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Sicurezza sul lavoro: la lezione delle Ragazze del Radio


Venerdì scorso era il 1 maggio, giorno in cui tutto il mondo si celebra la Festa dei lavoratori. Un Primo Maggio caduto in uno dei momenti in cui, come pochi altri nella storia recente del nostro Paese, il lavoro di molti è in pericolo. Molti lavoratori sono stati fermi per quasi due mesi, molti hanno perso il lavoro o sono stati messi in cassa integrazione. Altri hanno dovuto sperimentare forme di lavoro inconsuete, smart working, telelavoro e via dicendo. Molti invece hanno dovuto continuare a lavorare: per prestare assistenza a chi colpito dal Sars-CoV2, il virus responsabile della Covid-19; per fare in modo che la produzione e la distribuzione di alimenti e di altri beni essenziali non venisse meno; per pulire, sanificare, sterilizzare ospedali o industrie; per garantire trasporti. Tanto per fare alcuni esempi.

Non sempre queste persone hanno visto rispettato il loro diritto di lavorare in sicurezza: dall’assenza di misure di protezione personale alle difficoltà a mantenere il distanziamento necessario. Non è un caso che proprio “Lavoro in sicurezza” sia stato il tema del tradizionale concertone di questo Primo Maggio. Se oggi possiamo vedere riconosciuto, se non altro su carta, il diritto a lavorare in condizioni che non danneggino la nostra salute è anche grazie a tutti i lavoratori che hanno combattuto negli anni passati. E grazie alle lavoratrici. Proprio lo scorso 1 Maggio, su Radio Rai 3 a Wikiradio, Massimo Pinto, fisico napoletano, ha raccontato la storia di uno straordinario gruppo di ragazze, le Ragazze del Radio, che ha contribuito a garantire questi diritti.

Facciamo un salto indietro. Siamo agli inizi del secolo scorso,  da pochissimo Marie Curie ha vinto il suo secondo Premio Nobel per la Chimica, dopo aver condiviso nel 1904 quello per la Fisica con il marito Pierre. Al centro dei loro premi il Radio, che a quel tempo era diventato immediatamente popolare. Lo si considerava – che ironia – una sorta di panacea contro tutti i mali, lo si trovava ovunque in dentifrici, creme, bevande tonificanti. Ovviamente prodotti destinati a pochi eletti, ricchi, considerato quanto fosse costoso mettere le mani su pochi grammi di questo elemento.

Oltre ai suoi presunti effetti benefici, a risultare commercialmente molto interessante è un’altra caratteristica di questo elemento: mischiando il radio con alcuni sali di zolfo, zinco e fosforo, si può convertire una parte dell’energia rilasciata durante il decadimento di questo elemento in radon in luce visibile. Sfruttando questa caratteristica il chimico viennese Sabin Arnold Von Sochocky mette a punto nel 1908 una vernice in grado di rendere gli oggetti luminosi al buio, fluorescenti. Per i successivi 40 anni, questa vernice è stata spennellata su quadranti di orologi e su quelli di strumenti a bordo di aerei e navi in modo che fossero leggibili anche al buio.

L’esercito statunitense al suo ingresso nella Prima Guerra Mondiale è stato tra i principali acquirenti di tali strumenti. E per far fronte a questa richiesta, racconta Pinto, tra gli anni 10 e gli anni 20 del 1900 nelle città di Newark e Orange nel New Jersey e a Ottawa in Illinois, due aziende, la United States Radium Corporation e la Radium Dial aprirono dei cosiddetti “studios” – stanzoni dove ragazze giovani e giovanissime, anche appena adolescenti – provenienti da famiglie di immigrati europei, dipingevano numero dopo numero, lancetta dopo lancetta questi quadranti di orologi.

La formula era: immergi il pennello nella vernice, dai forma con le labbra, dipingi, così per centinaia di volte al giorno.

Immaginiamo adesso di essere una delle ragazze al primo giorno di lavoro, si arrivava allo studio, in centro città a Newark, e si saliva su per una rampa di scale, accedendo alla sala centrale c’erano file di banconi in legno con postazioni singole per ciascuna di loro, c’era una boccetta di ‘luminous paint’, un vassoio con le lancette di orologi da ricoprire con la vernice, un pennello e un po’ d’acqua in una seconda boccetta. (…) La vernice era molto costosa e non bisognava sprecarla per cui alle ragazze veniva insegnato che bisognava appoggiare le setole tra le labbra per ridare al pennello una forma più affilata (…) La formula era: immergi il pennello nella vernice, dai forma con le labbra, dipingi, così per centinaia di volte al giorno”.

Con il tempo si è poi venuto a sapere che le due aziende erano, per lo meno in parte e poi sempre di più con il passare degli anni, consapevoli della pericolosità di maneggiare il radio in questa maniera. Ma non ne fecero parola con le ragazze. “In camera oscura le ragazze brillavano letteralmente, c’erano tracce di vernice sui loro vestiti, nei loro capelli, alcune per riderci su magari con le rimanenze della giornata di lavoro si ricoprivano le sopracciglia o i denti per brillare al buio o anche per sorprendere i ragazzi alla sera quando andavano a ballare”.

Non passò molto tempo tuttavia che alcune delle ragazze cominciarono a lamentare problemi di salute: stanchezza, mal di schiena, dolori alle articolazioni che le portavano a zoppicare e soprattutto denti che cadevano (ad appena vent’anni) portandosi dietro pezzi interi di mascella. Nonostante molti medici, soprattutto dentisti, sospettassero che fosse il lavoro delle ragazze a provocare loro questi problemi di salute, era molto difficile provarlo. I loro malesseri erano considerati frutto di isteria femminile, ormoni, e ad altri pregiudizi. In fondo erano solo ragazze ad ammalarsi, doveva essere per forza un male “femminile”.

Queste ragazze soffrirono di dolori atroci, furono ridicolizzate, stigmatizzate. Dar loro giustizia deve esser stata un’esperienza grandiosa sia per gli avvocati sia per il dottor Martland.

Poi, le ragazze cominciarono a morire, la prima fu Amelia Maggia, figlia di immigrati italiani che a morì a soli 24 anni li 12 settembre 1922. E cominciarono anche a combattere. Guidate da Grace Fryer, cinque ragazze, tra cui la sorella di Amelia, iniziarono una lunga battaglia legale contro la United States Radium Corporation. Ci misero due anni solo a trovare un avvocato disposto ad aiutarle, Raymond Barry. In questi due anni tuttavia avvennero alcune cose che sarebbero poi state d’aiuto alla causa di quelle che erano state ormai battezzate “Radium Girls”. La prima fu la nomina a Chief medical examiner della contea di Essex di Harrison Martland, un medico coscienzioso e votato a impedire morti inutili sui luoghi di lavoro. La seconda fu la morte di un uomo, e non un uomo qualunque, il Dottor Lehman, capo chimico della United States Radium Corporation, di anemia fulminante.

Questa morte, insieme a quella delle giovani e ad altri alcuni dati raccolti fecero sospettare a Martland che vi fosse qualcosa di strano e gli fecero disporre l’autopsia di Lehman. Proprio insieme all’inventore della vernice luminosa Von Sochocky, il medico mise a punto un sistema per misurare la radioattività nei resti umani che dimostrò incontrovertibilmente che l’uomo era morto perché aveva accumulato enormi quantità di radio nelle ossa. Fu disposta l’esumazione e l’analisi del corpo di Amelia e il risultato fu identico. Barry riuscì a ottenere un patteggiamento con la United States Radium Corporation e un risarcimento per le ragazze.

Queste ragazze soffrirono di dolori atroci, furono ridicolizzate, stigmatizzate. Dar loro giustizia deve esser stata un’esperienza grandiosa sia per gli avvocati sia per il dottor Martland”, ci spiega in un’intervista Massimo Pinto. Oggi ricercatore in dosimetria all’Istituto Nazionale di Metrologia delle Radiazioni Ionizzanti, presso l’Enea, Pinto ha compiuto il suo primo periodo post-dottorato (post-doc) proprio a Newark alla New Jersey Medical School, motivo per cui è molto legato a questa vicenda.

Ho vissuto per tre anni proprio nella città dove fu aperto il primo degli studios, la prima fabbrica di lancette fluorescenti per orologi, e lavoravo nell’Università dove aveva lavorato il Dottor Harrison Stanford Martland, la New Jersey Medical School che ora fa parte della Rutgers University. Questa storia è molto sentita in quella comunità . Anche la cittadina di Orange, dove fu costruita una fabbrica più grande, ed alcuni dei cimiteri in cui sono seppellite le ragazze, sono a pochi chilometri dall’Universita”.

Oltre che nel podcast di Wikiradio, la storia di queste ragazze – 357 si conta in tutto siano state quelle impiegate in questo compito mortale – è stata raccontata splendidamente nel 2017 da Kate Moore, in un libro intitolato “The Radium Girls: The Dark Story of America’s Shining Women”. L’anno seguente è stato realizzato un film (vedi il trailer qui sopra) che sarebbe dovuto uscire nelle sale italiane il 3 aprile 2020, ma la cui uscita è stata rimandata a data da definirsi a causa della pandemia di Covid-19.

In realtà le cinque ragazze, quelle note come Radium Girls, ottennero sì un risarcimento, ma non vera giustizia. Per quella si dovette attendere un altro processo, molto più seguito dai media e molto più spettacolare. Quello contro la Radium Dials, intentato da alcune ragazze di Ottawa, in Illinois. Forti del successo delle Radium Girls, di un’opinione pubblica che cominciava a cambiare parere sul radio, delle prime evidenze scientifiche fornite da Martland e von Sochoky, le ragazze ottennero una vittoria schiacciante in ogni grado di giudizio.

Quella vittoria fu fondamentale per cambiare le leggi nello stato del New Jersey e dell’Illinois, ma non solo, così come anche per una revisione delle norme di sicurezza del lavoro in moltissimi ambiti. È una di quelle vittorie che ha permesso a molti lavoratori di vedere riconosciuto il diritto alla salute e alla sicurezza sul luogo del lavoro. Diritto oggi ancora troppe volte negato.

Se cambi il nome dell’azienda e dell’agente tossico, scegliendone due più… contemporanei, ti accorgi subito che la storia è più che mai attuale. Certo, la medicina del lavoro ha compiuto dei passi enormi, ma questa storia tocca la nostra sensibilità perché è soprattutto una storia umana, di interessi economici che si antepongono al benessere delle persone. Anche la storia di Erin Brockovich Ellis, molto più vicina a noi, temporalmente, ci mette subito dalla parte dei più deboli”, conclude Massimo Pinto.

Ascolta qui l’intera puntata del podcast dove trovi anche testimonianze delle ragazze e il racconto della loro battaglia legale.