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Pandemie, prevenirle prima del salto di specie. Ma come?


Ci siamo dentro, tutti noi, qui, ora. Anche l’Oms alla fine si arreso e l’epidemia di Covid-19 è stata promossa al sinistro rango di pandemia. In pochi giorni gli scenari più foschi di decine di film catastrofici hanno preso incredibilmente il posto della normalità. Ma quando gli sforzi per contenere il contagio ci riconsegneranno le nostre vite precedenti, dovremo fare i conti, questa volta seriamente, col rischio che un virus mutato possa mettere davvero a rischio l’intera umanità.

Quella di una pandemia in effetti è una delle minacce globali più sottovalutate in “tempo di pace”, staccatissima di solito nella percezione dell’opinione pubblica mondiale rispetto al riscaldamento globale, allo spettro di una guerra nucleare e perfino al trionfo del terrorismo islamico. Ai virus letali, Hollywood a parte, non sono in molti a pensare quando non c’è un’epidemia in corso. Gli investimenti in ricerca e logistica da parte dei governi sono quasi sempre tragicamente insignificanti. E i rari scienziati Cassandra, al lavoro per battere sul tempo quel tipo di eventi catastrofici, non trovano il modo di farsi ascoltare.

Qualche tempo fa, per esempio, Daniel Streiker – esperto di malattie trasmesse dagli animali e impegnato a tempo pieno nella previsione di future epidemie – ha raccontato in una TED come la prevenzione delle pandemie future potrebbe passare per un nuovo modo di contrastare i virus prima ancora che passino dagli animali all’uomo.

Le epidemie che si trasmettono dai pipistrelli alle persone sono diventate sempre più comuni negli ultimi decenni (anche il nuovo coronavirus viene da lì, per lo meno a quanto sappiamo finora). Nel 2003 la SARS, partita dai mercati del bestiame cinesi, ha poi contagiato persone in tutto il mondo. Dieci anni dopo è stato il turno dell’Ebola in Africa occidentale. I virus mutano velocemente in luoghi imprevisti e cominciano a diffondersi prendendo alla sprovvista la comunità medica. Le parole di Streiker oggi suonano come un monito pressante: “Con le nuove malattie che compaiono ogni anno, è arrivato il momento di cominciare a pensare a cosa possiamo fare. Se aspettiamo che arrivi di nuovo l’Ebola, potremmo non essere così fortunati la prossima volta. Potremmo confrontarci con un virus diverso, più letale, che si trasmette meglio tra le persone, o che magari riesce a essere completamente immune ai vaccini, lasciandoci indifesi”. Fare la guerra alle epidemie già in atto non è una strategia vincente sul lungo periodo…

Resta l’opzione B, provare a prevenirle. Ma dal punto di vista scientifico è un po’ un problema. Perché, se da una parte è una fortuna che le emergenze virali siano così rare, dall’altra, se qualcosa succede solo una volta o due, non basta come modello su cui basarsi.

Quindi cosa facciamo? Beh, penso che una delle soluzioni che abbiamo è studiare alcuni virus che si trasmettono regolarmente dagli animali selvatici alle persone, o ai nostri animali domestici, o al nostro bestiame, anche se non si tratta degli stessi virus che pensiamo causeranno delle pandemie. Se riusciamo a capire cosa innesca il salto da una specie all’altra, e, potenzialmente, scopriamo come fermarlo, allora saremo più preparati per quei virus che si trasmettono tra specie più raramente ma che rappresentano una minaccia più grave in caso di pandemia”, questa in breve l’intuizione di Striker.

Potremmo confrontarci con un virus diverso, più letale, che si trasmette meglio tra le persone, o che magari riesce a essere completamente immune ai vaccini, lasciandoci indifesi.

Lo spunto per la sua ricerca nasce dallo studio dei pipistrelli vampiro dell’Amazzonia, responsabili di epidemie ricorrenti del virus della rabbia tra le popolazioni locali, un vero spauracchio da quelle parti. La rabbia, per chi non lo sapesse, ha una mortalità del 100 per cento e uccide ogni anno 50-60.000 persone.

Anche se la gente viene morsa continuamente dai pipistrelli vampiro, le epidemie di rabbia si verificano ogni due anni, a volte ogni dieci. Vaccinare è una strategia, ma il vaccino in questi casi “è solo un cerotto” un salvavita indispensabile che però limita soltanto i danni: “Non importa quante mucche e persone vacciniamo, nei pipistrelli ci sarà la stessa quantità di rabbia. Il rischio di essere morsi è rimasto invariato”. Come riuscire allora a stroncare il virus sul nascere?

Studiando gli spostamenti degli ospiti del virus (i pipistrelli vampiro) e le mutazioni del suo genoma (attraverso i cervelli delle mucche infette e i modelli di accoppiamento tra pipistrelli), Streiker è riuscito a isolare il problema e anche la soluzione: per impedire che il virus arrivasse con i pipistrelli provocando epidemie l’unica soluzione era vaccinare i pipistrelli.

Impresa non impossibile perché già esistono vaccini commestibili per la rabbia fatti apposta per i pipistrelli e questi vaccini si trasmettono tra un esemplare e l’altro. Basta spalmarli su un pipistrello e lasciare che la loro abitudine di strofinarsi tra loro faccia il resto. Per studiare l’efficacia della diffusione di un vero vaccino nelle colonie di pipistrelli ,tuttavia, il laboratorio non serve a molto, serve creatività direttamente sul campo: Streiker ha usato gel commestibili che fanno brillare il pelo e polveri UV che si diffondono tra gli animali quando si scontrano.

Anche se la ricerca è ancora in fase iniziale, i risultati finora sono molto incoraggianti.Ogni volta che riduciamo l’entità di un’epidemia, riduciamo anche la possibilità che il virus arrivi alla prossima colonia. Spezziamo un anello nella catena di trasmissione. E quindi, ogni volta che lo facciamo, è un passo verso l’estinzione del virus”, riassume Striker, senza nascondere la sua soddisfazione, anche rispetto all’applicazione diffusa del suo schema. “Possiamo prevenire le pandemie? Non c’è nessuna soluzione miracolosa al problema, ma le mie esperienze con la rabbia mi hanno reso molto ottimista a riguardo. Penso che non siamo molto lontani da un futuro in cui avremo la genomica per prevedere le epidemie e nuove tecnologie più intelligenti, come i vaccini commestibili ad autodiffusione, che possono distruggere i virus prima che arrivino alle persone”.

 

Per approfondire, ecco una serie di TED sullo stesso argomento:
Qui Bill Gates denuncia l’impreparazione dell’umanità di fronte alla prospettiva di una eventuale pandemia e raccomanda di mettere in pratica tutte le buone idee per attrezzarsi al meglio, dalla pianificazione degli scenari alla ricerca sui vaccini fino alla formazione degli operatori sanitari… senza panico.

Rosalind Eggo è una matematica che si occupa della diffusione di virus mortali per cercare di fermarli. In questa TED risponde, facendo ricorso a una buona dose di umorismo, alla domanda delle domande: “Una pandemia segnerà la fine dell’umanità?”.

James Wilson, uno dei massimi esperti mondiali di biosorveglianza e previsione delle malattie infettive, racconta lo stato dell’arte  (2016) sui programmi e sul potenziale delle previsioni globali in tema di malattie infettive.

La consulente sanitaria Shalini Unnikrishnan esorta a rispondere alle pandemie concentrandosi anche sulle persone e non soltanto sul virus che diffonde la malattia.

In questa TED il cacciatore di virus Nathan Wolfe punta a superare la prossima pandemia scoprendo nuove minacce prima che emergano le epidemie.