Nel 2014 Interstellar, uno dei tanti capolavori cinematografici del regista Christopher Nolan, interpretato da Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain e Michael Caine, predisse un disastroso futuro per l’umanità, privata del grano e di altre fondamentali coltivazioni da un fungo infestante, diffuso in tutto il pianeta Terra. Sebbene si tratti soltanto di un film di fantascienza, e checché ne dicano alcuni imperterriti detrattori del regista londinese, le teorie alla base del plot non sono campate in aria ma risultano verosimili poiché come al solito Nolan per la sceneggiatura si è affidato a un valido team di scienziati e ricercatori, e si è basato anche su alcuni fenomeni come il Dust Bowl, un drastico e repentino essicamento del suolo che portò a spaventose tempeste di polvere in Nord America negli anni Trenta del Novecento, ma anche alle infestazioni da fungo Ug99, un ceppo di ruggine del grano particolarmente aggressivo che minaccia i campi di cereali di diversi Paesi dell’Africa e del Medio Oriente.
A distanza di otto anni dal film di Nolan, l’umanità si trova ora al cospetto della reale, terribile prospettiva di un mondo senza grano – e non solo – data da un nemico ben più aggressivo dell’Ug99, che prende il nome di guerra. Od Operazione speciale, se volete. L’affaire russo-ucraino infatti sta costringendo l’Europa a darsi innanzitutto da fare per diversificare le proprie forniture energetiche, passando dal gas russo convogliato al gas naturale liquefatto, all’energia rinnovabile e all’energia nucleare, ma allo stesso sembra spingerla a diversificare l’approvvigionamento alimentare per renderlo più sicuro e, allo stesso tempo, migliorare la nutrizione a livello mondiale. Basti pensare che Russia e Ucraina forniscono insieme il 30% del grano globale. Anche per questo motivo, da febbraio a marzo 2022 l’Indice dei prezzi alimentari della Food and Agricolture Organization (FAO) ha registrato un rialzo del 12,6%, raggiungendo un picco record.
È possibile un mondo senza grano?
La minaccia di un mondo senza grano e alle prese con una grave insicurezza alimentare diventa quindi ancor più reale di quella profetizzata da qualsiasi film, evidenziando la necessità di riformare il sistema alimentare globale, che oggi lascia troppe persone dipendenti, per il loro nutrimento, solo da una manciata di cereali coltivati in agricoltura intensiva, tra cui grano, riso e mais. Per far fronte alla carenza immediata, gli agricoltori di Stati Uniti, India e molti altri paesi dovranno piantare più grano, e al contempo le persone dovranno sostituire il grano con altri cereali disponibili. Sebbene possa sembrare assurdo, a lungo termine tuttavia questa situazione potrebbe fornire l’opportunità di riformare profondamente il sistema dell’agricoltura globale, riducendo la dipendenza dal grano e da altre grandi colture attualmente dominanti. Chiaramente si tratta di un cambiamento impegnativo sia logisticamente che culturalmente e, soprattutto, politicamente. In molti Paesi esistono sussidi agricoli che sostengono i grandi prodotti di base, garantendo la loro coltivazione su larga scala grazie a pratiche di produzione agricola uniformi. Nei Paesi che coltivano i due terzi dei prodotti agricoli mondiali, i governi forniscono 540 miliardi di dollari all’anno in aiuti all’agricoltura. Soltanto gli Stati Uniti spendono 16 miliardi di dollari all’anno in sussidi agricoli, l’80% dei quali va al 10% delle aziende agricole, le più grandi e potenti. Un sistema tuttavia non esente da difetti. Ci saranno sempre dei rischi nell’affidarsi quasi esclusivamente a monocolture, sia per via delle possibili situazioni date da futuri conflitti e cambiamenti geopolitici, sia a causa della crescente minaccia del cambiamento climatico. Ondate di calore, siccità, inondazioni e periodi di grande freddo possono devastare le coltivazioni di grano, riso, soia e altri cereali, e queste condizioni meteorologiche estreme hanno già ridotto i raccolti tanto da far salire i prezzi dei prodotti alimentari ai livelli più alti degli ultimi quarant’anni. Peraltro i sussidi alle agricolture intensive non considerano la necessità di promuovere una dieta sana. Tornando sempre al grano, ad esempio, quello integrale non raffinato è un’importante fonte di amido ed energia oltre che di proteine, vitamine e fibre alimentari. Ma la domanda di grano è aumentata vertiginosamente a livello globale per il suo contenuto in glutine che lo rende un componente ideale per il pane, la pasta, i biscotti e gli snack vari – trasformando incredibilmente questo alimento, centrale nella dieta mondiale – in alimenti spesso privi di nutrienti sani. Questi sussidi – sostenuti da sforzi complementari di ricerca e sviluppo nei Paesi che dipendono dall’agricoltura – hanno reso nel tempo il grano, il mais e il riso tra le più importanti colture al mondo, tanto che oggi rappresentano i due terzi dell’apporto energetico alimentare globale. E gli alimenti di base più diffusi fino a un secolo fa come il sorgo, il miglio, la segale, le patate dolci sono sempre meno importanti, tendono addirittura a scomparire.
“Il grano odierno, se consumato in eccesso, è un potenziale nemico della nostra salute”
A questo punto è logico domandarsi: è davvero fondamentale il grano nella nostra alimentazione o può essere davvero sostituito? E se sì, come? Lo abbiamo chiesto a Giulia D’Aulerio, biologa nutrizionista, che ci ha ricordato innanzitutto che purtroppo al giorno d’oggi il grano in commercio non sia più quello di una volta: “L’ibridazione, il glutine, la contaminazione con il glifosato e il diverso processo di panificazione hanno reso il grano odierno, se consumato in eccesso, un potenziale nemico della nostra salute. Il grano infatti ha subìto negli anni processi di ibridazione atti a rendere la pianta più produttiva, meno attaccabile da parassiti e funghi e più resistente alle condizioni atmosferiche avverse. Oggi la pianta del grano è più bassa (circa 60 cm) rispetto a quella antica (che misurava anche più di un metro), ha il chicco nudo e contiene più glutine del passato. Altro aspetto da considerare è l’aggiunta di miglioratori per ridurre il tempo necessario al processo di lievitazione di pane e prodotti da forno, col conseguente rischio di cibarsi di farine scadenti, dato che questi servono proprio a nascondere la scarsa qualità di una farina. Ma la questione più grave è che i miglioratori vengono aggiunti a tutte quelle farine importate da Paesi esteri UE ed extra UE che non garantiscono minimi livelli di qualità. Basti pensare alle farine provenienti dal Canada che hanno fatto notizia per il loro alto contenuto di residui di glifosato”.
Il grano di oggi non è la migliore scelta per noi
Nel 2015, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riclassificato il glifosato come agente potenzialmente cancerogeno per l’uomo, ma nonostante il suo utilizzo in Italia sia vietato, una buona parte del grano duro nelle nostre paste è di origine nordamericana o canadese dove il glifosato è largamente impiegato. “Alla luce di tutto questo, quindi, il grano può assolutamente essere sostituito con cereali alternativi”, afferma Giulia D’Aulerio. “Tra quelli che contengono glutine citerei l’orzo e il farro, da comprare esclusivamente decorticati rispetto ai perlati che perdono gran parte dei nutrienti e dei fitocomposti presenti nelle loro parti esterne asportate. A seguire, l’avena ad alto contenuto di fibre, utile nelle preparazioni di barrette energetiche, porridge o pancake mattutini. Un’altra valida scelta è la segale: ha un buon potere saziante e basso apporto calorico. Tra i cereali privi di glutine un posto di privilegio va al riso: i tipi basmati, rosso e venere che hanno un basso indice glicemico, a differenza del tradizionale riso bianco, ricco in amido. Vi sono infine gli pseudocereali: grano saraceno, amaranto, quinoa e sorgo. Sono spesso accomunati ai cereali ma in realtà non fanno parte della famiglia delle graminacee. Non contengono glutine, ma in compenso hanno minerali, vitamine del gruppo B (tranne la B12), vitamina E e tante proteine complete di amminoacidi in ottime proporzioni”. Secondo Giulia D’Aulerio, in conclusione, “bisogna decisamente riprendere i progetti di ibridazione tenendo conto sia delle necessità industriali sia di quelle del territorio, mantenendo sempre alta l’attenzione sulla salute dei consumatori”.
Sarebbe giusto a questo punto favorire un approvvigionamento alimentare diversificato e resiliente; le nazioni dovrebbero iniziare a orientare i sussidi agricoli verso nuove fonti, come frutta, verdura, legumi e altri alimenti nutrienti. Uno studio dell’International Food Policy Research Institute (IFPRI) suggerisce che se la metà di tutti i sussidi all’agricoltura a livello mondiale venisse riconvertita per favorire la coltivazione di alimenti benefici per la salute umana e per l’ambiente, si potrebbe aumentare la coltivazione di frutta e verdura fino al 20%, riducendo anche le emissioni di gas serra prodotte dall’agricoltura del 2%. Tuttavia spostare il focus dei sussidi agricoli non è facile. Molti agricoltori dipendono da questi per il proprio sostentamento e considerano un grande rischio apportare cambiamenti così sostanziali alle loro coltivazioni. Ma con i cambiamenti climatici in atto e l’attuale situazione geopolitica, questo passo appare fondamentale, sia per evitare il continuo aumento di problemi di salute cronici a livello globale, sia per evitare di trovarci improvvisamente sprovvisti di fondamentali risorse alimentari.
Nel film Interstellar si sottolinea come “La fine della Terra non sarà la nostra fine”, ma almeno finché non troveremo un modo per emigrare su un esopianeta, diventa fondamentale pensare e quindi attuare un cambiamento, virando verso un approvvigionamento alimentare nuovo e più diversificato.