×

Salute mentale tra servizi e città che curano. Da Trieste un appello ad andare avanti


Gli ultimi due mesi sono stati particolarmente duri per il mondo della salute mentale. Il 16 marzo è venuto a mancare a Trieste Franco Rotelli, psichiatra tra i protagonisti della riforma che nel 1978 portò alla chiusura dei manicomi nel nostro Paese (la cosiddetta legge 180 o legge Basaglia). Risale a poco più di un mese più tardi, invece, l’uccisione a Pisa della psichiatra Barbara Capovani, avvenuta per mano di uno dei suoi assistiti.

Si è aperto proprio con una riflessione su questo drammatico caso di cronaca l’incontro «Toccare la terra, bagnare le rose, cambiare le cose», giornata di ricordo in memoria di Rotelli tenutasi il 6 maggio nel Parco di San Giovanni a Trieste, presso il roseto realizzato simbolicamente nell’area del parco dove era situata la discarica del manicomio in cui si concretizzò la visione di Franco Basaglia.

“Il rischio inevitabilmente connesso all’esposizione di un operatore, alla sua assunzione di responsabilità, resta un valore”, ha ricordato Giovanna Del Giudice, psichiatra triestina e presidente dell’associazione Copersamm – Conferenza permanente per la salute mentale nel mondo Franco Basaglia, promotrice dell’incontro. “E non possiamo neppure pensare di fare un passo indietro, come molti oggi propongono. Dobbiamo e vogliamo fare invece un passo in avanti verso la protezione di un gruppo, di un’equipe, di un servizio intero, verso uno stile di lavoro collettivo che si fa protezione per gli operatori e gli utenti”.

salute mentale trieste
Mons. Enrico Trevisi (Vescovo di Trieste), Massimo Tognolli (Assessore alle Politiche sociali del Comune di Trieste) e Giovanna Del Giudice

Come già accaduto in passato, infatti, la morte di Barbara Capovani è stata prontamente utilizzata per attaccare, spesso in modo vago e superficiale, la legge 180. “La morte della psichiatra di Pisa, aggredita e uccisa da un suo paziente, rafforza la convinzione che sia necessaria e non più rimandabile una profonda riflessione sulla legge 180”, si legge ad esempio in un una nota diffusa dalla Lega in seguito alla pubblicazione della notizia. Una posizione poi fatta propria anche da altri esponenti politici e da alcuni media.

L’incontro del 6 maggio ha quindi rappresentato qualcosa di più che una semplice commemorazione. È stata l’occasione per riflettere sull’attualità dell’approccio basagliano all’assistenza psichiatrica e proporre soluzioni concrete per difendere il futuro della legge 180 che – a prescindere dalle posizioni strumentalmente ostili, dalle “idiozie e le stupidaggini” come le ha definite lo psichiatra Peppe Dell’Acqua – rimane una grande conquista per la salute pubblica italiana e non solo.

Gli attacchi delle ultime settimane, va poi detto, si collocano in un contesto che da molti anni vede governi di tutte le parti politiche tagliare le risorse messe a disposizione del Servizio sanitario nazionale e, in particolare, dei servizi per la salute mentale. Un confronto sui dati ministeriali relativi agli anni 2016 e 2021, pubblicato su Quotidiano Sanità, mostra solo in questo periodo una riduzione superiore al 10% della spesa pubblica totale destinata alla salute mentale, con i tagli più consistenti fatti proprio a livello di quei servizi territoriali che rappresentano la colonna portante della legge 180.

La salute mentale è una questione di comunità

L’approccio triestino alla salute mentale, sviluppatosi a partire dal lavoro di Franco Basaglia e portato avanti negli anni dai suoi collaboratori e altri operatori, è tuttora portato a esempio in tutto il mondo. Se già nel 1974 l’esperienza triestina era stata indicata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) come area pilota per la deistituzionalizzazione, a partire dal 1987 il Dipartimento di Salute mentale di Trieste è diventato ufficialmente centro collaboratore dell’Oms per la ricerca e formazione in salute mentale.

Con l’ovvio rischio di incorrere in un’ipersemplificazione, tale approccio può essere descritto attraverso le parole dell’attuale direttrice del Dipartimento di Salute mentale e abuso di sostanze dell’Oms, Devora Kestel, intervenuta nel corso dell’evento del 6 maggio: “Evitare che si sviluppino problemi psichiatrici non è un compito degli psichiatri. È un compito di tutti, della comunità intera”.

salute mentale trieste
Devora Kestel tra il pubblico

Le persone che fanno esperienza della sofferenza mentale non dovrebbero essere considerate come anomalie da riportare all’interno di ipotetici confini di normalità dettati dalla società escludente, da quella che Franco Basaglia e Franca Ongaro chiamarono la “maggioranza deviante”. Al contrario, esse dovrebbero sempre costituire un’occasione per le comunità di cui fanno parte per riflettere sulle proprie responsabilità, per ripensarsi e, in qualche modo, curarsi.

Da qui l’idea basagliana di portare i servizi di salute mentale all’interno della città e, in parallelo, la città all’interno dei servizi di salute mentale. Un’idea che risuona nelle parole dello stesso Rotelli, pronunciate pochi giorni prima della sua morte in un dialogo con Benedetto Saraceno e Giovanna Gallio: “Ci siamo attardati troppo a non fare politiche di salute mentale, vale a dire occuparsi un po’ meno della psichiatria e dei servizi psichiatrici, e cercare molti più alleati tra gli artisti, tra gli uomini e le donne di cultura, tra gli operai e le operaie, tra gli abitanti delle città e dei quartieri, tra le mamme e le famiglie, tra le associazioni – in altre parole nel mondo della vita”.

Anche qui l’esperienza triestina è esemplificativa. Negli anni nel capoluogo giuliano sono state attivate diverse risorse, supportate e finanziate dal Servizio sanitario, non strettamente psichiatriche ma educative, ludiche, comunicative, culturali e imprenditoriali, utili a generare nuove relazioni e forme di scambio all’interno della città. “Se Trieste ha funzionato è perché è stata un motore di queste risorse sparse”, diceva Rotelli. Un patto tra servizi di salute e mondo del lavoro, anche nell’ottica di quella che lo psichiatra chiamava impresa sociale: “Un mix di pubblico e privato, in cui il pubblico c’è ancora ma solo in parte, e in cui la parte migliore del privato, quella che desidera fare qualcosa di intelligente, si unisce al pubblico”.

Un sistema che, denunciano diversi relatori intervenuti nel corso dell’evento triestino, vive oggi una situazione di crisi. “Noi rischiamo, come operatori, di ridurci a esperti attivatori di formule pre-confezionate oltre le quali non abbiamo risposte e non sappiamo coltivare nuove alleanze”, ha messo in guardia Caròl, tecnica della riabilitazione psichiatrica. “Sento che ci siamo chiusi in linguaggi e tecniche, come se oggi quello che si discute nei servizi fosse proprietà solo degli operatori, come se il terzo non avesse più luogo e spazio di attenzione, come se di salute mentale potesse parlare solo chi sta dentro i servizi”.

Il disagio mentale come archetipo di tutte le marginalità

A Trieste può succedere di sentire uno psichiatra pronunciare – di fronte a circa 150 persone, molti dei quali operatori del settore – la seguente frase: “Le giovani generazioni di cittadini dovrebbero ricordarsi di non lasciare la psichiatria agli psichiatri, di non lasciare che siano i tecnici i soli ad occuparsi di questa storia”.

A dirlo è stato Alessandro Saullo, medico del Centro di salute mentale dell’Alto Isontino di Gorizia. Secondo lo psichiatra, infatti, l’attuale crisi della sanità pubblica andrebbe interpretata come qualcosa di più ampio,  come una crisi di sistema che non riguarda solo pazienti e sanitari ma tutti i cittadini.

“Riguarda il modo in cui noi viviamo le nostre comunità – ha spiegato nel corso del suo intervento – soprattutto per la salute mentale. Non possiamo pensare che in un dato luogo sia possibile fare una buona salute mentale solo perché c’è un buon servizio di salute mentale con dei bravi psichiatri, infermieri e assistenti sociali”. In altre parole, la disponibilità di buoni servizi psichiatrici non è sufficiente se questi non sono affiancati da un certo grado di partecipazione della comunità tutta. “Noi dobbiamo costruire e ricominciare a costruire delle comunità accoglienti. Quando Rotelli parlava di ‘città che cura’ parlava anche di una consapevolezza diffusa della salute mentale come valore”.

salute mentale trieste
Striscione esposto al funerale di Franco Rotelli

Si sente spesso dire che la salute mentale è una cosa che riguarda tutti, perché tutti potremmo un giorno andare incontro a una fase di sofferenza psichica. Ma la salute mentale, ha ricordato Saullo, ci riguarda anche perché è un tema che parla di diritti.

“La rivoluzione della legge 180 è stata possibile perché per un attimo la salute mentale è diventata l’archetipo di tutte le marginalità. Perché l’ingiustizia che subivano gli internati è diventata l’archetipo di tutte le altre ingiustizie. Noi dobbiamo ritornare a proporre questa cosa qui. Perché la salute mentale non ci riguarda solo in potenza, perché potremmo un giorno avere un problema di salute mentale, ma ci riguarda perché è un modello di come si può fare giustizia sociale”.

Non si può fare salute senza fare politica, direbbe qualcuno. Non si può pretendere di occuparsi del disagio mentale senza considerare le difficoltà vissute dalla comunità LGBTQ, dai migranti, dai detenuti, dalle prostitute e via dicendo. Un arretramento sul tema dei diritti non può che risultare in un peggioramento delle condizioni di salute della popolazione. Di tutta la popolazione.

“Quando la democrazia avanza le persone stanno meglio – ha ricordato dal palco Peppe Dell’Acqua, anch’egli protagonista della riforma psichiatrica avviata negli anni settanta – quando arretra, come adesso, stanno peggio”.

“Sono giornate molto dure e difficili per questo Paese – ha aggiunto lo psichiatra – rendetevene conto. Tutto quello che noi abbiamo fatto per cinquant’anni, non solo a Trieste, viene attaccato in maniera terribile. È un mondo che è diventato sanzionatorio, che chiude e rinchiude, che chiede continuamente provvedimenti che creino separazione, che mettano da parte tutti quelli che non ce la fanno, quelli che ‘non vanno a tempo nel coro’ come diceva Dario Fo”.

La crisi, mette in guardia Dell’Acqua, “è già qui”. Dal suo punto di vista è quindi necessario non dimenticare che se da un lato il coinvolgimento di realtà terze, non psichiatriche, è centrale sia per prevenire che per curare, dall’altro l’assistenza alle persone che fanno esperienza della salute mentale e le loro famiglie non può prescindere dalla disponibilità di servizi psichiatrici di qualità.

“Mi rivolgo ai giovani dall’alto dei miei settantasei anni – ha concluso Dell’Acqua – non andremo da nessuna parte se non cominceremo a riconnettere questi due mondi. A costruire dei tralci forti, dei ponti d’acciaio. Non ci deve essere nulla che accade nell’impresa sociale che non abbia un riverbero sulla possibilità di fare buone cure per le persone con disturbo mentale. Credo, nel nome di Franco e del bene che gli vogliamo, che dobbiamo andare avanti in questa direzione”.

Peppe Dell’Acqua tra il pubblico

La giornata organizzata da Copersamm – Conferenza permanente per la salute mentale nel mondo Franco Basaglia, a cui hanno preso parte moltissimi giovani sia sopra che sotto il palco, aveva proprio questo obiettivo: andare avanti. Con la speranza di veder nascere, attorno al ricordo di Franco Rotelli, una sorta di assemblea permanente che possa proporre nuove idee e soluzioni per far fronte alla crisi della salute pubblica e della psichiatria. Un invito non solo a difendere i principi della legge 180, quindi, ma anche a fare ulteriori progressi e a raggiungere nuovi obiettivi.

“Dobbiamo essere molto severi con noi stessi e non accontentarci di un’eredità, neanche quella di Franco Rotelli”, ha ricordato Maria Antonietta Vanto, assistente sociale dell’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asu Gi), anche lei intervenuta dal palco. “Dovremo ribaltarla, questa eredità, se non ci permetterà di fare salute. Questo significa far tesoro di quello che ci ha lasciato. L’eredità va reinterpretata continuamente, va rinnovata. Non possiamo sentirci a posto perché ci sentiamo gli eredi di Franco Basaglia, di Franco Rotelli o di chiunque altro. L’unico modo per andare avanti, così come hanno inteso queste grandi menti, queste grandi persone che hanno fatto concretamente dei cambiamenti, è quello di non accontentarsi mai”.