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Una colazione salata ci salverà?


“Regolare la curva del glucosio è l’azione più efficace che possiamo fare per la nostra salute”. Per capire questa affermazione contenuta nel libro “La rivoluzione del glucosio” di Jessie Inchauspé occorre partire da un po’ più lontano: occorre capire cosa è il glucosio, dove si trova, perché può diventare dannoso per la nostra salute e cosa sono i picchi glicemici.

Bene, cominciamo. Il glucosio è la principale fonte di energia per le cellule del corpo umano, viene trasportato dal sangue e il modo più semplice che abbiamo per procurarcelo è tramite il cibo, anzi tramite i carboidrati. Ora, attenzione. Comunemente sono indicati come carboidrati i cibi ricchi di amido come pasta, pane, riso, patate, ma, “ma”, carboidrati sono anche le verdure che contengono una parte di amido e una parte, anzi una gran parte, di fibra e acqua. E carboidrati sono anche gli zuccheri così detti “semplici”, ossia glucosio, fruttosio e saccarosio. Per comodità, poi, si è finito per indicare come carboidrati “solo” i cibi ricchi di amido (quindi appunto, la pasta, il pane, la pizza, il riso, i cereali, ecc. ecc.), ma sarebbe bene tenere a mente che nel nostro corpo l’amido di questi alimenti viene facilmente scomposto in glucosio e che anche le verdure sono composte da una piccola parte di carboidrati. Come racconta Jesse Incahuspè nel suo libro, se masticate abbastanza a lungo una fetta di pane bianco, senza inghiottire, sentirete che il suo sapore a poco a poco diventerà “dolce”: la scomposizione dell’amido in glucosio (processo che avviene in gran parte nell’intestino) comincia proprio nella bocca, grazie all’enzima alfa-amilasi contenuto nella saliva.

Inoltre, se il glucosio scarseggia, il nostro corpo è in grado di produrlo da solo: attraverso la gluconeogenesi e la chetosi il corpo, in assenza di energia diretta (quella fornita appunto dal glucosio) può trasformare in energia il grasso corporeo. Ora, sebbene per sopravvivere non abbiamo bisogno di introdurre zuccheri nel nostro corpo, questi rappresentano una fonte di energia efficace per la sua rapidità di assimilazione e indiscutibilmente una delle cose più piacevoli e appaganti da mangiare. Ma in natura, l’amido e lo zucchero sono presenti sempre accompagnati da una buona parte di fibre (che rallentano l’assorbimento del glucosio, contrastando i picchi glicemici), fibre che nella produzione alimentare industriale vengono invece volutamente eliminate perché rendono la lunga conservazione dei cibi più problematica a vantaggio di zuccheri aggiunti, che rendono il cibo più piacevole al palato.

A questa presenza massiccia di glucosio nei cibi processati si aggiunge una “naturale” attrazione per le cose dolci non solo per il rilascio di dopamina che avviene nel nostro cervello quando li assumiamo (e che ci spinge a ripetere il comportamento che ne è all’origine, ossia mangiare dolci) ma anche perché evolutivamente il sapore dolce è sinonimo di una fonte energetica “sicura” (non esistono cibi velenosi dolci, anzi il più delle volte è il suo esatto contrario, l’amaro, ad essere associato al concetto di velenoso, così come il sapore acido è associato al cibo avariato).
Posto che nei cibi processati c’è mediamente più zucchero, più amido e meno fibra che in quelli naturali, e posta questa naturale tendenza al sapore dolce, è semplice capire come la nostra alimentazione sia facilmente sbilanciata e più agevolmente incline a un eccesso di glucosio. Quando il glucosio introdotto è superiore alla quantità necessaria alle cellule per “funzionare” (e questo, oramai dovrebbe essere chiaro, accade molto più spesso di quanto crediamo) si verifica un “picco” glicemico: il corpo non riesce a bruciare il glucosio introdotto e quindi i suoi livelli aumentano nel sangue, questo stato di eccesso di zuccheri nel sangue “ingolfa” letteralmente i mitocondri delle nostre cellule (cioè gli organelli deputati alla produzione di energia) con aumento di radicali liberi e glicazione. Per gestire questo eccesso di zuccheri interviene allora l’insulina (secreta dal pancreas) che accumula e conserva il glucosio in eccesso nel fegato e nei muscoli sotto forma di glicogeno e, se dovesse continuare a esserci ancora glucosio residuo, allora lo trasforma in grasso e lo stocca nel tessuto adiposo (un piccolo inciso: il fruttosio viene direttamente stoccato sotto forma di grasso perché non può essere trasformato in glicogeno). Se i picchi glicemici sono quotidiani, anche l’insulina rilasciata dal pancreas per gestirli aumenta, ma un livello di insulina cronicamente elevato ha un effetto dannoso perché le cellule a lungo andare sviluppano assuefazione e resistenza alla sua azione e quindi il glucosio non viene più trasformato e la glicemia rimane costantemente elevata: abbiamo appena posto le basi all’instaurarsi del diabete di tipo 2.

Introdurre zuccheri nel nostro corpo non è quindi assolutamente “necessario” e comprendere che mangiare dolci è qualcosa che ha a che fare solo con il nostro piacere è fondamentale, perché ci permette di guardare alla nostra alimentazione da una prospettiva diversa. Ad esempio, pensare di fare una colazione dolce al mattino perché abbiamo bisogno di cominciare la nostra giornata con energia è un messaggio (pubblicitario) totalmente in contraddizione con quello che avviene nel nostro corpo a digiuno se introduciamo un cibo zuccherato come primo pasto, cosa che avviene ogni mattina nella maggior parte dei Paesi occidentali in cui la colazione è a base di: biscotti, croissant, cereali, muesli, marmellata, torte, succhi di frutta, spremute. Cioè amido e zuccheri. E come abbiamo visto se questi alimenti vengono introdotti nel nostro corpo (soprattutto a digiuno) danno origine a un picco talmente elevato da non consentire di essere “bruciati” come carburante per la nostra energia (quanti di noi dopo una colazione del genere salgono in macchina per poi passare il resto della giornata seduti davanti a un pc? Tanti) ma richiedono l’intervento dell’insulina che per toglierli dalla circolazione li trasforma in glicogeno e in grasso. Quindi la nostra tanto agognata “riserva” di energia che ci dovrebbe sostenere per tutta la giornata è in realtà trasformata e stoccata (e “destoccarla” non è un processo altrettanto facile, come avrà sperimentato chiunque voglia perdere peso, si parla in questo caso di “inflessibilità metabolica” cioè della riduzione della capacità dell’organismo di passare dal metabolismo glucidico a quello lipidico, cioè dal ricavare energia dai carboidrati e dai grassi). Ed è per questo che a distanza di poche ore da una colazione dolce (e quindi da un picco glicemico) avremo un drastico calo di glucosio che invierà al cervello un segnale di emergenza e ci dirà che abbiamo di nuovo fame perché abbiamo bisogno di nuova energia, in quanto quella introdotta è stata tolta dalla circolazione e trasformata perché eccessiva.

La colazione quindi è davvero il momento peggiore per mangiare cose dolci, e il momento migliore per passare all’alternativa salata, perché evitare un picco glicemico la mattina influenzerà positivamente tutto il resto della giornata – come dimostrato da uno studio su soggetti affetti da diabete di tipo 2 e pubblicato su The Journal of Nutrition) – a cominciare da una sensazione di sazietà più duratura, mentre cominciare la giornata con un picco glicemico instaurerà una reazione a catena di attacchi di fame e spossatezza che rischia di accompagnarci fino a sera. Di opzioni “salate” ce ne sono in quantità: uova, avocado, toast, yogurt greco, formaggi, frutta secca, affettati, pesce affumicato, tutte le verdure esistenti… accompagnate a un carboidrato preferibilmente integrale.

Ridurre il consumo giornaliero di zuccheri a colazione ci permette poi di consumare qualcosa di dolce in momenti meno rischiosi per la nostra salute: cioè alla fine di un pasto, soprattutto se ricco di fibre e proteine, e subito prima di svolgere attività fisica. Mangiare un dolce a fine pasto si tradurrà in un picco molto contenuto perché i cibi introdotti in precedenza rallentano l’assorbimento del glucosio nel tratto digerente, come osservato in uno studio pubblicato su Nutrition & Diabetes, e di conseguenza il suo passaggio nel sangue: il glucosio arriverà a poco a poco e non in un sol colpo (come quando siamo a digiuno) consentendo ai mitocondri di bruciarlo via via, senza esserne sopraffatti.

Allo stesso modo, mangiare un dolce per poi fare attività fisica come una camminata veloce o una corsa leggera ci consentirà molto probabilmente di consumare in energia pronta all’uso il glucosio ingerito. Una colazione salata ci salverà, quindi? Non ci sono attualmente forti evidenze (ad esempio, da revisioni sistematiche) che ci consentono di affermarlo. Quello che possiamo dire è che una colazione non dolce, all’interno di un’alimentazione equilibrata (non stiamo parlando di diete restrittive) nel resto della giornata e uno stile di vita il più possibile attivo e meno sedentario, ci aiutano a ritardare l’eventuale insorgenza di diabete di tipo 2 e le conseguenti patologie associate.