Cosa significa che territorialità e regionalizzazione caratterizzano la presa in carico di un paziente che soffre di un disturbo psichiatrico? E soprattutto cosa significa poter offrire a un paziente un’assistenza dignitosa per la salute mentale sia non sia affidata, come oggi, alla “lotteria del codice postale”? Il paradosso a cui assistiamo è che la territorialità, nata con Basaglia per garantire il reinserimento e l’inclusione sociale del paziente, il suo diritto di cittadinanza, possa diventare vincolo, generatore di disuguaglianza.
Partiamo da un dato: il disagio mentale riguarda trasversalmente tutti, qualunque sia l’estrazione sociale, il livello culturale, la provenienza geografica. Il disagio mentale riguarda molti: stando al Rapporto sulla Salute Mentale, nel 2016 gli utenti psichiatrici assistiti dai servizi specialistici ammontano a 807.035 (prevalenza trattata); i pazienti che sono entrati in contatto per la prima volta con i Dipartimenti di Salute Mentale ammontano, durante l’anno di rilevazione, a 349.176 unità (incidenza trattata); le utenti di sesso femminile sono il 54% e il 66,9% dei pazienti sono al di sopra dei 45 anni.
Dalla riforma Basaglia in poi, la presa in carico di queste persone, da parte del SSN, poggia su due concetti chiave, regionalizzazione e territorialità, fondamenta dell’assistenza ai pazienti con disagio psichico; necessarie per garantire a chi sta soffrendo di un disturbo mentale, il suo diritto di cittadinanza, per supportare queste persone, attraverso uno specifico percorso, a tornare a fare parte della società, a partire dal territorio in cui vivono. Eppure, paradossalmente, regionalizzazione e territorialità, sono due termini che rischiano di generare contraddizioni. E disuguaglianze.
Dei due termini di questa dicotomia parla Fabrizio Starace, presidente Siep, nel commentare i dati di Analisi dei Sistemi Regionali per la Salute Mentale, emersi dal Rapporto sulla Salute Mentale.
Disuguaglianze e “lotteria del codice postale”
L’assistenza per la salute mentale è da Basaglia in poi strettamente legata al territorio. L’art.6 della legge 180 stabilisce che tutti i servizi e presidi psichiatrici presenti sul territorio ‘sono organicamente e funzionalmente collegati in forma dipartimentale’. Questo sancisce il primato della territorialità: ‘ai servizi e presidi extra-ospedalieri spetta provvedere di norma agli interventi relativi alle malattie mentali’. Questo compito è stato assolto con modalità diverse da Regione a Regione e con evidenti differenze nei risultati ottenuti.
L’assistenza territoriale, infatti, salvo naturalmente le fasi di acuzie che richiedono ricovero ospedaliero, è rigidamente prestata ai soli cittadini residenti nell’area di competenza del Dipartimento di Salute Mentale (DSM). Una scelta che appare sensata, considerando la necessità che l’assistenza si realizzi nei contesti ordinari di vita delle persone che soffrono di un disagio psichico anche grave, per favorirne poi come esito del percorso di cura l’inclusione sociale, abitativa, lavorativa e relazionale; tutti obiettivi di salute mentale.
Con queste premesse, ben prima che la regionalizzazione della sanità fosse sancita dalla Riforma Costituzionale del 2001, ricorda Starace: “la Legge 180 e la 833 del 1978 assegnavano alle Regioni il compito e la responsabilità di programmare sistemi di cura per la salute mentale che rispondessero ai principi della deistituzionalizzazione e della territorializzazione dell’assistenza”. “Si demandava alle regioni un sistema di cura per la salute mentale che avesse come riferimento il dato territoriale”, spiega.
La disparità che troviamo sul territorio Nazionale configura un quadro di disuguaglianze davvero intollerabile.
Questo radicamento con il territorio è il motivo storico per cui in psichiatria prima ancora di tutte le altre branche della medicina si è rilevata una disparità nei territori regionali e talvolta anche nelle varie province all’interno della stessa regione. Peccato che senza un monitoraggio finalizzato a una progettualità specifica di interventi correttivi, molta della assistenza che il territorio è capace di erogare per prendere in carico un paziente con disagio psichico finisce per essere funzione della sensibilità, dell’attenzione di singole persone, piuttosto che basata su piani programmatici ben strutturati, equilibrati, che prevedano le stesse misure su tutto il territorio.
Il paradosso è che la territorialità che nasce per garantire il reinserimento e l’inclusione sociale del paziente diventa vincolo, generatore di disuguaglianza. “Per questo motivo la disparità che troviamo sul territorio nazionale configura un quadro di disuguaglianze davvero intollerabile”, prosegue il Presidente Siep. “Quella che gli anglosassoni chiamano la lotteria del codice postale in salute mentale in Italia è una realtà: a seconda del luogo dove vivi, quindi a seconda del codice postale, puoi essere così fortunato da aver una rete articolata di servizi cui far riferimento o più sfortunato e non sapere letteralmente a chi rivolgerti”.
A queste considerazioni si aggiunge il fatto che le evidenze rilevate non producono modifiche per generare interventi più efficaci. Ad esempio, i piani per la salute mentale sono stati aggiornati da ben poche regioni e “lo stesso Piano nazionale d’azione per la salute mentale non fa altro che fissare degli obiettivi più meno specifici per la salute mentale senza specificare quali risorse, in che misura o con quali caratteristiche qualitative devono essere allocate dalle regioni perché questi obiettivi debbano essere realmente perseguiti”.
Le famiglie che hanno persone con un disturbo psichiatrico grave non hanno la possibilità di scegliere di spostarsi da una regione all’altra a meno di non spostare tutti assieme la residenza.
Non da ultimo va tenuto conto del fatto che peggio che per altre malattie, il problema della disparità in salute mentale non è arginabile neppure scegliendo di farsi curare in un’altra regione. Se per un qualsiasi altro problema di salute io posso muovermi da una regione all’altra liberamente perché può offrire cure migliori e più tempestive, questo non è applicabile in salute mentale.
“Una persona con un disturbo psichiatrico grave ha necessità di un intervento continuativo che faccia riferimento alle risorse che quella comunità può mettere in gioco, dall’inclusione sociale all’associazionismo, all’intervento per acquisire o riacquisire una competenza lavorativa da spendere sul mercato del lavoro”, aggiunge Starace. “Eppure le famiglie che hanno persone con un disturbo psichiatrico grave non hanno la possibilità di scegliere di spostarsi da una regione all’altra a meno di non spostare tutti assieme la residenza”.
A spostarsi potranno essere esclusivamente le famiglie con una grande disponibilità economica che potranno scegliere dove farsi curare. A questo si aggiunge uno sbilanciamento, per i territori interessati da questa migrazione, verso la presa in carico di patologie gravi e casi complessi da seguire, con alla lunga la possibilità di mostrare della difficoltà di accesso a un certo tipo di cure.
A cosa servono tutti questi dati che continuamente raccogliamo per monitorare come si comportano le varie regioni in tema di salute mentale se puoi non vengono usati? “Io credo che la pubblicazione che lo stesso Ministero ha fatto di questa ingente mole di dati con il rapporto di salute mentale e quello che la Siep ha provato a sintetizzare in alcuni indicatori siano documenti di denuncia fortissimi”, spiega il medico.
E da qui parte una provocazione: “Che cosa succederebbe se in oncologia o in cardiologia vi fosse una disparità di accesso ai servizi, una disparità di trattamento, di qualità di aderire alle linee guida, come quella che è documentata in salute mentale? Io credo che in queste situazioni, si tratti di oncologia oppure di cardiologia, le aziende sanitarie, i sistemi sanitari regionali, sarebbero commissariati dal Ministero. Perché tutto questo non avviene in salute mentale?”.
Risolvere la questione dell’adeguata presa in carico di queste persone non è solo un problema di risorse, ma anche di come vengono investite. Regioni come il Friuli Venezia Giulia che a parità di investimento, ovvero con una spesa in linea con la media nazionale, hanno ottenuto risultati migliori investendo su un’assistenza territoriale e di comunità adeguata. Un ricovero ospedaliero è una soluzione ad alto costo oltre che non sempre è appropriata, ma il territorio deve essere attrezzato con soluzioni alternative.
L’altra novità è la capacità che alcune regioni hanno avuto di regolamentare e di orientare le attività nell’ambito dell’integrazione socio-sanitaria e della salute mentale di comunità, investendo sullo strumento del budget di salute, che andrebbe esportato su tutto il territorio nazionale.
Il budget di salute prova a mettere insieme risorse sociali, comunitarie, dell’individuo e della famiglia per definire un progetto unico che permetta alla persona che ha o ha avuto un problema psichiatrico di riappropriarsi dei diritti – alla casa, al lavoro, alla socialità – negati e gravemente compromessi.
Sotto il video dell’intervista a Francesco Starace. Per approfondire leggi anche:
Analisi dei Sistemi Regionali per la Salute Mentale. Criticità e priorità per la programmazione
Salute mentale. Serve una svolta nelle cure psichiatriche nelle Regioni