È appena tornato a casa sua ad Amsterdam Djoen Besselink, capo della missione di Medici Senza Frontiere (Msf) in Yemen, dopo sedici mesi trascorsi sul campo. Il paese è entrato nel quarto anno di conflitto, uno di quelli che sta mietendo più vittime tra i civili di quelli in corso nel mondo, ma anche uno di quelli di cui si parla di meno. In questa quasi totale assenza di informazioni dai campi di battaglia, Besselink cerca di raccontare l’impatto di tre anni di guerra e cosa vuol dire fornire assistenza medica in quel contesto.
“Lo Yemen era già uno dei paesi più poveri del Medio Oriente prima del 2015, ma da quando il conflitto si è intensificato, le cose sono peggiorate. L’impatto della guerra lo si può vedere direttamente, sono moltissimi i pazienti arrivati da noi con ferite da proiettile o scottature, colpiti da attacchi aerei o bombardamenti”, racconta.“Ci sono stati momenti di maggiore o minore violenza, ma i combattimenti, quelli ci sono stati tutti giorni”.
La guerra in Yemen è cominciata ufficialmente alla fine di marzo del 2015. Vede opporsi una coalizione fedele all’attuale governo, guidata dall’Arabia Saudita e composta dai paesi del Consiglio per la cooperazione nel Golfo (tranne l’Oman) più Sudan, Egitto, Marocco, Giordania e Pakistan, e che gode dell’appoggio degli USA, ai ribelli sciiti huthi. I ribelli, che subito prima dello scoppio del conflitto avevano conquistato l’aeroporto di Aden e che hanno presto preso il controllo della capitale Sana’a, hanno il supporto dell’Iran e delle forze fedeli all’ex-presidente Ali Abdullah Saleh. Saleh era caduto in seguito alle rivolte della primavera araba che hanno portato, nel 2012, all’insediamento del governo di Abdel Rabbo Monsour Hadi.
Dal 2015 abbiamo curato più di 74mila feriti e fatto nascere più di 44mila bambini.
Secondo le stime dell’Onu, a metà gennaio del 2016 già si contavano 10mila vittime a causa del conflitto e oltre 40mila feriti. A Marzo di quest’anno, racconta Dkoen Besselink solo i feriti passati per uno dei centri di Medici Senza Frontiere erano quasi il doppio: “Certe volte abbiamo visitato più di 500 feriti nella stessa settimana (…) Dal 2015 abbiamo curato più di 74mila feriti e fatto nascere più di 44mila bambini. Abbiamo cominciato facendone nascere circa 200 al mese, ma in alcune strutture ora ne facciamo nascere tra gli 800 e i mille. Inoltre, sono sempre di più le persone che vengono nelle nostre strutture perché gli ospedali e i centri yemeniti sono chiusi per mancanza di personale, o sono stati rasi al suolo o perchè le persone non si sentono al sicuro ad andare lì”.
Quello che è evidente quando si trascorrono dei mesi nel Paese, racconta Besselink, è l’impatto secondario della guerra: “Le persone che soffrono per davvero sono i civili e il sistema sanitario è al collasso il che ha creato un terreno fertile alla diffusione di focolai di colera, difterite e altre infezioni”. Nel 2017 è scoppiata infatti un’epidemia di colera che ha portato nei centri di Msf oltre 100mila pazienti in cerca di un trattamento. Il paese poi, già nei primissimi mesi dopo l’inizio del confilitto, è stato colpito da una grave carestia che colpisce soprattutto i bambini.
“Le persone di cui ci prendiamo più cura sono i feriti di guerra e le madri con bambini, perchè abbiamo visto che in conflitti come questo, sono loro i più vulnerabili (…) C’è un bisogno (di assistenza) sempre maggiore e Msf deve dare sempre di più: in questo momento quella in Yemen è una delle missioni più grandi di Msf e purtroppo lo è perché il bisogno è immenso”.