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Un cardiologo in ospedale nei giorni del coronavirus


Da Lecco a Bergamo, la città simbolo della ferocia del nuovo coronavirus, sono soltanto 40 chilometri, 40 minuti di treno… Stefano Savonitto è il direttore della Cardiologia dell’ospedale di Lecco (intitolato ad Alessandro Manzoni, uno che di epidemie un po’ se ne intendeva). Dopo le solite dodici ore di lavoro in reparto, è di nuovo a casa, la casa in montagna dove si è ritirato con la famiglia e i due cani quando l’epidemia ha iniziato a mostrare il suo volto peggiore.

Il ciclone coronavirus
La Lombardia ha dovuto riorganizzare tutta la rete delle patologie tempo-dipendenti, quelle per cui è fondamentale la tempestività dell’intervento, nel caso dei cardiologi l’infarto e lo stroke. “Molti posti letto delle terapie intensive sono stati destinati ai pazienti Covid-19. Abbiamo unito l’unita coronarica e la stroke unit per cui l’ospedale di Lecco è hub in Lombardia e il territorio per noi è raddoppiato in termini di popolazione”. La ristrutturazione, spiega Savonitto, si basava però su stime che si sono rivelate grossolanamente sbagliate, visto che nel frattempo sono crollati ovunque gli accessi in ospedale per infarto e stroke (e non soltanto in Lombardia). “Mi sono studiato tutta la letteratura delle epidemie, dei terremoti, degli attacchi terroristici, ma non ci sono precedenti… forse succede perché il sistema di emergenza è super-impegnato o la gente ha paura di venire in ospedale per paura del contagio”.

Dall’inizio dell’epidemia le cose sono cambiate, bisogna dare una mano, e come tutti gli altri medici i cardiologi fanno i turni nei nuovi reparti Covid-19. Ma per un primario in prima linea le novità non finiscono qui. Deve fare i conti, più del solito, con la carenza di risorse e di personale sanitario perché dalla Regione arrivano decisioni che le spostano verso l’emergenza coronavirus. “Abbiamo anche bloccato tutte le attività ambulatoriali, liberando medici e infermieri da destinare ai reparti Covid a e alle terapie intensive”.

I pazienti e la percezione del rischio
C’è stata una permeazione di pazienti Covid. Inizialmente si era deciso che i pazienti positivi con una patologia cardiovascolare importante sarebbero dovuti andare in rianimazione dedicata alla Covid, ma la rianimazione Covid era sempre piena. Quindi abbiamo trasformato tutte le stanze a due letti in stanze a un letto e abbiamo alcune camere Covid e altre non Covid anche con pazienti con patologie gravi”.
In un contesto che costringe a continui adattamenti, la percezione del rischio coronavirus da parte del personale sanitario è un aspetto non trascurabile: “Ci sono medici molto, molto attenti, e probabilmente fanno bene, agli aspetti di autoprotezione e medici leggermente più rilassati, e forse sbagliano. Io personalmente cerco di tenere la distanza di sicurezza da tutte le persone e ovviamente anche dai pazienti. Ma questo vale al supermercato come in ospedale, perché il paziente cardiopatico che arriva da noi con scompenso, infarto o aritmia non è necessariamente infetto”.

Non mi sento un untore
La vita familiare di un medico ospedaliero è spesso vittima dei turni, delle emergenze e del carico psicologico che comporta. Ma cosa succede se, insieme alla stanchezza, lo stress e la frustrazione, rischia di portarsi dietro anche la scia del virus? “Quando torno a casa io non mi sento un untore… ho letto molto attentamente il report Oms da Wuhan e dal report si capisce chiaramente che la trasmissione avviene perlopiù all’interno dei focolai familiari, e a Wuhan, dove hanno preso misure rigide di protezione del personale (che sono quelle che stiamo seguendo noi ora), tranne che nella fase iniziale in cui non c’era un’elevata percezione del rischio, le malattie tra gli operatori sanitari sono state molto, molto basse… le infezioni sono arrivate in ospedale da fuori. Usando i sistemi di protezione, la protezione c’è”.

Checché ne dica l’Oms, la mascherina FFP2 serve …

Le controverse mascherine
In Lombardia i dispositivi di protezione individuali più impegnativi, le mascherine l’FFP2 in particolare, sono rapidamente venuti a mancare e il personale spesso ha usato soltanto a quelle chirurgiche. Ma per chi lavora nei reparti dedicati ai pazienti con coronavirus e per chi deve fare procedure invasive quei dispositivi sono assolutamente necessari. Savonitto non ci gira intorno: “Checché ne dica l’Oms, la mascherina FFP2 serve … per i medici è scontato. Anche il Bmj e Center for Disease Control europeo hanno preso una posizione molto chiara contro la raccomandazione dell’Oms. All’interno dell’ospedale questo crea una situazione di tensione. Pretendiamo di avere le protezioni adeguate. Non ci vengano a dire che bastano le mascherine chirurgiche quando si ha a che fare con un paziente Covid”.

Un clima di tensione
È cambiato il clima in ospedale. Anche in cardiologia dove la gestione dell’emergenza è all’ordine del giorno, la tensione è diventata la fedele compagna della giornata dei medici: “C’è, prima di tutto il fatto di dover tenere sempre alta l’attenzione, da come sei vestito al fatto che devi lavarti le mani 20 volte al giorno… c’è stata una fase di tensione all’inizio con i parenti che abbiamo dovuto inibire da entrare in ospedale. Ci sono stati momenti di tensione tra reparti, tensioni con la Direzione, soprattutto quando sono venuti a mancare materiali, quando ci dicevano “’dovete lavorare lo stesso’. C’è questo clima di attenzione continua che poi ti stanca…”.

In giro per i boschi
Ma anche in uno scenario catastrofico in cui niente sembra più come prima e al lavoro l’emergenza segna i ritmi e i modi della quotidianità, la vita, nonostante tutto, va avanti: “Ci siamo ritirati nella nostra casa in montagna vicino Lecco con i nostri due cani, abbiamo cominciato a fare l’orto. Io posso uscire da casa mia, ho la montagna subito dietro, parto per i sentieri… spero che almeno, dopo tutto quest’ospedale, mi lascino andare un po’ in giro nei boschi”.