Immaginate di essere fuori a divertirvi con i vostri amici e invece di ordinare una birra, un cocktail o un semplice bicchiere di vino chiedete dell’acqua tonica con ghiaccio e limone. Potreste essere investiti da sguardi irrisori, sorrisetti e da domande del tipo: “Ma perché non bevi?”, “Stai male?”, “Da quando sei astemio?” La sola idea che possiate non aver voglia di bere sembra inconcepibile, quando non ridicola o semplicemente noiosa. Eppure non lo è affatto. Per lo meno non lo è fuori dall’Italia dove, soprattutto nei paesi anglosassoni, si starebbe affermando il movimento dei cosiddetti sober curious – ovvero curiosi della sobrietà.
I sober curious sono, nella definizione un poco cinica data da Adrien Matei sul Guardian, coloro che bevono poco o niente e, con orgoglio, strombazzando sui profili social la loro sobrietà. In realtà sono solo persone, a quanto pare per lo più della generazione dei Millennial, che hanno deciso che l’alcol non è una componente indispensabile delle loro serate o del loro divertimento e che scelgono di volta in volta se hanno voglia di bere oppure no.
“Descrive un approccio che mette in discussione il proprio comportamento e che può essere applicato a ogni occasione in cui si consuma alcol”, racconta a PBS Newshour Ruby Warrington che ha coniato il termine sober curious e che lo scorso anno ha pubblicato un libro così intitolato. “Il consumo di alcol tra i millennial e i generation Z è in netta diminuzione e io penso che a questo contribuiscano diversi fattori. Il primo è il fatto che le persone sono molto più consapevoli dei diversi modi in cui quello che consumiamo influenza il nostro organismo, che sia quello che mangiamo o quello che beviamo”.
Che ci sia qualcosa di solido dietro a questo trend e non sia solo una moda passeggera sembrerebbe confermato dalla risposta dell’industria e del mercato. Diverse aziende produttrici di birra annoverano nel loro catalogo bevande alcol-free, per esempio. La più famosa è forse la Heineken che in occasione del lancio dell’ultimo film di James Bond, “Not time to die” ha realizzato uno spot in cui Daniel Craig invece dell’iconico Martini – agitato, non mescolato – sorseggia una birra senz’alcol. Da Londra a New York, da Melbourne a Dublino, passando per San Diego, cominciano poi a spuntare sempre più numerosi bar analcolici – locali dove in menu non vi è traccia di alcol.
Anche l’industria del divertimento non è da meno. Daybreaker è una community che qualche anno a questa parte organizza dance party alle primissime ore del mattino in cui i partecipanti si scatenano per due ore a ritmo di musica ma in un ambiente rigorosamente alcol-free. “Il bere è d’intralcio al ballare: le persone devono fare avanti e indietro dal bar, bere sulla pista del ballo e sono più presi dal proprio drink che dagli altri”, racconta Adrian Williamson, uno degli organizzatori di queste matinée a New York, sempre a PBS.
Sembra dunque esserci un trend, che forse non è il caso di etichettare come una novità, quanto come un ritorno al passato. Nel corso della storia si ritrovano diverse epoche e diversi gruppi in cui la sobrietà era lo stile di vita prescelto. Un esempio tra i più recenti è quello dello stile di vita Straight Edge diffuso tra gli esponenti dell’hardcore degli anni ‘80. Anche se non più popolare come allora, vi sono ancora diverse persone che scelgono di vivere senza alcol, tabacco, droghe e alimenti di origine animale. Tanto per fare due nomi noti anche in Italia, seguono questo stile di vita sia il fumettista ZeroCalcare sia la cantante Billie Eilish.
Le persone sono molto più consapevoli dei diversi modi in cui quello che consumiamo influenza il nostro organismo.
Ed è proprio tra le persone dell’età di Zero Calcare (meno tra quelle dell’età di Billie Eilish) che si starebbe piano diffondendo un consumo più consapevole. I Millennial infatti sono coloro nati tra il 1981 e il 1996 secondo l’ultima ufficiale classificazione del Pew Center. Questo vuol dire che sebbene nella conversazione collettiva Millennial sia sempre sinonimo di giovane, questo non è sempre vero. E quando si parla di alcol è importante sottolinearlo, non sono i giovani i sober curious, anzi tra loro l’alcol esercita ancora un notevole fascino e ha un forte ruolo di lubrificante sociale.
I più giovani sono infatti proprio tra quelli che l’ultima relazione sul consumo di alcol in Italia presentata al Parlamento include tra i soggetti a rischio. Secondo quanto riportato nella relazione, “nel 2017 il 14,8 per cento degli uomini e il 5,9 per cento delle donne di età superiore a 11 anni hanno dichiarato di aver abitualmente ecceduto nel consumare bevande alcoliche (…). Nella fascia di età 11-24 anni”. “È soprattutto diffusa la consuetudine di bere alcolici fuori dai pasti, con una frequenza di almeno una volta a settimana, ciò indica un comportamento nel consumo di alcol adottato in modo abituale e potenzialmente a rischio”, prosegue il documento. Uno dei dati più preoccupanti dice che nella fascia di età tra gli 11-17 anni ben il 18,4 per cento ha riportato almeno un comportamento a rischio.
Questo valore invece dovrebbe tendere a zero. Emanuele Scafato, Direttore del centro dell’OMS per la Ricerca e la Promozione della Salute sull’Alcol e le problematiche Alcolcorrelate nonché dell’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità, ci ricorda che le norme di tutela dei minori prevedono il divieto di vendita e di somministrazione ai giovani al di sotto dei 18 anni di età. Norma tanto rilevante quanto disapplicata.
Oggi l’alcol ha un valore perché il messaggio pubblicitario è ‘se bevi alcol hai successo sessuale, successo sociale, sei circondato da belle donne, hai una vita fantastica’.
Questa norma, spiega Scafato è basata su evidenze scientifiche. “A 12 anni, quella che dovrebbe essere la parte più nobile del cervello, la corteccia prefrontale comincia a maturare e a crescere fisicamente, volumetricamente, dai 12 anni e finisce a 25”. L’alcol interferisce questa maturazione e con la crescita di volume della corteccia cerebrale. “La corteccia prefrontale, quella che dovrebbe garantire razionalità, non riesce a prevalere su quella laterale, tipicamente adolescenziale, emotiva, impulsiva”, spiega Scafato, “per cui la persona rimane cristallizzata in una modalità cognitiva che non è quella ‘sapiens’ e quindi è più istintiva, aggressiva, irascibile o depressa in quanto non controllata dalle funzioni proprie di un cervello maturo ma di un organo a cui l’alcol ha sottratto l’opportunità di un sano sviluppo verso un controllo razionale tipicamente raggiunto intorno ai 25 anni”.
Nel Piano di Prevenzione Nazionale del Ministero della Salute e nelle linee guida dell’Oms è previsto che vengano messe in atto politiche per ridurre il consumo alcolico, soprattutto tra i giovani, ma come fare?
“Oggi l’alcol ha un valore perché il messaggio pubblicitario è ‘se bevi alcol hai successo sessuale, successo sociale, sei circondato da belle donne, hai una vita fantastica’. Bisogna imparare a far riflettere la gente in maniera da far crescere la consapevolezza che l’alcol non è per tutti, che se si vuole prevenire il cancro la scelta migliore è non consumare alcolici, accertato che l’alcol è un cancerogeno e che non esistono quantità moderate di consumo non a rischio o alcolici sicuri. Chi sceglie di bere deve essere consapevole del rischio quanto del piacere che l’effetto psicoattivo dell’alcol provoca e che sarà bene contenere a non più di un bicchiere al giorno per donne e ultra65enni, due al massimo per gli uomini e niente sino ai 18-21 anni e soprattutto quando non si espone sé stessi o gli altri a un pregiudizio per la salute e per la sicurezza”.
Un valore di alcol che sembra proprio molto vicino a quello dei sober curious, come spiega una delle intervistate a PBS: “È semplicemente mettere in discussione questa relazione (con l’alcol, ndr): chiedermi ‘è qualcosa di cui ho voglia in questo momento’, invece di essere semplicemente qualcosa che faccio sempre”.