Durante l’evento “Liberare la conoscenza per ridurre le disuguaglianze”, organizzato presso la Fondazione Basso di Roma dal Forum Disuguaglianze e Diversità (ForumDD), è stato presentato il Manifesto “Liberare la conoscenza per ridurre le disuguaglianze”.
“L’esito della transizione digitale dipende da noi, non è insito nella tecnologia”
“L’esito della transizione digitale dipende da noi, non è insito nella tecnologia. Se la conoscenza sarà accessibile e diverrà l’alimento di un confronto acceso, aperto e ragionevole, allora potremo costruire un futuro più giusto. Se viceversa l’accesso alla conoscenza sarà sempre più privatizzato a vantaggio di pochi, non solo avremo meno e più cattivo lavoro, ma saranno erose le libertà sostanziali delle persone e la democrazia. Montagne di dati, di informazioni e di conoscenza che anche grazie alla tecnologia digitale potremmo usare collettivamente per prendere decisioni migliori attraverso il confronto, sono invece controllate da pochissimi nel loro interesse, per creare monopoli, alterare le nostre preferenze e dare un velo di oggettività ad assunzioni o decisioni discriminatorie”. Fabrizio Barca, co-coordinatore, ribadisce così il forte impegno del Forum Disuguaglianze e Diversità nell’elaborazione e diffusione di proposte per orientare le transizioni digitale e tecnologica in senso democratico. Sin dalla sua nascita infatti il ForumDD ha messo al centro il tema di liberare la conoscenza, avanzando, diffondendo e battendosi per proposte concrete con l’obiettivo di porre all’attenzione della classe politica la necessità di una nuova stagione di politiche pubbliche per l’innovazione, uno sviluppo segnato da giustizia sociale e ambientale e la riduzione delle disuguaglianze.
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Presentando il Manifesto “Liberare la conoscenza per ridurre le disuguaglianze”, Carmelo Caravella, ex sistemista Ibm ed ex sindacalista della Cgil Lazio, ha dichiarato: “Democrazia e trasparenza sono le parole chiave del nostro documento: del resto la democrazia senza trasparenza non esiste. Ma trasparenza e democrazia sono ancora molto lontane, sia dai cancelli delle imprese che – ancor più – dai cancelli delle caserme. Una delle proposte del forum non citata nel documento è quella sui consigli del lavoro e della cittadinanza. Il riferimento evidente è alle socialdemocrazie del nord Europa: a mio avviso vista la discussione sul digitale, le proposte sul digitale che facciamo nel documento, sarebbe utile un approfondimento legato proprio alla storia della socialdemocrazia scandinava di pochi decenni fa, quella della Ostpolitik e del disarmo unilaterale”.
“Democrazia e trasparenza sono le parole chiave del nostro documento: del resto la democrazia senza trasparenza non esiste”
Paolo De Rosa, Cto presso il Dipartimento per la trasformazione digitale, ha aggiunto: “Condivido la necessità di orientare la transizione digitale in senso democratico. Cosa significa? Significa sicuramente pensare di allargare sempre di più la partecipazione attiva delle fasce della popolazione ai processi di trasformazione digitale che sono in atto, andando ad aumentare le competenze digitali dei cittadini; significa anche informare e riflettere su quelle che sono le nuove prospettive che aprono questi strumenti digitali, in particolare le nuove tecnologie che consentono l’accesso all’uso dei dati, per renderle più aperte e infine a utilizzare restituire e utilizzare i dati per cercando di conseguire utilità sociali. E questo si ottiene appunto utilizzando le tecnologie, andando nei territori a cercare di sviluppare quelle pratiche virtuose per ricostruire all’interno delle comunità territoriali quelle che sono delle pratiche di decisione condivisa partecipata e soprattutto orientata al dato. Chiaramente la trasformazione digitale come tutta la tecnologia non è neutrale, quindi bisogna tenere a mente bene i principi su cui si fonda e cercando di disegnarla e svilupparla nel senso di un obiettivo preciso”.
“Chiaramente la trasformazione digitale come tutta la tecnologia non è neutrale”
Lelio Iapadre, professore di Economia applicata presso l’Università degli studi de L’Aquila, dove svolge anche il ruolo di prorettore con delega per lo sviluppo sostenibile, spiega: “Vorrei sottolineare un punto da economista. I governi e gli studiosi in tutto il mondo si interrogano sul cosiddetto paradosso della produttività, cioè sul fatto che nell’epoca della rivoluzione digitale il tasso di crescita della produttività si è abbassato un po’ dappertutto e in Italia in modo particolare. Una delle spiegazioni principali è legata all’idea che si sia “rotta” la macchina della diffusione delle conoscenze all’interno del sistema imprenditoriale, cioè che siano aumentate le barriere e i costi di accesso alle innovazioni digitali per le imprese minori, che sono parte importantissima del sistema produttivo in Italia ma non soltanto in Italia: a questo si aggiungono le barriere create dalle regole a tutela della proprietà intellettuale. Noi crediamo che il sistema delle università e degli enti di ricerca in Italia debba lavorare seriamente ponendosi come missione fondamentale quella di abbattere queste barriere, cioè di facilitare la diffusione delle conoscenze all’interno del sistema imprenditoriale ma anche all’interno delle organizzazioni sociali che danno vita al cosiddetto terzo settore e tra le amministrazioni pubbliche, perché c’è un grande bisogno di innovazione digitale anche in questi settori”.
“Nell’epoca della rivoluzione digitale il tasso di crescita della produttività si è abbassato un po’ dappertutto e in Italia in modo particolare”
Aggiunge Giovanni Dosi, professore ordinario di politica economica alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa: “Il controllo democratico dell’informazione e della conoscenza – che non sono esattamente la stessa cosa – non è semplicemente una questione accademica. Entrambe sono fondamentali per la distribuzione del reddito e del potere. Due esempi. Le piattaforme informative: il loro monopolio privato è condizione necessaria per il super-sfruttamento di tutta una quota crescente di lavoratori nella distribuzione e nella logistica, da Amazon a Deliveroo eccetera. L’accesso, il controllo privato delle conoscenze medico-biologiche in realtà impedisce l’accesso a beni comuni e diritti. La sanità è un diritto: il fatto che ci siano Big Pharma e le aziende Biotech – che sono per certi versi anche peggiori – rappresenta un collo di bottiglia che impedisce e l’accesso e anzi lo sviluppo, spesso, di farmaci salvavita. Il caso covid è stato eclatante esempio di una fondamentale disfunzionalità nei rapporti tra università e centri pubblici, che sono quelli che ancora grazie a dio generano conoscenza. Big Pharma e Biotech controllano la trasformazione di questa conoscenza in prodotti e questo produce diseguaglianza enorme a livello internazionale, ma anche diseguaglianza all’interno dei Paesi, cioè rende tecnicamente impossibile l’accesso da parte di tutta la popolazione a cure gratuite si pensi alle Car-T alle terapie antitumorali che costano tra i 200 e 300 mila euro. Quando furono scoperte ad Harvard da un gruppo di ricercatori, costoro si misero in proprio, fondarono una Biotech e poi si fecero comprare (per pochissimo, poveretti, qualche centinaio di milioni di dollari), ma poi Novartis è in grado di recuperare quegli investimenti lì semplicemente con qualche centinaio di pazienti”.
“Il controllo democratico dell’informazione e della conoscenza – che non sono esattamente la stessa cosa – non è semplicemente una questione accademica”
Andrea Roventini, docente di economia politica alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e research fellow all’Ofce di Sciences Po a Parigi, spiega: “Faccio parte di questo gruppo soprattutto perché mi occupo di politiche industriali e in particolare mi dedico alla transizione verde. Qui la conoscenza ha un ruolo fondamentale, perché se uno legge quello che ci dicono l’International energy agency (Iea) o anche l’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), molte delle tecnologie di cui noi abbiamo bisogno per decarbonizzare l’economia non sono ancora state scoperte o sviluppate e inoltre noi come Italia facendo parte dell’Europa dobbiamo – sempre secondo Iea e Ipcc – ricreare le filiere produttive: per esempio nelle batterie del settore solare, per togliere il dominio nel settore alla Cina. Quando si parla di conoscenza, di conoscenza applicata, la transizione verde non esiste. La neutralità tecnologica – di cui si sente spesso parlare a sproposito in Italia – non esiste, perché si sanno le cose che bisogna fare, le cose che funzionano e quelle che non funzionano, ma non perché c’è uno stato dirigista sovietico monopolista, ma perché ce lo dice la comunità scientifica e di nuovo queste organizzazioni internazionali. Però per fare questo ci vuole una politica industriale, perché non si può lasciare al mercato l’emergenza climatica, questa è una guerra e non si può utilizzare il mercato per vincere la guerra e quindi non si può fare una politica basata su incentivi a pioggia o incentivi disegnati male come quelli del Pnrr oppure come il superbonus. Quello che bisogna fare è dare dei sussidi condizionati, con una politica industriale come facendo Biden negli Stati Uniti (di nuovo non è un marxista). Dare dei sussidi condizionati alle imprese per creare queste filiere e supportare le nostre imprese pubbliche e fare sistema. Con il ForumDD abbiamo fatto una proposta di per cui il governo o comunque il Mef desse una guida strategica alle imprese pubbliche: pensiamo ad esempio al piano di investimento di Terna per potenziare la rete elettrica o alla fabbrica di pannelli solari di Enel in Sicilia. Purtroppo abbiamo Eni che invece sta sprofondando nel gas e nelle fonti fossili. È secondo me una grande occasione per l’Italia perché facendo creando cooperazione tra grandi imprese pubbliche e imprese private con una opportuna politica industriale del governo non solo noi andiamo a decarbonizzare l’economia ma andiamo anche a rilanciare la crescita della produttività, rilanciare la crescita del Pil e l’occupazione di qualità perché il settore verde paga mediamente dei salari migliori. Quindi vorrei concludere dicendo che non esiste questa contraddizione tra crescita e decarbonizzazione dell’economia come spesso viene fatto credere: anzi la transizione verde è forse l’ultima opportunità per il nostro Paese non solo per decarbonizzare il sistema ma per rilanciare la crescita economica, che langue da tre decenni”.
“La transizione verde è forse l’ultima opportunità per il nostro Paese non solo per decarbonizzare il sistema ma per rilanciare la crescita economica, che langue da tre decenni”
“Il nostro studio mostra che i contribuenti attraverso i governi hanno sovvenzionato con un miliardo ognuno dei 9 vaccini contro il covid-19 presi in esame. Quando gli stati investono a rischio più delle imprese, in questo caso 30 miliardi di euro pubblici contro 16 di fondi privati, dovrebbero allora anche rivendicare la comproprietà della conoscenza e quindi negoziare condizioni di prezzo e distribuzione nel preminente interesse della giustizia sociale. In alternativa dovrebbero commissionare direttamente a imprese pubbliche o istituti no-profit la fornitura di beni pubblici come i vaccini e altri prodotti essenziali”, dichiara Massimo Florio, docente presso l’Università di Milano, illustrando lo studio “Mapping of long-term public and private investments in the development of covid-19 vaccines”, redatto su richiesta del Parlamento europeo e presentato il 23 Marzo a Bruxelles. Florio ha ricordato la proposta del ForumDD di prevedere a livello europeo un’infrastruttura per vaccini e farmaci che, come il Cern o l’Agenzia spaziale europea, doti il continente di una politica pubblica per la salute che faccia l’interesse delle persone e non delle imprese private.
“Quando gli stati investono a rischio più delle imprese dovrebbero allora anche rivendicare la comproprietà della conoscenza”
Intervengono a tal proposito tre europarlamentari presenti in sala. Alessandra Moretti, (Partito democratico), parlamentare europea, membro della Commissione Ambiente e sanità e relatrice Gruppo S&D della Commissione sugli insegnamenti da trarre dalla pandemia, ricorda che occorre vincolare i contributi pubblici alle imprese a condizionalità stringenti e a una definizione condivisa dei prezzi che siano equi e compatibili con la sostenibilità della finanza pubblica. Marc Botenga, (Partito Del lavoro del Belgio), parlamentare europeo, anche lui Membro della commissione sugli insegnamenti da trarre dalla pandemia, mette l’accento sulla possibilità di cambiare rotta attraverso decisioni radicali come quelle che in altri momenti sono state assunte dalle Istituzioni europee. Per far sì che questo accada, è necessaria una mobilitazione della società civile per invertire i rapporti di forza all’interno degli organi politici comunitari e dare voce e sostegno a proposte come quella di creare un’infrastruttura pubblica europea per la ricerca e lo sviluppo di vaccini e farmaci. Infine, Patrizia Toia, (Partito democratico) parlamentare europea, vicepresidente Commissione Industria, ricerca, energia (Itre), che ha contribuito a promuovere e presentare nell’ambito dello Stoa – Science and technology assessment panel del Parlamento europeo la proposta di creare un’infrastruttura pubblica europea per vaccini e farmaci, ribadisce il suo pieno sostegno alla stessa, la cui innovazione sta nel pensare al prodotto e ai benefici della ricerca come bene comune.
A seguire, intervengono altri membri del gruppo per presentare in maggior dettaglio le proposte di policy elaborate a partire dalle rispettive linee di ricerca. Ugo Pagano (Università di Siena) si concentra su brevetti e proprietà intellettuale: “Al Wto si continua a rimandare l’estensione della moratoria dei brevetti agli strumenti diagnostici per il covid nonostante il parere favorevole della commissione interministeriale. Particolarmente deludente è la posizione dilatoria dell’Europa. È urgente ampliare il ruolo della scienza aperta liberando la conoscenza da una sua ormai soffocante privatizzazione imponendo investimenti minimi in ricerca pubblica come condizione per partecipare in modo non opportunistico al commercio internazionale. Occorre inoltre istituire una authority internazionale che possa rapidamente espropriare conoscenze private che impediscono il raggiungimento di obiettivi pubblici o di ulteriore avanzamento della ricerca”. Fulvio Esposito (Università di Camerino), ricorda il lavoro del ForumDD sull’impatto sociale delle Università: “Gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, autentica macchina a vapore della rivoluzione tecnologica contemporanea, il cui carburante non è il carbone, ma l’accesso e l’utilizzo dei dati, rischiano non solo di far prevalere, ma di rendere irreversibile uno scenario di concentrazione della conoscenza e di esacerbazione delle disuguaglianze. In questo contesto, le università, produttrici e serbatoi di conoscenza e di dati, possono e devono esercitare un ruolo centrale per un uso democratico della conoscenza”.
“L’Italia è stata molto attiva nelle innovazioni tecnologiche legate alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico, seppur con profonde disparità regionali”, spiega Angelica Sbardella (Centro ricerche Enrico Fermi), autrice di uno studio che introduce un indicatore che misura la competitività tecnologica verde. “Sebbene mostri quote non elevate di brevetti verdi rispetto alla Germania e alla Francia, l’Italia si specializza in tecnologie molto complesse e si posiziona in modo continuo tra le prime cinque nazioni europee più competitive. Le regioni italiane hanno diversi vantaggi competitivi nelle tecnologie che potrebbero avere un ruolo cruciale per la transizione verde. L’emergenza climatica potrebbe essere l’ultima opportunità per rilanciare una crescita sostenibile dell’economia italiana. Perché accada, le imprese devono tuttavia essere affiancate da una nuova stagione di interventi statali”.
“L’emergenza climatica potrebbe essere l’ultima opportunità per rilanciare una crescita sostenibile dell’economia italiana”
Infine Giulio De Petra (Centro per la Riforma dello stato) insiste sull’uso di dati digitali e della necessità di restituirli alle comunità e ai territori per finalità sociali: “L’addestramento dei sistemi di AI applicati al linguaggio è il più recente esempio di come l’enorme quantità di dati generata dalla transizione digitale sia oggi utilizzata quasi esclusivamente dalle grandi aziende tecnologiche. Per restituire questa straordinaria risorsa anche alle comunità e ai territori che l’hanno prodotta è possibile, partendo dalle pratiche esistenti, realizzare infrastrutture che utilizzino i dati pubblici e privati per conseguire utilità sociali. Ad esempio per sostenere processi deliberativi finalizzati al governo locale o per rafforzare l’azione di contrasto delle disuguaglianze. Chiedendo al garante dei dati personali di autorizzare l’accesso ai dati dei privati per fini di pubblico interesse”.
“È possibile, partendo dalle pratiche esistenti, realizzare infrastrutture che utilizzino i dati pubblici e privati per conseguire utilità sociali”