Nell’immaginario collettivo l’uso terapeutico delle sostanze psichedeliche rimanda immancabilmente al panorama variopinto dei riti sciamanici. Deserto messicano, peyote, San Pedro, guide spirituali, rituali di guarigione, tradizioni mediche millenarie che sconfinano nella magia, insomma un universo che ha poco a che spartire con la moderna farmacologia occidentale. Si tratta in realtà di una prospettiva ingannevole, risultato dell’inevitabile stigma che si è abbattuto sull’uso ricreativo di quel tipo di droghe a partire dalla fine degli anni Sessanta trascinando con sé anche gli studi sulle possibilità di cura.
“E se il disturbo post-traumatico da stress, il disturbo ossessivo-compulsivo, l’alcolismo o anche la depressione potessero trovare rimedio in sostanze come la psilocibina o l’Lsd che agiscono modificando la nostra percezione della realtà?”
Tralasciando per un attimo preconcetti stratificati ormai da decenni e basandosi soltanto sui benefici verificabili… e se il disturbo post-traumatico da stress, il disturbo ossessivo-compulsivo, l’alcolismo o anche la depressione potessero trovare rimedio in sostanze come la psilocibina o l’Lsd che agiscono modificando la nostra percezione della realtà? D’altra parte alteriamo quotidianamente il nostro stato di coscienza senza farci troppi problemi (con il caffè o il tè, ad esempio). Da questo punto di vista, le piante o le sostanze psichedeliche non fanno altro che modificare quello stato, in modo “soltanto” più radicale. Per i sostenitori dell’uso terapeutico delle sostanze psichedeliche, i vantaggi superano ampiamente gli svantaggi, anche nel confronto con la maggior parte degli psicofarmaci. Lsd e psilocibina non creano dipendenza, non danno tossicità, non esiste una dose letale conosciuta. Certo esistono anche dei rischi ineliminabili. Le persone più vulnerabili (i tossicodipendenti su tutti) o predisposte a gravi malattie mentali come la schizofrenia durante l’assunzione di sostanze psichedeliche potrebbero andare incontro alla prima crisi psicotica. Ma per tutti gli altri le procedure standardizzate e le buone pratiche (dalla preparazione accurata del setting della seduta alla presenza di supporto medico) sono in grado di minimizzarne gli effetti negativi. E poi c’è da far fronte alla pandemia di malattie mentali. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima in più di 300 milioni i depressi clinici con diagnosi, ma gli antidepressivi non funzionano come e quanto ci si aspetterebbe senza contare il prezzo salato degli effetti collaterali. Gli studi su Lsd e psilocibina hanno fornito finora risultati sorprendenti: gli antidepressivi funzionano in media sul 30% circa dei malati, Lsd e psilocibina arrivano fino al 90%.
Lsd: un po’ di storia
L’Lsd viene sintetizzato per la prima volta nel 1938 dal chimico svizzero Albert Hofmann che è impegnato nella ricerca di un nuovo farmaco post-partum per la casa farmaceutica Sandoz. Hofmann ha il compito di individuare le sostanze chimiche che compongono l’ergot (la segale cornuta). Il venticinquesimo componente è proprio l’LSD-25. Durante i test di laboratorio le cavie tendono a diventare irrequiete, ma nel complesso la sostanza non desta particolare interesse tra medici e farmacologi e la Sandoz decide di chiuderla in un cassetto come capita tante altre volte per quelle non promettenti. Ma in quel cassetto non rimarrà per sempre. Hoffman parla di presentimento riferendosi alla sua intuizione, cinque anni dopo, di produrre l’LSD-25 (sui primi vagiti dell’Lsd si sofferma How to Change your Mind, una miniserie Netflix basata sul bestseller omonimo di Michael Pollan, uno dei più accesi sostenitori delle sostanze psichedeliche). Durante le procedure di laboratorio, del tutto casualmente si deposita sulla punta delle sue dita un piccolo quantitativo di Lsd provocandogli strane sensazioni. Da coscienzioso sperimentatore decide di assumerne dell’altro, 250 mcg, ma l’Lsd è attivo a dosi incredibilmente basse e Hoffman ancora non lo sa. Il risultato è un trip del tutto imprevisto. “Riuscivo a parlare in modo intellegibile con enorme difficoltà. Chiesi al mio assistente di laboratorio di accompagnarmi a casa in bicicletta. Tutto nel mio campo visivo ondeggiava ed era distorto come fosse visto in uno specchio ricurvo. Avevo anche la sensazione di non riuscire a muovermi. Tornando a casa le mie condizioni cominciarono ad assumere forme minacciose. Fu un’esperienza terribile, traumatica. Avevo la sensazione di trovarmi in un mondo diverso. Era forse la fine? Ero passato dall’altra parte? Ero convinto di essere impazzito”. Ma quando gli effetti diminuiscono si sposta nel giardino della sua casa e tutto all’improvviso gli sembra splendere di una luce nuova. “Il mondo sembrava appena creato. Il culmine della mia disperazione era passato. A poco a poco iniziai a godermi i colori e le forme cangianti senza precedenti. Si succedevano immagini fantastiche, caleidoscopiche. Era davvero straordinario come ogni percezione acustica si trasformasse in percezione ottica. E il giorno dopo mi risvegliai con la sensazione che la mia vita ricominciasse da zero. Ero rinato”. Quel 16 aprile del 1943 nell’epopea psichedelica è conosciuto come Bicycle day, il giorno del primo trip di Lsd.
“Si succedevano immagini fantastiche, caleidoscopiche. Era davvero straordinario come ogni percezione acustica si trasformasse in percezione ottica. E il giorno dopo mi risvegliai con la sensazione che la mia vita ricominciasse da zero. Ero rinato”
A questo punto però la domanda è cosa fare di questa potentissima sostanza psicoattiva. La Sandoz ha un’idea. Fornirla a chiunque ne facesse richiesta – purché in possesso dei titoli necessari (ricercatori e psicoterapeuti) – una specie di chiamata alla ricerca open source. Per capire a cosa può servire l’Lsd, un contributo decisivo arriva da uno psichiatra inglese, Humphry Osmond, che prima di condurre i suoi esperimenti prova su se stesso gli effetti sostanza. È lui che conierà il termine “psichedelico” (“che rivela la mente”) dopo una sfida a colpi di versi (da cui esce vittorioso) con Aldous Huxley. il grande scrittore inglese, autore di Il mondo nuovo e Le porte della percezione, non aveva mai nascosto il suo interesse alle possibilità che offriva l’alterazione del normale stato di coscienza per trascendere la condizione umana.
Dal boom al proibizionismo
Migliaia di studi, articoli sui giornali, conferenze internazionali. Tra il 1950 e 1965 c’è grande fervore attorno alle sostanze psichedeliche. Fioriscono le ricerche sia in ambito psicanalitico/psicoterapeutico sia “di sicurezza nazionale” (anche l’FBI decide di sperimentarla), lo psichiatra John Lilly prova varie sostanze psicoattive negli esperimenti di comunicazione tra uomo e animali (in particolare i delfini) e il farmacologo Peter Witt pubblica il celebre contributo sulla tessitura delle tele dei ragni. Nel frattempo arrivano i primi risultati degli studi sull’uso terapeutico e sono spesso molto buoni, alcuni psichiatri cominciano a intravedere in quelle sostanze il futuro della psichiatria. A partire dall’inizio degli anni Sessanta però la ricerca è uscita dai laboratori e le conseguenze sociali non passano inosservate. Ad Harvard, Timothy Leary e un collega psicologo, Richard Halpert avviano una serie di esperimenti con Lsd e psilocibina. “In un ambiente sicuro fornimmo l’opportunità a circa 200 tipi di persone diverse, dai carcerati ai musicisti jazz, ai filosofi, di vivere questa esperienza dandocene un resoconto”, racconta Leary Questi resoconti mostrano chiaramente che il tipo di esperienza psichedelica dipende profondamente dall’ambiente e dal contesto. L’ambiente esterno e quello interno plasmano quell’esperienza. I due però si trasformano gradualmente in ultrà delle sostanze psichedeliche promuovendo il loro uso indiscriminato, vengono sconfessati anche da Hofmann che intuisce limiti e pericoli insiti in quella strategia, e Harvard decide di licenziarli. Il danno però ormai è fatto. L’espansione della coscienza, l’interconnessione col tutto, i risvolti sociopolitici dell’esaltazione dei trip psichedelici, l’esaltazione della libertà senza limiti, senza le costrizioni delle istituzioni, della religione, dei genitori su cosa viene considerato lecito o meno. L’uso di Lsd e psilocibina si incastona nella cultura antisistema, sponsorizzato dai guru della controcultura e in una fase storica in cui la società americana deve fare i conti con le spaccature provocate dalla guerra del Vietnam. I media reagiscono in senso conservatore fiutando l’orientamento dell’opinione pubblica e si spostano verso una posizione apertamente ostile. Le droghe psichedeliche sono il nuovo nemico pubblico numero 1: rovinano le generazioni più giovani, rappresentano un pericolo per la salute mentale e sono potenzialmente in grado di danneggiare il DNA alterando i cromosomi. Il governo a quel punto si lancia all’attacco e tra il 1967 e il 1970 sia l’Lsd sia la psilocibina sono dichiarate sostanze di Categoria 1, cioè droghe illegali senza possibilità di utilizzo medico. È un vero e proprio bando. Tutti i progressi raggiunti fino a quel punto furono interrotti di colpo e gli studi in corso ufficialmente eliminati dalla storia della scienza. Da quel momento in poi la ricerca sulle sostanze psichedeliche si inabissa, diventa “underground” e lo resta per oltre tre decenni.
Il rinascimento psichedelico
È proprio in Svizzera, luogo di nascita dell’Lsd che lentamente la ricerca riprende il suo corso all’inizio degli anni Duemila. Dopo la conferenza di Oslo per i 100 anni di Albert Hoffman, a tutti i ministri della salute del mondo viene indirizzata una lettera aperta affinché si occupino di far ripartire gli studi. Solo le autorità svizzere però raccolgono l’appello ed è a Berna che cominciano gli esperimenti su soggetti affetti da gravi malattie fisiche come i malati di cancro. Si ricomincia a parlare di Lsd e psilocibina ad uso terapeutico non come fonti di sballo ma di trasformazioni potenzialmente positive indotte con quantità minime di sostanza.
Dopo oltre trent’anni di proibizionismo nel 2006, a 101 anni, lo stesso Hofmann scriverà di suo pugno una lettera indirizzata a Steve Jobs chiedendo un finanziamento per uno nuovo studio sull’Lsd in relazione alla psicoterapia. Steve Jobs in passato aveva indicato l’Lsd come stimolo creativo nella nascita della Apple Computers. Nel 2016 cambia tutto di nuovo. Robin Carhart-Harris dell’Imperial College di Londra fotografa con una risonanza magnetica funzionale il cervello umano durante un trip (se ne palerà come del “bosone di Higgs delle neuroscienze”). L’anno successivo il chimico Bryan Roth descrive il modo atipico con cui l’Lsd si lega al recettore della serotonina. Si apre una nuova era.
Come agiscono le sostanze
Dell’Lsd abbiamo già detto. La psilocibina invece è una sostanza estratta da funghi che crescono in zone tropicali e subtropicali del Sud America, del Messico e degli Stati Uniti. Può produrre cambiamenti percettivi, alterando la consapevolezza dell’ambiente circostante, dei propri pensieri e sentimenti. Chi ne fa uso vede immagini, sente suoni e prova sensazioni che sembrano reali ma non lo sono (quindi in parte simili a quelle dell’Lsd). Gli effetti iniziano generalmente entro 20-90 minuti e possono durare in alcuni casi fino a 12 ore. Queste sostanze agiscono come agoniste di un sottotipo di recettori della serotonina chiamato 5HT2A. L’effetto è a livello sistemico non solo a livello dei recettori cerebrali. I recettori coinvolti sono però quelli del sé che rappresenta l’esperienza più complessa che sperimentiamo. E dal momento che le sostanze riducono le difese e le rigidità dell’Io ci consentono di studiare il fondamento del meccanismo della coscienza, com’è strutturato al livello del cervello.
Il setting terapeutico
Il trip vero è collocato alla fine di un percorso che prevede un certo numero di sedute preparatorie per capire la situazione del paziente, il suo problema e prepararlo all’esperienza vera e propria. Il protocollo prevede che l’assunzione avvenga in ambiente clinico e che siano presenti uno o due terapeuti (uno psichiatra e uno psicologo ad esempio). L’allestimento della stanza è fatto con estrema cura, colori adatti, musica di un certo tipo, luci soffuse. Spesso al paziente viene chiesto di indossare una mascherina per aumentare la capacità di concentrarsi sul suo trip. A queste condizioni i trip possono essere anche forti, ma in genere non angoscianti perché guidati prima, durante e dopo. Nelle settimane successive infatti seguono altre sedute di terapia per trasformare l’esperienza in qualcosa di solido e strutturale rispetto alla personalità. Per chi vuole farsi un’idea più precisa di cosa avviene nella realtà una risorsa preziosa (e commuovente) è rappresentata dal documentario Magic Medicine (2018), girato dal regista inglese Monty Wates che ha avuto accesso alla prima sperimentazione medica con psilocibina in un gruppo di soggetti affetti da depressione clinica. Il film segue tre dei volontari e le loro famiglie nel percorso terapeutico fino alla sua conclusione.
Che malattie si possono trattare con le sostanze psichedeliche
In un’intervista pubblicata su Rolling Stone Italia, Agnese Codignola (autrice del saggio LSD: storia di una sostanza stupefacente) si sofferma sui campi di applicazione più promettenti dell’Lsd. “Nei disturbi dell’umore come ansia e depressione si sono riscontrati ottimi risultati. Generalizzando, molte situazioni di disagio mentale, più o meno gravi, caratterizzate dal fatto di rimanere a rimuginare con lo stesso tipo di pensiero o ragionamento, possono essere spezzate dall’utilizzo di queste sostanze. Questo perché noi umani abbiamo dei percorsi di pensiero ripetitivi che l’Lsd riesce a spezzare portando alla guarigione. Questo è anche il motivo per cui si utilizzano e funzionano per scardinare le dipendenze. L’Lsd funziona anche sui traumi da stress post traumatico, come dimostrati studi su veterani di guerra o donne vittime di stupro… Fuori dalla sfera psicologica, l’Lsd invece ha dato ottimi risultati anche su una patologia drammatica come la cefalea a grappolo, detta anche cefalea da suicidio … e questo perché questo disturbo coinvolge la serotonina. Ultimamente si è scoperto come l’Lsd possa avere effetti antiinfiammatori sul sistema nervoso e quindi si sta provando ad utilizzarlo come possibile cura per le demenze, per ora con studi in vitro e su animali. Ci sono anche studi sulla creatività che dimostrano che i centri associati alla creatività sono particolarmente attivi sotto Lsd”. Per la psilocibina le evidenze rispetto alla depressione resistente (con altri farmaci o terapie psicologiche) sono state considerate così promettenti da indurre la Food and Drug Administration (FDA) a designarla come terapia innovativa (breakthrough), uno status prioritario attribuito a farmaci progettati per soddisfare un bisogno insoddisfatto. L’azienda che sviluppa il farmaco definito come breakthrough riceve un supporto continuo dalla FDA durante tutto il processo di sperimentazione clinica e la priorità nella revisione quando i dati sono disponibili.
Microdosing: poco alla volta per sempre
Una delle tecniche di somministrazione diventate più di moda nel corso degli anni è il cosiddetto microdosing (“microdosaggio”) che viene venduto come il modo migliore per stimolare la creatività e alleviare la depressione. La microdose è tra un decimo e un ventesimo di quella considerata dose creativa. In uno studio l’80% di chi ha fatto ricorso al microdosaggio ha testimoniato un miglioramento dei sintomi depressivi, ma non in modo “convenzionale”. L’espressione più usata è stata “Sono di nuovo me stesso”. Mentre nell’uso convenzionale a scopo terapeutico e ricreativo (nel trip quindi) non sono emersi dipendenze o effetti tossici, il problema del microdosing è che tendenzialmente la tolleranza può portare davvero alla dipendenza. “L’Lsd lavora sulla serotonina, ma con un’assunzione cronica va a coinvolgere anche circuiti diversi che chiamano in causa la dopamina e quindi altri neurotrasmettitori che incidono sui centri che coinvolgono le dipendenze. A quel punto potrebbe diventare pericoloso. Sono iniziati degli studi sul microdosing e non mi stupirei se si rilevasse una possibilità di dipendenza, se praticato per lunghi periodi. Se ti abitui ad una sensazione piacevole, come ad esempio la maggior concentrazione che pare comporti il microdosing, dopo si innesca anche una dipendenza psicologica”, spiega Codignola.
I nemici delle sostanze psichedeliche
L’obiezione sollevata con più insistenza nei confronti dell’uso di questo genere di terapie è quella dei costi (che includono personale, strutture e materiali). Ma è abbastanza pacifico che una terapia con psicofarmaci sul lungo periodo abbia un costo più alto rispetto ad un trattamento in una struttura predisposta con personale formato. Il fatto è che le terapie con l’Lsd confliggono con gli interessi delle aziende farmaceutiche e della medicina per come è strutturata oggi. “Molte di queste sostanze psichedeliche non sono brevettabili e non c’è quindi un’azienda che ha interesse a fare studi. È come un vaccino: se la terapia funziona nel modo giusto, prevede un’applicazione one-shot o al massimo un 2-3 nell’arco di mesi. Quindi non c’è business”. L’approccio generale è olistico, quindi, pur non ignorando la farmacologia, si prende cura di ogni persona nella sua specificità.
“Molte di queste sostanze psichedeliche non sono brevettabili e non c’è quindi un’azienda che ha interesse a fare studi. Non c’è business”
Promesse da verificare
In questi ultimi anni si è assistito a un deciso cambio di paradigma dei mezzi di comunicazione nei confronti dell’uso terapeutico delle sostanze psichedeliche, ma, visti i precedenti, è importante continuare a parlarne coi toni giusti. Lsd e psilocibina sono facilitatori, coadiuvanti, nell’ambito di un percorso psicoterapeutico/psicologico. “La sostanza chimica ha un ruolo, certo, ma all’interno di un percorso”, conclude Codignola, nella consapevolezza che i nuovi studi potrebbero limitarne invece che espanderne l’ambito di applicazione.
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