Il principale canale di comunicazione del XXI secolo è rappresentato dai social network. Facebook, Twitter, Instagram, LinkedIn e persino TikTok sono diventati parte della vita quotidiana e professionale della maggior parte delle persone, e anche in campo medico-scientifico la comunicazione attraverso i social media ha fatto registrare nell’ultimo decennio una crescita esponenziale. In modo particolare i social hanno visto un prosperoso impegno da parte della comunità oncologica, poiché l’oncologia, con i suoi standard di cura in rapida e costante evoluzione, si mostra particolarmente adatta alla comunicazione su queste piattaforme.
“I social media creano connessioni che con il tempo si trasformano in collaborazioni professionali e perfino in amicizie personali”
Più genericamente in ambito medico, Twitter è al momento la piattaforma maggiormente utilizzata per lo scambio di informazioni tra fornitori e comunità, oltre che per i giornalisti, ma anche LinkedIn e Facebook vengono usati da molti, con differenze a seconda dell’area geografica di appartenenza. Ad esempio Twitter è uno dei mezzi di interazione più popolari per gli oncologi del Nord America e dell’Europa occidentale, ma di recente ha guadagnato posizioni pure nel resto del mondo, trattandosi di un sistema efficace e multidirezionale per diffondere idee, informazioni, nuovi dati e, soprattutto, per ampliare le reti e creare un dialogo laddove non è possibile farlo di persona. Alcuni membri della comunità oncologica internazionale hanno persino costituito la Collaboration for outcomes using social media in oncology (Cosmo), che nel 2021 ha tenuto un incontro inaugurale online di due giorni, con una combinazione di lezioni didattiche, tavole rotonde e coinvolgimento dell’intero pubblico per trattare argomenti rilevanti in ambito di comunicazione social in campo oncologico: i rischi percepiti, i potenziali benefici, la comunicazione sanitaria nell’era digitale, il punto di vista dei pazienti e degli stakeholder e quello degli opinion leader coinvolti negli studi clinici. I social media hanno la capacità di rafforzare questa comunità, creando connessioni che con il tempo si trasformano in collaborazioni professionali e perfino in amicizie personali. Il potenziale dei social è immenso in tutti i settori della medicina: promuovono l’organizzazione e la diffusione dei dati degli studi clinici, promuovono le strategie di prevenzione del cancro, diffondono le informazioni tra addetti ai lavori e pubblico, permettono di inserire nelle conversazioni punti di vista diversi e istruiscono i colleghi indipendentemente dalla nazione in cui operano e dagli strumenti accademici e organizzativi che hanno a disposizione, permettendo quindi l’accesso a informazioni di qualità anche agli oncologi dei Paesi in via di sviluppo.
Social Media e oncologia: cosa fare e cosa non fare
Ma ovviamente non ci sono soltanto vantaggi. I medici devono capire infatti cosa possono guadagnarci professionalmente, avendo tuttavia una chiara idea dei rischi a cui possono andare incontro. Don S. Dizon e Deanna J. Attai del comitato Cosmo, in un’intervista concessa al portale per medici Healio, hanno parlato proprio delle cose da fare e da non fare nell’uso dei social media da parte degli oncologi. Deanna J. Attai, Professore associato di Chirurgia presso la David Geffen School of Medicine dell’University of California – Los Angeles, ha ricordato come Twitter si sia evoluto nell’ultimo decennio, passando da una novità tra gli operatori sanitari usata per la condivisione di informazioni durante meeting e congressi a uno strumento essenziale per una serie di motivi. Tra questi, la diffusione di messaggi di salute pubblica, peraltro – come vedremo in seguito – ampiamente utilizzata durante la pandemia di covid-19. “Vedo sempre più medici che abbracciano l’uso dei social media per contribuire a diffondere informazioni accurate”, ha dichiarato Attai. Ma nell’utilizzo di un account Twitter esiste una linea sottile tra il twittare da un punto di vista professionale o personale. Per Attai, il messaggio da trarre è semplice: essere padroni dei propri contenuti. Invece di dire: “Mantieni i tuoi contenuti professionali”, afferma: “Che ti piaccia o no, come medico sei tenuto a uno standard diverso dal pubblico. Se volete pubblicare foto di voi alle feste o in costume da bagno in spiaggia, dovete essere consapevoli del fatto che questo potrebbe avere un impatto negativo sulla vostra carriera”. Anche un semplice like su un tweet o su un post Facebook può essere infatti tradotto dagli utenti come un’approvazione, e a seconda dell’argomento in questione il medico dovrebbe valutare attentamente se vale la pena rischiare oppure no. I social infatti amplificano prontamente la portata dei messaggi, a prescindere dalla loro qualità e veridicità, pertanto possono rivelarsi uno strumento di educazione molto utile, ma anche causare gravi danni diffondendo disinformazione.
Don S. Dizon – responsabile dell’attività di sensibilizzazione e coinvolgimento della comunità presso il Cancer Center della Brown University di Providence – dal canto suo incoraggia tutti i medici e gli oncologi a usare i social media, ma raccomanda anche ai principianti di prendersi un po’ di tempo prima di essere realmente attivi: “Osservate, guardate e ascoltate finché non sarete pronti”. Una volta che gli oncologi si sentono a proprio agio nell’interagire su Twitter e superano le esitazioni, però, possono scoprire che i vantaggi che ne derivano sono molti e che la piattaforma può aiutarli professionalmente. Anche il rapporto con i pazienti se ne può giovare. È ovvio che un consulto online sia ben diverso da una visita vera e propria, ma sui social emerge un lato dei pazienti totalmente differente rispetto a quello mostrato nella realtà, “una sorta di visione non filtrata”, sostiene ancora Attai.
“Se volete pubblicare foto di voi alle feste o in costume da bagno in spiaggia, dovete essere consapevoli del fatto che questo potrebbe avere un impatto negativo sulla vostra carriera”
Su questi temi abbiamo intervistato Franco Perrone, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), che ci ha rivelato di usare Twitter soprattutto quando ha un po’ di tempo da dedicare alla curiosità. “Su Twitter trovo quasi sempre segnalazioni utili, immagini che a volte uso nelle mie presentazioni e discussioni su temi che considero interessanti e importanti per il mio lavoro. Chiaramente questo dipende anche molto dal fatto che la scelta di chi seguire aiuta a creare una bolla di condivisione in cui è più facile trovarsi a proprio agio”. Anche Perrone invita agli oncologi a utilizzare Twitter, sottolineando tuttavia pure lui che bisogna prestare attenzione. “La bolla dell’oncologia che frequento su Twitter si caratterizza per una notevole coscienza critica, in qualche caso addirittura ipercritica. Per questo motivo suggerisco agli oncologi di iscriversi; mi sembra ci sia la possibilità di essere aggiornati su quello che accade di rilevante nel nostro mondo all’unisono con gli stimoli di revisione critica che servono per non accettare supinamente le narrative miracolistiche e propagandistiche, che in ogni caso non mancano”. “Ad ogni modo – prosegue Perrone – anche nella bolla critica, percepisco ogni tanto un po’ di autoreferenzialità e qualche eccesso di autostima, soprattutto da parte di alcuni recordman in termini di numero di messaggi e numero di follower. Mantenere buon senso e senso della misura non è mai facile”.
“Percepisco ogni tanto un po’ di autoreferenzialità e qualche eccesso di autostima. Mantenere buon senso e senso della misura non è mai facile”
Proprio su quest’ultimo aspetto è importante fare chiarezza. Si potrebbe ad esempio pensare che la forza dei social faccia sì che la visibilità del lavoro dipenda più dalla forza del networking che dalla qualità della ricerca stessa. In parte può essere vero, ma questo dovrebbe far riflettere invece sull’importanza e sulla responsabilità di mettere in evidenza ciò che è rilevante e innovativo, non ciò che è popolare e porta al proprio beneficio. Al contempo è fondamentale capire che non è la quantità di follower, ma la qualità delle informazioni e l’impegno delle proprie reti social a far progredire le proprie idee sui social media. Ne parla anche Raffaele Giusti – Uoc Oncologia medica azienda ospedaliero universitaria “Sant’Andrea” e “Sapienza” – Università di Roma – che, intervistato recentemente su Oncoinfo, sottolinea come attualmente “non impariamo più a saper scrivere un articolo scientifico che sia degno di questo nome, piuttosto a fare sì che il lavoro pubblicato sia collocato in uno scaffale editoriale che gli conferisca prestigio e influenza, collocandolo al centro di una rete di metriche che guardano tipicamente a dove si pubblica e a quante volte il lavoro viene citato”.
È altrettanto vero però che l’una non dovrebbe precludere l’altra, e in campo oncologico i social possono avere un impatto positivo nella ricerca. Uno studio pubblicato su Emerald Insight rivela infatti che le riviste scientifiche che utilizzano i social network ottengono più citazioni rispetto a quelle che non li usano, e uno studio prospettico randomizzato sull’attività di tweeting in chirurgia toracica ha dimostrato che i risultati dei tweet hanno portato a “un numero significativamente maggiore di citazioni di articoli nel tempo, evidenziando l’impatto scientifico duraturo dell’attività sui social media”. Pertanto, l’attività di tweeting va a vantaggio non solo delle riviste scientifiche, ma anche degli autori, la cui carriera e il cui avanzamento personale nell’oncologia accademica sono facilitati dalla maggiore diffusione del loro lavoro. Anche la pandemia di covid-19 ha giocato un ruolo chiave nell’utilizzo dei social. Un sondaggio rivolto agli oncologi, che ha esaminato il punto di vista sui social media durante la pandemia, ha rilevato infatti che i social hanno avuto una funzione utile nel sostenere la cura dei tumori e l’impegno professionale in oncologia. Sebbene un terzo degli intervistati abbia riferito di aver ridotto l’uso dei social media per via dello stress durante la pandemia, la maggior parte di essi li ha comunque trovati uno strumento utilissimo per tenersi aggiornati. Molti oncologi peraltro si sono approcciati a questo mondo durante il lockdown, anche per necessità, spinti dal fatto che collaborazioni, riunioni, conferenze e incontri di persona non fossero possibili, e pertanto disporre di un luogo di incontro virtuale è stato fondamentale.
In tutto questo, ci sono ovviamente da considerare anche vantaggi e svantaggi per l’utenza, in particolare – quando parliamo di oncologia – per i pazienti. I social media ad esempio possono aiutarli favorendo l’elaborazione della loro esperienza con la malattia, mentre alcuni studi hanno dimostrato che i pazienti che interagiscono sui social hanno maggiori probabilità di partecipare a studi clinici e screening. Attualmente la ricerca utilizza i social media per indirizzare gli sforzi di prevenzione del cancro nei giovani adulti e proporre un rafforzamento delle conoscenze scientifiche a sostegno delle strategie dei social media atti a promuovere proprio i comportamenti preventivi. Insomma, il potenziale dei social media in oncologia è davvero immenso e compito degli addetti ai lavori dovrebbe essere anche quello di farsi protagonisti di questa rivoluzione, cercando di comprendere sempre meglio come utilizzare questi strumenti e incoraggiando i colleghi più reticenti, allo scopo di riunire voci, idee e conoscenze, rafforzando la comunità oncologica e di conseguenza la ricerca.