi dei farmaci, di origine ispanica. In questo contesto, il lavoro della Commissione Stanford-Lancet sull’epidemia di oppioidi in Nord America, pubblicato il 5 febbraio, ha tracciato un piano d’azione per ridurre la crisi (5). Sebbene il Nord America rimanga il centro della crisi degli oppioidi, il rischio di un’emergenza analoga è una preoccupazione crescente per la sanità pubblica nel Regno Unito, dove quasi la metà di tutti i decessi da assunzione di farmaci coinvolge oppiacei come eroina e morfina. “Inoltre, tra il 1998 e il 2016, le prescrizioni di oppioidi sono aumentate del 34% in Inghilterra, mentre i ricoveri ospedalieri legati agli oppioidi sono aumentati del 48-9% tra il 2008 e il 2018, con un costo sanitario stimato di 137 milioni di sterline.
“Non so in quante aule in diverse parti del mondo ho tenuto conferenze che portavano il nome dei Sackler”, ha detto Allen Frances, in passato direttore della clinica psichiatrica della Duke University School of Medicine al New Yorker (6). “Il loro nome è stato presentato come simbolo dei frutti positivi del sistema capitalistico. Ma, a ben vedere, hanno guadagnato questa fortuna a spese di milioni di persone che hanno sviluppato dipendenza. È sconvolgente come siano riusciti a farla franca”. La testimonianza di Frances – psichiatra molto noto anche per aver curato diverse edizioni del manuale diagnostico di psichiatria (il DSM) – è da leggere nel contesto di un approfondimento che sottolinea un aspetto chiave del problema: la crisi dei farmaci oppioidi è stata inizialmente innescata da un cambiamento nella cultura della prescrizione dei medicinali da parte dei medici statunitensi, un cambiamento accuratamente pianificato da Purdue. “Se si osservano le tendenze di prescrizione di tutti i diversi oppioidi, è nel 1996 che la prescrizione decolla”, dice Andrew Kolodny, condirettore della Opioid Policy Research Collaborative della Brandeis University. Esattamente l’anno in cui Purdue ha lanciato una campagna multicanale che ha disinformato la comunità medica sui rischi da dipendenza insiti nell’assunzione di OxyContin.
Omissioni e porte girevoli: gli ingredienti di una sanità malata
Il lavoro di Bordone è accurato e spiega bene anche all’ascoltatore che non conosce l’ambiente della sanità come possa accadere che il marketing presenti un prodotto tacendone alcune caratteristiche tanto peculiari quanto pericolose. Prima di commercializzare OxyContin, Purdue ha condotto dei focus group con dei medici venendo a conoscenza che il maggior timore che avrebbe potuto impedire un uso diffuso del farmaco era la preoccupazione radicata per il potenziale di abuso degli oppioidi. La strategia dell’azienda avrebbe dunque seguito binari diversi. Da un lato, l’alleanza con opinion leader come Russell Portenoy, del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, che iniziarono a sottolineare come il dolore cronico non trattato fosse un’emergenza nazionale e che il ricorso agli oppioidi fosse la soluzione del problema: “C’è una letteratura crescente che dimostra che questi farmaci possono essere usati per molto tempo, con pochi effetti collaterali” dichiarava Portenoy nel 1993 (6). Si trattava di un “dono della natura” ed era necessario azzerare lo stigma che ne limitava l’uso. Sull’onda di questa campagna, nel 1997 l’American Academy of Pain Medicine e l’American Pain Society pubblicarono una dichiarazione sull’uso degli oppioidi per il trattamento del dolore cronico redatta da un comitato presieduto da J. David Haddox, un esperto pagato da Purdue.
Nessuno studio clinico che approfondisse la possibile dipendenza o sulla tendenza all’abuso del farmaco era stato condotto prima dell’approvazione del medicinale, spiega Bordone. Ma questo non trattenne la FDA dall’approvare un foglietto illustrativo di OxyContin che comunicava che il farmaco era più sicuro degli altri antidolorifici perché il meccanismo brevettato di assorbimento ritardato riduceva le possibilità di un abuso del prodotto. Il responsabile del processo di valutazione dell’agenzia governativa, Curtis Wright, lasciò la FDA poco dopo: nel giro di due anni iniziò a lavorare in Purdue. “La commercializzazione dell’OxyContin si è basata su un circolo vizioso” sintetizzava Patrick R. Keefe, reporter del New Yorker e autore di un libro fondamentale sul dramma dell’OxyContin (7): “l’azienda ha convinto i medici della sicurezza del farmaco con la letteratura prodotta da medici pagati o finanziati dall’azienda”. Una storia già vista che nostra come talvolta i determinanti commerciali della salute – o, meglio, della malattia e della disperazione – siano da ricercare e da estirpare all’interno stesso del sistema sanitario.
Bibliografia
1. Rapold N. ‘All the beauty and the bloodshed’ wins best film at the Venice film festival. New York Times 2022; 10 settembre.
2. Moynihan C. Don’t call her a victim. New York Times 2018; 22 gennaio.
3. Hopkins JS, Scurria A. Sacklers received as much as $13 billion in profits from Purdue Pharma. Wall Street J 2019; 4 ottobre.
4. Case A, Deaton A. Morti per disperazione e il futuro del capitalismo. Bologna: Il Mulino, 2021.
5. Opioid overdose crisis: time for a radical rethink. Lancet Public Health 2022; marzo 2022.
6. Keefe PR. The family that built an empire of pain. The New Yorker 2017; 23 ottobre.
7. Keefe PR. Empire of pain: The secret history of the Sackler dynasty. New York City: Doubleday, 2021.
Questo post è il terzo di una serie dedicata ai determinanti commerciali della salute. La prima uscita puoi leggerla qui “Aranciate amare”, mentre la seconda qui “Bevi che non ti passa”.