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Vaccino per il coronavirus: conflitto tra scienza e politica e non solo


Gli uomini politici sembrano desiderare più di chiunque altro che un vaccino contro Covid-19 sia presto disponibile. Putin ha annunciato il vaccino Sputnik-V lo scorso 11 agosto: valutato su animali e su due gruppi composti ciascuno da 38 volontari, sembra abbia saltato la fase 2 per arrivare ad essere distribuito già prima della fine dello stesso mese di agosto. Molto precoce anche il risultato dell’Accademia militare cinese di scienze mediche che per prima ha pubblicato su una rivista indicizzata i risultati di uno studio su un nuovo vaccino. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, poi, si è detto sicuro di poter avere un vaccino prima “di una fatidica data” (il 3 novembre, giorno delle elezioni statunitensi), per poi precisare che entro aprile 2021 ci saranno dosi per tutti i cittadini a stelle e strisce. Per non essere da meno dei grandi della terra, anche il ministro della salute Roberto Speranza ha voluto rassicurare gli italiani:Prime dosi entro l’anno”.

Non volendo sottolineare la scarsa prudenza di queste personalità politiche, va detto che trattandosi di un’emergenza sanitaria che interessa tutto il mondo, “la capacità di produzione dovrebbe essere garantita prima del termine degli studi clinici e ripartita globalmente per garantirne anche un’equa distribuzione”, come spiega correttamente l’Agenzia regionale di sanità della Toscana. In altre parole, è già partita la produzione dei vaccini in corso di sperimentazione, perché solo in questo modo sarebbe possibile garantire una fornitura tempestiva ai sistemi sanitari se i risultati dei trial fossero positivi. Quindi, possiamo pensare che dicendo che le prime dosi del vaccino saranno disponibili entro l’anno si potrebbe voler dire che saranno nei magazzini del Ministero della Salute, senza poter essere distribuite, però, prima della conclusione delle sperimentazioni.

Sperimentazioni che hanno qualche problema, almeno nei Paesi dove è possibile controllarne l’andamento. Sono due i casi di reazione avversa tra i volontari sani che stanno partecipando alla sperimentazione del vaccino di AstraZeneca nello studio coordinato dalla Università di Oxford. Due donne, entrambe “arruolate” in Gran Bretagna, uno dei paesi dove il vaccino è sperimentato, oltre che negli Stati Uniti, in Brasile, in India e in Sudafrica. A oggi, 20 settembre 2020, le sperimentazioni sono ripartite, ma non negli Stati Uniti. Questa doppia battuta d’arresto ha portato a una ventata di trasparenza che ha resi noti i protocolli di diverse sperimentazioni da parte delle aziende sponsor.

Il rilascio di questi protocolli sembra una conseguenza delle pressioni dell’opinione pubblica per farlo” , ha detto Natalie Dean al New York Times. Biostatistica ed esperta nel disegno di studi clinici per i vaccini presso l’Università della Florida, ha sottolineato come quella attuale sia una situazione senza precedenti: La fiducia del pubblico è una parte fondamentale” nell’accesso alle vaccinazioni una volta che queste fossero disponibili. Eppure non solo i vaccini sono ancora in corso di sperimentazione, ma l’opinione pubblica statunitense si mostra poco convinta dell’affidabilità dei prodotti attualmente studiati.

Le preoccupazioni dei cittadini ha suggerito maggiore trasparenza anche ad altre aziende che stanno sperimentando altri vaccini: anche Moderna e Pfizer hanno pubblicato i protocolli dei loro studi che di solito sono interamente disponibili solo dopo la conclusione delle sperimentazioni nonostante gli elementi fondamentali siano pubblicati in database aperti come per esempio ClinicalTrials.gov/ Chi fosse curioso di vedere i dati essenziali di uno studio come presentati in una banca dati può dare un’occhiata a quelli del trial del vaccino di AstraZeneca.

La fiducia del pubblico è una parte fondamentale.

La decisione delle aziende può sembrare un atto dovuto: dopotutto, si tratta di sperimentazioni per le quali i finanziamenti statali (anche in forma di preacquisto di dosi di vaccino) sono ingenti. Eppure, la scelta di AstraZeneca, Moderna e Pfizer è stata pubblicamente elogiata da personalità importanti della medicina internazionale e ricercatori indipendenti come Eric Topol, direttore di Medscape, e Peter Doshi, della redazione del British Medical Journal. Si tratta di un appoggio molto significativo, soprattutto se pensiamo che Topol è l’autore di una lettera aperta al direttore dell’agenzia regolatoria statunitense, Stephen Hahn, in cui lo invitava ad esporsi in merito alle pressioni del presidente Trump sull’agenzia federale, la Food and Drug Administration: “Di’ la verità o rassegna le dimissioni”. Il secondo, Peter Doshi, oltre ad essere una delle firme di punta del giornalismo scientifico investigativo della rivista della British Medical Association, è tra i promotori della campagna per la trasparenza dei dati degli studi sull’oseltamivir, farmaco antivirale tanto inefficace quanto estesamente acquistato dai servizi sanitari di numerose nazioni.

Uno dei punti di maggiore interesse e al centro dell’attenzione dei ricercatori e dei clinici indipendenti è la data di chiusura degli studi perché da questa dipende ovviamente il percorso verso l’autorizzazione e l’immissione in commercio dei prodotti. “Il protocollo di Pfizer non sembra stimare quando i suoi risultati potrebbero essere disponibili”, leggiamo sul NewYork Times.Il suo amministratore delegato ha detto più volte che la società spera di avere una risposta già a ottobre. Moderna ha detto solo che potrebbe avere un risultato entro la fine dell’anno. Il protocollo di 135 pagine di Moderna indica che la prima analisi dell’azienda sui dati dei primi studi potrebbe non essere condotta fino alla fine di dicembre, anche se i funzionari dell’azienda ora dicono di aspettarsi l’analisi preliminare a novembre. In ogni caso, potrebbero non esserci informazioni sufficienti per determinare se il vaccino funziona, e l’analisi finale potrebbe non avvenire fino a mesi dopo, verso la primavera del prossimo anno”. Ma cosa sono queste “analisi preliminari” e perché sono così importanti?

Il disegno dei vari studi di sperimentazione dei vaccini è diverso, come del resto sono differenti anche i vaccini sperimentati. Uno dei punti fondamentali da considerare è la soglia oltre la quale un vaccino è giudicato efficace, soglia che l’ente statunitense che regola i farmaci ha stabilito al 50 per cento. In poche parole, per dimostrare di funzionare un vaccino deve garantire almeno il 50 per cento di protezione in più del placebo (qui trovi la guidance della Food and Drug Administration). Un dato più conservatore di quello suggerito da alcuni autori per i quali solo un vaccino col 70-80 per cento di efficacia potrebbe rendere superfluo il distanziamento fisico. Si potrebbe accettare un vaccino con un’efficacia minore solo prevedendo che l’intera popolazione – o quasi – sia intenzionata a vaccinarsi. Per contestualizzare questi numeri, consideriamo che la vaccinazione per il morbillo ha un’efficacia del 95-98 per cento e quella antinfluenzale varia tra il 20 e il 60 per cento a seconda delle stagioni (dal momento che la composizione dell vaccino viene aggiornata ogni anno a seconda dei dati raccolti dall’Organizzazione mondiale della sanità).

Tornando alla domanda di prima (cosa sono queste “analisi preliminari”?) le analisi ad interim permettono di monitorare l’andamento degli studi verificando efficacia e sicurezza prima del completamento del trial. Però, consentono anche ai Data Safety Monitoring Board composti da esaminatori indipendenti di fermare lo studio qualora fosse dimostrata una chiara efficacia, essendo non etico privare il gruppo di controllo di un vaccino utile. Il protocollo di AstraZeneca prevede che lo studio possa essere soggetto ad analisi preliminare ed eventualmente interrotto quando si siano verificati anche solo 75 casi di covid-19 distribuiti tra i due gruppi di volontari. Nello studio di Moderna i casi necessari per la prima analisi ad interim sono 53 tra le decine di migliaia di persone che partecipano alla sperimentazione – distribuiti tra i gruppi vaccinati e placebo – e 32 nel caso del trial Pfizer. Sono numeri molto piccoli soprattutto se l’obiettivo è quello di monitorare la sicurezza del vaccino.

L’approvazione dovrebbe dipendere dalla comprovata efficacia a breve e lungo termine contro la malattia e da dati di sicurezza completi.

Poiché i vaccini vengono somministrati a persone sane e, durante la pandemia covid-19, potenzialmente a tutti dopo l’approvazione dopo gli studi di fase 3, la sicurezza è fondamentale, osservano gli autori di un commento uscito sul Lancet Infectious Disease. “L’approvazione dovrebbe dipendere dalla comprovata efficacia a breve e lungo termine contro la malattia e da dati di sicurezza completi. La garanzia della sicurezza richiederà quindi un’ulteriore sorveglianza su larga scala dopo l’immissione in commercio. Tale sorveglianza non è ben consolidata in molti contesti e devono essere compiuti rapidi sforzi da parte dei governi, delle autorità di regolamentazione e dei finanziatori della ricerca per mettere in atto questi sistemi”.

Per quanto possa apparire paradossale, la sollecitazione delle industrie farmaceutiche va nella stessa direzione di prudenza sollecitata da ricercatori indipendenti. Come sottolineano due grandi esperti di farmacoepidemiologia, Jerry Avorn e Aaron S. Kesselheim sul New England Journal of Medicine, “l’impegno dei produttori stabilisce che qualsiasi domanda alla FDA per l’approvazione di un vaccino o per il suo uso in condizioni di emergenza richiederà dati che dimostrino sicurezza ed efficacia attraverso uno studio clinico di fase 3 progettato e condotto per soddisfare i requisiti espressi da parte di autorità regolatorie esperte come [la] FDA”. Insomma, osservano Avorn e Kesselheim, “da un punto di vista legale, l’impegno degli amministratori delegati delle industrie di trattenersi dal chiedere prematuramente l’autorizzazione all’immissione in commercio (di un vaccino) potrebbe portare alla situazione insolita del governo che chiede la rapida approvazione di un prodotto anche se il suo produttore rifiuta di richiedere tale approvazione”.

Insomma, in un mondo sottosopra – come sottolinea il titolo del commento del New England – si confondono i ruoli dei giocatori e delle forze in campo. Un ottimo servizio della rete televisiva CBS mostrava il direttore dei Centers for Disease Control and Prevention (la massima autorità di sanità pubblica statunitense) prendersi gioco degli annunci del presidente Trump in merito ai vaccini, sottolineando come la migliore misura di prevenzione sia indossare correttamente la mascherina.

Ma il conflitto non è solo tra Scienza e Politica, come conferma la tensione esistente tra la FDA – ricordiamo: l’agenzia regolatoria dei medicinali degli Stati Uniti – e la persona che negli Stati Uniti ricopre il ruolo di ministro della salute, Alex M. Azar II (secretary of health and human services). È di pochi giorni fa il divieto da lui espresso nei confronti della FDA di firmare qualsiasi nuova regola in tema di alimenti, farmaci, dispositivi medici. E vaccini.

Insomma, almeno fino al 3 novembre, il boccino deve restare nelle salde – e imprevedibili – mani di Donald Trump.