“Il fulcro della mia personale difficoltà nella concentrazione e nel perseguire, in un certo senso, lo studio è proprio l’angoscia e la paura di non sapere a cosa stiamo andando incontro”. A dirlo è Carlotta, una dei nove milioni di studenti italiani costretti a casa da scuola dalle misure anti-contagio prese per l’epidemia da SARS-CoV-2.
È dal 5 marzo 2020 che tutti gli insegnamenti didattici sul territorio nazionale sono sospesi. Inizialmente le lezioni sarebbero state interrotte fino al 3 aprile nella zona rossa e poi fino al 15 marzo nel resto del Paese. Ma il 10 marzo è entrato in vigore un nuovo decreto che ha esteso la zona rossa all’intera penisola, estendendo la sospensione al 3 aprile in tutta Italia. Forse proprio questo cambio di rotta ha causato un maggior stato d’allerta nei giovani: vedere in diretta la situazione aggravarsi e il rinvio del ritorno a scuola allontanarsi ha fatto in modo che l’incertezza sul proprio futuro si acuisse.
Per non far restare indietro gli studenti, per continuare a provvedere alla loro istruzione in tutte le scuole sono state prese contromisure grazie ai numerosi canali digitali di comunicazione che in una situazione come questa si rivelano indispensabili. All’indomani del decreto del 5 marzo, infatti, molti professori hanno risposto prontamente all’emergenza dando la possibilità ai propri studenti di mettersi in contatto con loro tramite Skype, WhatsApp o altre applicazioni. “Da quando non andiamo a scuola i nostri professori ci hanno fatto scaricare un’app che è WeSchool in cui creano delle classi virtuali”, racconta Elisa.
Il problema non sono solamente le lezioni che in questo momento sono state annullate, ma anche tutte le altre attività che rendevano piene le settimane sono state rimandate.
Le testimonianze mostrano un’organizzazione disomogenea da scuola a scuola, probabile conseguenza dalle diverse abilità dei docenti nell’adottare questi nuovi strumenti didattici. Non tutti infatti sono ricorsi a questi canali alternativi: alcuni hanno deciso di usare, almeno per ora, il registro elettronico come unico mezzo di comunicazione. Con questo strumento tuttavia i professori possono solo assegnare i compiti, come è accaduto nel liceo di Nina: “La nostra scuola ancora non ha fatto niente, nessuna piattaforma in cui i professori possono pubblicare le loro lezioni (…) Però da oggi hanno iniziato a pubblicare sul registro i compiti in modo tale che volta per volta possiamo continuare comunque a studiare”.
Quella dei compiti sembra una strategia molto apprezzata come antidoto giornaliero contro la noia, uno stato che affligge tutti gli intervistati alternato a un prevedibile stato d’inquietudine.
All’università la situazione non sembra essere molto diversa da quella del liceo, e anche in questo caso i provvedimenti presi cambiano da docente a docente. Eppure questa potrebbe trasformarsi in una buona occasione per sperimentare questi nuovi strumenti didattici. Mettere a punto strategie di insegnamento basate su queste tecnologie, consentirebbe, in circostanze più ordinarie, di offrire una didattica di qualità anche a chi ha difficoltà a seguire le lezioni: per esempio a chi, oltre a studiare lavora, spesso in orario di corsi, e quindi spesso ha a disposizione solo il libro di testo come risorsa.
Ovviamente non è solo la scuola o l’università a mancare ai ragazzi. Oltre agli istituti, come ben sappiamo, anche buana parte delle attività commerciali sono state sospese con l’intenzione di ridurre il più possibile il numero di persone in circolazione e i contatti tra loro. E anche questo ha un peso, come sottolinea Ginevra, studentessa universitaria. “Il problema non sono solamente le lezioni che in questo momento sono state annullate”, spiega, “ma anche tutte le altre attività che rendevano piene le settimane sono state rimandate. Quindi dal corso di arrampicata, dall’attività di tirocinio, di baby-sitter, il corso di francese, gli incontri con il collettivo della facoltà. Quindi bisogna trovare delle alternative stando a casa”.
Quello che chiaramente trapela dalle testimonianze raccolte è l’insofferenza per la diminuzione delle interazioni sociali. Un isolamento forzato che seppur dovuto a cause maggiori si fa fatica ad accettare. Eppure come giustamente suggerisce Vittorio, studente universitario a Modena, non c’è altro da fare che “stringere i denti e tirare avanti”.
Pubblichiamo qui sotto una testimonianza scritta, che ci ha inviato Virginia, una studentessa liceale di Roma, che non era a suo agio ad apparire in video.
Le scuole sono chiuse da mercoledì. Alcuni professori si aspettavano già che sarebbe successo, mentre altri si sono trovati completamente disorientati e impreparati per quanto riguardava l’organizzazione delle lezioni successive. I primi giorni li abbiamo concepiti un po’ come una vacanza. Avevamo pochi compiti, nessuno che ci controllava e non sapevamo bene come si sarebbe evoluta la situazione. Li abbiamo passati stando con i nostri amici senza troppe preoccupazioni. Quando ci hanno vietato di uscire, ci siamo resi conto della gravità della situazione.
L’ultima settimana è stata la più pesante. I professori ci caricano di compiti ogni giorno con la scusa che ‘tanto non abbiamo nulla da fare’. Molti di questi dobbiamo inviarli per email così che gli insegnanti possano controllare la nostra partecipazione. Hanno paura di non riuscire a finire il programma e di arrivare alla fine dell’anno senza un numero sufficiente di valutazioni. Uno dei miei professori ha perfino programmato una verifica per la prossima settimana su una piattaforma su cui si possono caricare esercizi.
Da lunedì sono cominciate anche le video-lezioni. Utilizziamo una piattaforma disegnata per le video-conferenze che permette anche la condivisione dello schermo, così che i professori possano farci vedere gli esercizi e i testi su cui stiamo lavorando. Le lezioni avvengono in mattinata attenendosi all’orario scolastico, quindi ne abbiamo circa sei ogni giorno. I professori spiegano come se fossimo in classe, all’inizio dell’ora fanno domande di ripasso e ci chiedono di risolvere esercizi.
In generale fare lezione da casa in pigiama è molto più comodo che doversi svegliare presto, ma tutto sommato preferirei tornare a scuola piuttosto di rimanere rinchiusa in casa senza poter uscire e vedere i miei amici.