Durante la pandemia abbiamo avuto paura di frequentare ospedali e ambulatori: lo abbiamo fatto solo se era indispensabile. Soprattutto, però, la riorganizzazione degli ospedali ha rallentato e in alcuni casi interrotto la sospensione dell’offerta dei programmi di screening organizzati dai dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie. Come leggiamo sul sito Epicentro dell’Istituto superiore di sanità, “questo ha causato una riduzione statisticamente significativa nella copertura da screening organizzato, che solo in parte sembra tradursi in un aumento del ricorso ai test di screening su iniziativa spontanea”.
In altre parole, se le istituzioni non ci sollecitano difficilmente prendiamo noi l’iniziativa. “Dopo un continuo trend in salita, la quota di donne che si sottopone allo screening cervicale nell’ambito dei programmi organizzati è passata dal 52% del 2019 al 46% del 2020. Analogamente accade per la copertura dello screening mammografico organizzato, passato dal 57% al 50%, e per quello colorettale, che si è ridotto dal 42% al 36%. Queste riduzioni si registrano ovunque nel Paese, sono significative nelle regioni del nord, più massicciamente investite dalla pandemia, ma si osservano anche nel centro e nel Sud del paese”. Niente di diverso da quello che è accaduto in altre nazioni. Negli Stati Uniti – e qui andiamo a vedere i dati dei Centers for disease control and prevention – i tassi di screening del cancro al seno e al colon sono rimasti leggermente al di sotto dei valori storici di riferimento, con un calo rispettivamente del 2,7% e del 3,4%. Mentre invece i tassi di screening del cancro del collo dell’utero sono inferiori del 10% rispetto ai valori di riferimento storici. Se andiamo a vedere a cosa corrisponde questo calo in termini assoluti, parliamo negli Usa di circa 68.000 screening mancati del cancro al seno, 27.000 del cancro del colon e 9.000 di quello della cervice da gennaio 2021 a ottobre 2021.
Le conclusioni dei ricercatori dell’Istituto superiore di sanità sono molto preoccupate e sollecitano la necessità di “potenziare i programmi di screening organizzati tenendo conto delle diverse capacità di resilienza dei sistemi sanitari regionali, investire nella formazione degli operatori sanitari sul counselling sanitario, perché promuovano maggiormente e più efficacemente l’adesione dei cittadini ai programmi di screening e in generale alla prevenzione. Sarebbe inoltre necessario promuovere interventi mirati ai gruppi di popolazione che più di altri restano esclusi dalla prevenzione per abbattere le eventuali barriere (culturali, sociali o economiche) di accesso ai servizi e per promuovere maggiore consapevolezza sull’importanza della prevenzione”.
“Se si interrompe lo screening, i pazienti con tumore aggressivo presenteranno un tumore sintomatico più tardi e non saranno valutati a causa della pandemia, e le cure saranno ulteriormente rimandate”
Una delle principali preoccupazioni, infatti, era – ed è ancora oggi – che le diagnosi precoci di tumore potessero sfuggire per la mancanza di un controllo tempestivo, portando a un aumento dei tassi di tumori di stadio più avanzato. “In genere si assiste a cali della mortalità per cancro compresi tra l’1% e il 2% ogni anno – aveva scritto Norman E. “Ned” Sharpless, direttore del National Cancer Institute americano – ma ora stiamo iniziando a vedere gli effetti della pandemia sulla mortalità per cancro, che potrebbero essere in una direzione opposta, ovvero un aumento tra l’1% e il 2% della mortalità per cancro nel 2021, 2022 e 2023”. Ma a distanza di diversi mesi, c’è stato un aumento del numero di diagnosi di cancro? C’è stato davvero un aumento dei tumori avanzati o gravi?
Qualcuno è andato a vedere cosa dicono i dati. I ricercatori di Epic Research – un media che vale davvero la pena di conoscere – hanno valutato 373.574 diagnosi di cancro inserite nelle cartelle cliniche dei pazienti tra il 1° gennaio 2018 e il 31 dicembre 2022. All’inizio della pandemia si è registrato un calo evidente dei casi di cancro, correlato alla diminuzione degli screening. Tuttavia, quando il numero delle persone aderenti ai programmi di screening è tornato alla normalità, non si è registrato un aumento significativo del tasso di diagnosi di cancro rispetto al periodo precedente la pandemia. “Non solo i tassi di diagnosi di cancro non sono aumentati in modo significativo, ma anche le nuove diagnosi di tumori avanzati non sono aumentate”.
Sono numeri da leggere con prudenza anche perché l’intervallo temporale è sicuramente troppo breve per mettere già in evidenza un aumento dei casi. Ad ogni modo, l’orientamento prevalente è che l’attività di screening organizzata dovrebbe riprendere in modo molto sostenuto e in un breve periodo di tempo per minimizzare gli effetti negativi sull’incidenza e sulla mortalità. Ciò detto, è un’occasione preziosa per valutare se siano davvero utili gli screening proposti dalle istituzioni a gruppi di popolazione non stratificati per rischio: a distanza di pochi anni potrebbe diventare più evidente il rischio di una sovradiagnosi di cancro e del conseguente sovratrattamento.