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Network Medicine: la fine della medicina per come la conosciamo


Malattia di Crohn, colite ulcerosa, artrite reumatoide, psoriasi, uveite sono definizioni della malattia vecchie. Non funzionano più: è necessario pensare in termini di gruppi di pazienti che sono accomunati dagli stessi meccanismi patogenetici alla base delle diverse malattie. Una rivoluzione questa che ha effetti anche sul piano delle cure: si tratta di scegliere il farmaco giusto, potenzialmente lo stesso, per le malattie che hanno un meccanismo alla base comune.

Il concetto di malattie croniche è sbagliato, sono croniche solo perché noi non siamo in grado di curarle”, dichiara lapidario Harald Schmidt, Direttore del Department of pharmacology and personalised medicine della University of Maastricht in occasione del World Government Summit 2019, nel suo discorso dall’emblematico titolo The End of Medicine as We Know It.

Al centro della riflessione di Schmidt c’è la Network Medicine, un approccio rivoluzionario nel modo in cui guardiamo alla malattia e alla medicina. Si tratta di concentrarsi “sulle funzionalità cellulari e sulle interazioni tra le componenti responsabili di queste funzionalità e non più sui singoli geni permette dunque di trattare le malattie come sistemi complessi quali esse sono”, come avevamo visto su Senti Chi Parla, tramite le parole di Joseph Loscalzo.

La medicina sistemica rimpiazzerà la medicina tradizionale e questo sancirà la fine, il declino definitivo dell’industria farmaceutica, a meno che non diventi anche un’azienda che si occupa di Big Data”, continua Schmidt. “Le grandi aziende farmaceutiche che si ostinano a trattare le malattie o i loro sintomi falliranno”. Il futuro è altrove ed è in quella direzione che stanno andando grandi colossi come Google (o meglio Alphabet), Apple, Amazon… stanno investendo nel settore della salute basando la ricerca sui big data, sul machine learning, sull’IA.

I dati ci dicono che i farmaci esistenti mancano di precisione: è necessario trattare un numero davvero elevato di pazienti per molti anni perché un numero esiguo di persone possa avere davvero benefici da quella terapia. E il numero dei pazienti trattatati che non ha benefici dalla terapia, indicata dalle linee-guida, spesso si trova a sperimentare gli effetti collaterali dei farmaci. Inoltre, i costi per portare un farmaco efficace sul mercato sono incredibilmente alti. “Se i costi crescono esponenzialmente e gli esiti restano gli stessi c’è un problema in termini di efficacia”, sottolinea Schmidt. “Il declino costante dell’efficacia a cui assistiamo dagli anni ‘50 (…) dovrebbe farci venire il dubbio che forse c’è un problema concettuale nel come definiamo le malattie e nel come sviluppiamo i farmaci”.

Le grandi aziende farmaceutiche che si ostinano a trattare le malattie o i loro sintomi falliranno.

Sistematizziamo le malattie in funzione degli organi del corpo colpiti e sostanzialmente abbiamo uno specialista per ogni organo (…) come se potessimo dividere il corpo umano in piccole sezioni ed avere a che fare solo con quel singolo organo e comprendere tutto su una specifica malattia focalizzando la nostra attenzione su quell’organo”. O, ancora peggio, classifichiamo la malattia dandole il nome di un medico, quello che l’ha scoperta (Alzheimer, Parkinson e così via). “La mia preferita è la tendenza ad assegnare un nome ad una malattia sulla base di un sintomo”, continua Schmidt.

Emblematico è l’esempio dell’ipertensione: al 95 per cento dei pazienti viene diagnosticata un’ipertensione essenziale; sappiamo che il paziente ha un sintomo, la pressione elevata, che è sicuramente un fattore di rischio, ma non sappiamo perché. Data una definizione basata sul sintomo appunto, quello che si cerca di correggere con le terapie farmacologiche e il sintomo in modo da abbassare il rischio. I pazienti vengono trattati con farmaci che dilatano i vasi sanguigni; di conseguenza, il sintomo, la pressione sanguigna elevata, scompare, ma non viene trattata la causa della malattia perché non la conosciamo.

È chiaro ormai che l’attuale tassonomia medica nelle malattie comuni, la cui definizione è prevalentemente basata sugli organi colpiti e fotografata nella International Classification of Diseases in its current 10th version (ICD-10), non sia sostenibile. Presuppone che malattie e meccanismi patogenetici possano essere sufficientemente definiti e compresi all’interno di un organo. Di conseguenza le terapie farmacologiche si basano sull’obiettivo per lo più di correggere i sintomi o normalizzare i fattori di rischio (elevata pressione sanguigna, colesterolo e glucosio). Ma è importante ricordare che né gli uni (i sintomi) né gli altri (i fattori di rischio) sono definizioni meccanicistiche di una malattia. Ad eccezione delle malattie rare, in cui è possibile diagnosticare una mutazione precisa (spesso singola e grave), per cui è noto un meccanismo e talvolta è disponibile una terapia molto specifica, nella maggior parte dei casi, non capiamo cosa causi esattamente una malattia.

Oggi possiamo permetterci di guardare alla malattie in modo completamente nuovo ed è possibile intravedere chiaramente il potenziale che questo ha nel cambiare il processo decisionale clinico futuro. Abbiamo a disposizione grandi banche dati pubbliche su interazioni molecolari, percorsi e regolazione genica, ma anche su comorbidità, effetti farmacologici, ecc. La nuova metodologia di analisi dei Big Data consentirà trial in silicio – l’uso di simulazioni computazionali personalizzate per lo sviluppo e la valutazione regolatoria di nuove terapie mediche -, e un grado molto più alto di personalizzazione nella medicina futura.

L’area di crisi della medicina contemporanea dovuta alla scarsa comprensione meccanicistica di quasi ogni malattia è visibile: le cose in medicina non sono così semplici. Ad esempio, si considera l’asse intestino-cervello nell’approcciare alla malattia mentale e in particolare alla depressione. “Il miocrobioma è apparentemente il principale determinante nello sviluppo della depressione”, spiega. “Abbiamo gli stessi neurostrasmettitori nel cervello e nel tratto gastrointestinale e probabilmente questa non è una coincidenza”.

Abbiamo tutti i farmaci di cui abbiamo bisogno, dobbiamo solo capire a quali meccanismi che sottendono la malattia applicarli: cercare nuovi scopi per cui registrare gli stessi farmaci.

La Network Medicine, o medicina sistemica, potrebbe aiutare i medici ad avere una visione olistica dei loro pazienti, non in modo intuitivo e naif, ma basando questa visione sui dati: “ottengono qualcosa di misurabile, definibile, che comprende comorbidità, basato sull’identificazione di meccanismi molecolari e in grado di suggerire un trattamento efficace in un approccio basato sui meccanismi alla base della malattia”.

Ridefinire le malattie, cercare meccanismi patogenetici comuni per poi scegliere i farmaci da usare in funzione di questa visione delle cose. “Io credo che al momento noi abbiamo tutti i farmaci di cui abbiamo bisogno, dobbiamo solo capire a quali meccanismi che sottendono la malattia applicarli: cercare nuovi scopi per cui registrare gli stessi farmaci”, continua Schimdt. “Non usiamo più il termine asma. È una definizione che appartiene al 19esimo-20esimo secolo. L’asma è un insieme di 4 o 5 meccanismi patogenetici completamente differenti, che vanno identificati, e sono solo accomunate da sintomi simili che riguardano i polmoni”.

The human disease network, pubblicato su PNAS, è uno degli articoli più importanti degli ultimi 20 anni e fa il punto su come i recenti progressi nella genetica e nella genomica abbiano portato ad apprezzare gli effetti delle mutazioni genetiche in praticamente tutti i disturbi e offrano l’opportunità di studiare le malattie umane nelle zone di intersezione tra l’una e l’altra, ad esempio, studiare l’insieme e le relazioni delle mutazioni di geni alla base di quella malattia, anziché prenderle in considerazione una alla volta.

In pratica il paziente comunque arriva dal medico con una patologia basata sui sintomi ma il medico non sarà più il detentore di un autorità basata su un sapere che è solo nella sua testa. Il medico interagirà con i grandi database di dati con gli strumenti dell’AI machine learning. All’interno di un team più allargato il ruolo del medico è quello di individuare fili conduttori che connettono malattie e scegliere la terapia giusta”.


Harald Schmidt aprirà i lavori della quarta edizione, del congresso 4Words – Le parole dell’innovazione in sanità, ideato e organizzato da Il Pensiero Scientifico Editore e dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario regionale del Lazio, Asl Roma 1, che si terrà il 30 gennaio 2020, a Roma, presso il Centro Congressi Fontana di Trevi.