L’ultimo meeting annuale dell’European Society of Cardiology, l’evento più importante al mondo in ambito cardiologico – tenutosi qualche mese fa a Parigi –, ha segnato un record molto particolare: è stata la conferenza medica più twittata di sempre. Nel corso delle quattro giornate congressuali, infatti, circa 13.000 account Twitter hanno lanciato oltre 65.000 tweet e retweet contenenti l’hashtag di riferimento dell’evento, per un totale di più di mezzo miliardo di potenziali visualizzazioni.
Dati questi che mostrano come Twitter rappresenti ormai uno strumento di uso quotidiano per moltissimi medici. I social media hanno infatti un ruolo centrale in diversi aspetti della vita professionale di chi si occupa di assistenza sanitaria, dall’aggiornamento alla formazione, dal confronto con i colleghi alla realizzazione di campagne informative.
“Quando le persone mi chiedono qual è la mia app medica preferita io dico sempre che è Twitter”, racconta John Mandrola, elettrofisiologo del Baptist Health di Lousville (Kentucy), blogger e autore di TheHeart.org – Medscape (con più di 34.000 follower su Twitter dove si trova con l’handle @drjohnm), che abbiamo incontrato proprio a Parigi. “Questo perché è uno strumento molto formativo, mi permette di interagire, vedere casi clinici e imparare da persone provenienti da tutto il mondo”.
La differenza più eclatante tra le discussioni di natura scientifica che prendono vita su Twitter e quelle che si verificano ai Congressi o sulle pagine delle riviste, è infatti il numero di persone che può prendervi parte. Inoltre, mentre gli spazi di confronto tradizionali della medicina accademica sono caratterizzati da un forte impianto gerarchico, le community che si formano sui social permettono a tutti, o quasi, di esprimere la propria opinione liberamente. Un meccanismo che Robert W.Yeh, cardiologo ed esperto di social media, ha definito “democratizzazione delle voci”.
“[Twitter] permette a tutti di avere una voce”, spiega Mandrola. “Non è limitato agli accademici, chiunque abbia buone idee può essere ascoltato online e non c’è bisogno che il suo parere gli venga richiesto. Quindi è una sorta di meritocrazia, questo è un aspetto di Twitter che amo molto”.
Allo stesso tempo, tuttavia, un pubblico eterogeneo e potenzialmente enorme come quello di Twitter può rappresentare una minaccia. Ad esempio, nel momento in cui questo social viene utilizzato per discutere casi clinici. “La discussione di casi clinici è problematica perché potrebbero essere identificabili”, sottolinea il cardiologo statunitense, “quindi la privacy è sicuramente rilevante”. Infatti, spesso i casi clinici che vengono condivisi su Twitter sono anche quelli più peculiari o particolari. Un fenomeno, questo, che oltre creare a sollevare dei problemi in termini di promozione di una medicina non-basata-sulle-evidenze, aumenta anche la probabilità che il paziente coinvolto venga riconosciuto.
Twitter permette a tutti di avere una voce.
Anche per questa ragione l’anno scorso un gruppo internazionale di cardiologi interventisti – tutti molto attivi e seguiti su Twitter – ha pubblicato una serie di considerazioni e linee guida relative all’uso di questo social in ambito medico. In particolare, per quanto riguarda la condivisione di casi clinici queste erano le loro raccomandazioni: “È obbligatorio preservare la riservatezza del paziente in tutte le fasi, in conformità alle linee guida generali sulla privacy. Tutte le informazioni riguardanti il soggetto devono essere rimosse. È fortemente raccomandabile avere il consenso degli operatori, mentre per quanto riguarda quello del paziente e della struttura le indicazioni sono contingenti alla situazione specifica”.
Un altro problema è poi quello relativo al marketing farmaceutico su Twitter e agli eventuali conflitti di interesse dei medici iscritti alla piattaforma. Infatti, come sostiene Robert Yeh, “su Twitter i dipendenti delle aziende farmaceutiche e biotecnologiche rappresentano un gruppo ampio ma spesso silenzioso, mentre i medici finanziati dalle industrie stanno trovando un riscontro crescente, grazie anche alla loro condizione di appartenenti alla comunità medica e di opinion leader”.
“Agli inizi Twitter era una frontiera frequentata da pochi utenti”, spiega Mandrola, “poi è stato scoperto da molte persone ed è ora utilizzato sempre più spesso per pubblicizzare nuove tecnologie, spesso di efficacia non provata”. In generale, continua l’elettrofisiologo statunitense, “i conflitti di interesse sono un problema emergente su Twitter”.
Ad esempio, nel 2017 un gruppo di quattro ricercatori dell’Oregon Health & Science University di Portland ha provato a quantificare il numero di medici (in questo caso, oncoematologi) con conflitti di interesse iscritti a Twitter. Dai risultati è emerso che dei 642 oncoematologi con un account su questo social network, ben 504 (79,5 per cento) avevano ricevuto almeno un pagamento da aziende farmaceutiche nell’arco di tempo considerato.
In una seconda analisi i ricercatori hanno poi ridotto il campione sperimentale ai medici con un conflitto di interesse superiore ai 1000 dollari all’anno (esclusi i finanziamenti delle ricerche) e più di 100 tweet inviati. Dall’analisi dei post dei 156 medici che rispondevano a questi criteri è emerso che 126 (81 per cento) avevano parlato almeno una volta di un farmaco prodotto da un’industria da cui avevano ricevuto un pagamento, mentre 137 (88 per cento) avevano menzionato un farmaco senza un conflitto di interesse. Mettendo a confronto i tweet relativi a farmaci con e senza un conflitto di interesse, tuttavia, è emerso che i primi avevano una probabilità maggiore di essere positivi.
I conflitti di interesse sono un problema emergente su Twitter
“Le riviste scientifiche richiedono a tutti di elencare i propri conflitti di interesse, mentre su Twitter ciò non accade”, spiega Mandrola. Attualmente, infatti, non esistono standard che limitino le interazioni tra le industrie e la comunità accademica su Twitter o gli altri social media. Sono state proposte diverse soluzioni per favorire una maggiore trasparenza, dall’esplicitazione dei propri conflitti di interesse nella short bio del proprio account all’utilizzo dell’hashtag #FCOI (Financial Conflict of Interest) nei tweet relativi a prodotti caratterizzati da un conflitto di interesse, ma al momento non è ancora stata identificata una modalità condivisa.
Secondo Mandrola, tuttavia, una possibile soluzione potrebbe sfruttare proprio il processo di democratizzazione delle opinioni che ha luogo su Twitter e sui social media in generale. “Un modo che potrebbe funzionare”, conclude, “riguarda la saggezza della folla: quando una persona con dei conflitti di interesse prende parola online, dovremmo essere in grado di fare emergere questi conflitti nella discussione pubblica”.
John Mandrola sarà uno dei relatori del Convegno “4Words: le parole dell’innovazione in Sanità”, quarta riunione annuale del progetto Forward, in programma a Roma il 30 gennaio 2020. Il giorno seguente interverrà al primo evento FastForward 2020: “Social media in healthcare. How to use a working tool”.