“Perché un paziente con il cancro acconsente ad assumere un farmaco oncologico che comporta svariate tossicità? Idealmente il desiderio del paziente è di guadagnare una vita più lunga e qualitativamente migliore, se non entrambi i risultati almeno uno di essi (…). Ma davvero questi farmaci fanno vivere di più e/o meglio i pazienti?” La domanda la solleva Bishal Gyawali (Department of Medicine, Brigham and Women’s Hospital, Harvard Medical School) nell’articolo “Guardare prima alla Terra invece che alla Luna – Definire le priorità della ricerca oncologica in termini di profitto o di qualità di vita del paziente?”, apparso sull’ultimo numero della rivista Forward.
Bishal Gyawali, nell’intervista che troverete a fine articolo, parla anche della così detta “tossicità finanziaria” legata al trattamento con i farmaci antitumorali innovativi, non solo negli Stati Uniti, ma anche in Italia, dove il Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) si assume il costo di queste terapie. Infatti, i pazienti che durante le terapie antitumorali vedono peggiorare o comparire problemi di tipo finanziario hanno un rischio di morte aumentato del 20 per cento (negli Stati Uniti questa percentuale sale all’80 per cento). Si è dunque arrivati al paradosso per cui ciò che è innovativo non solo non è (sempre) utile ma è (quasi) sempre costosissimo, e quindi, utilizzando questi farmaci innovativi per migliorare la sopravvivenza dei pazienti con un cancro, allo stesso tempo li rendiamo vulnerabili a un peggioramento della loro condizione economica che incide negativamente sulla sopravvivenza stessa.
Se siamo arrivati a questo punto, deve esserci stato un momento in cui la ricerca oncologica, nello stabilire le proprie “priorità”, ha messo in secondo piano quelle che sono le reali necessità del paziente malato di cancro, restringendo progressivamente il proprio bersaglio alla “malattia”. A questo progressivo cambiamento potrebbe non essere stata estranea una fiducia sempre maggiore nella corrispondenza diretta tra l’incremento dei finanziamenti e il successo della ricerca. Un esempio classico sono le campagne del governo statunitense per la conquista della cura “definitiva” del cancro, a partire da Richard Nixon per finire con il “cancer moon-shot” di Joe Biden.
Perché un paziente con il cancro acconsente ad assumere un farmaco oncologico che comporta svariate tossicità?
Per completare (e complicare) il panorama, non possiamo dimenticare un altro fondamentale attore in questa partita delle priorità: il Servizio Sanitario Nazionale, le cui risorse, come sentiamo ripetere da sempre, sono “limitate”. E se le risorse sono limitate, c’è bisogno di un metodo che consenta di stabilire cosa è più efficace, appropriato ed economico, in modo da distribuire quelle risorse secondo un criterio di priorità.
Quindi da una parte abbiamo sistemi sanitari alla ricerca continua della “quadratura dei conti” e che pertanto, nella determinazione delle priorità, si trovano costretti a inserire una valutazione dei costi/benefici molto rigorosa; dall’altra, una ricerca che, inseguendo la chimera dell’innovazione, sceglie filoni di studio la cui priorità spesso non è l’efficacia o la sicurezza del farmaco (cioè quello che è prioritario per i pazienti), ma un percorso di approvazione del farmaco più breve per arrivare sul mercato prima degli altri. Questo è dimostrato dalla scelta degli esiti delle sperimentazioni: troppe volte si preferiscono endpoint surrogati che invece di misurare una rilevante sopravvivenza del paziente o la sua qualità di vita, si limitano a misurare il tempo in cui la malattia non è progredita. Ma come è stato quel paziente in quel tempo di vita “guadagnato”? Che tipo di tossicità ha avuto, di quali eventi avversi ha sofferto?
Come possiamo ristabilire un adeguato equilibrio fra questi tre attori in gioco, senza “deprimere” e compromettere l’innovazione nel campo della ricerca farmaceutica?
Siamo sicuri che un buon Ssn sia quello che mette tempestivamente a disposizione di medici e pazienti dei farmaci che seppur “efficaci” hanno raggiunto un costo tale da sottrarre risorse a interventi di alto valore (ad esempio, lo screening per l’Hpv ricorda Bishal Gywali) che curano il cancro o che comunque consentano una reale qualità dell’assistenza sanitaria?
Quello che viene chiamato “il governo dell’innovazione” potrebbe trarre finalmente vantaggio da una diversa alleanza tra gli attori in gioco, che metta realmente “al centro del percorso” il malato. Nel momento in cui i cittadini avranno voce in capitolo nella determinazione dell’agenda della ricerca, un maggiore e diverso equilibrio tra incentivazione della ricerca farmaceutica, contenimento dei costi e benefici per il malato potrà essere raggiunto.
La via per uscire dal paradosso quindi c’è. E prevede che a vincere la partita delle priorità debba essere il paziente.