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Malattie rare? Meglio chiamarle “fondamentali”


Una malattia rara è rara presa singolarmente, in realtà avere una malattia rara è abbastanza comune”. Questa verità su cui poco spesso ci si sofferma, per lo meno su cui poco si sofferma chi non è toccato da una patologia rara direttamente o nella stretta cerchia familiare, nasconde in sé una grande forza. Si trova sul sito di Findacure, una charity che mette insieme community dedicate a diverse di queste malattie e che vuole aumentare la consapevolezza rispetto al grande contributo che la ricerca in queste patologie ha per la comprensione e il trattamento di malattie più comuni.

Una malattia rara è una patologia che colpisce solo una piccola parte di popolazione – spesso tanto piccola da essere considerata invisibile. In Europa sono rare quelle malattie che colpiscono 1 persona su 2000 (con una prevalenza inferiore allo 0,05 per cento), negli Stati Uniti lo sono quelle che colpiscono una persona ogni 1500 (prevalenza inferiore allo 0.08 per cento) e in Giappone 1 persona ogni 2500 (prevalenza dello 0.04 per cento).

Sembrano numeri piccolissimi, ma tutti insieme contano circa 7000 patologie e 350 milioni di malati rari nel mondo (l’8 per cento della popolazione), di cui circa 30 milioni negli Usa e altrettanti in Europa. In Italia se ne contano invece circa un milione. Di queste quasi 7000 malattie solo 400 hanno un qualche tipo di trattamento in commercio. Per circa il 50 per cento di queste, poi, esiste un’associazione di pazienti o un gruppo di supporto dedicato.

Questo vuol dire che per il restante 50 per cento non ce n’è una e non è un bene, perché l’impatto che queste malattie possono avere è altissimo. Lo sa bene il fondatore di Findacure, Nick Sireau, padre di due bambini – ormai adolescenti – con la aku, alias alcaptonuria, che prima di Findacure aveva contribuito a creare la AKU Society a Cambridge.

Una malattia rara è rara presa singolarmente, in realtà avere una malattia rara è abbastanza comune.

Per la famiglia di Nick, tutto è cominciato subito dopo la nascita del primo figlio.“Un paio di settimane dopo che avevamo portato nostro figlio a casa dall’ospedale, abbiamo notato che i suoi pannolini si tingevano di rosso-nero”, racconta. “Era una domenica sera, quindi il nostro medico non era disponibile e abbiamo chiamato la guardia medica che è venuta a casa e ha subito fatto un test per il sangue nelle urine, risultato negativo. Non capendoci nulla neanche lui ha detto che probabilmente il colore rossastro era dovuto al cavolo rosso che mia moglie aveva mangiato a pranzo e che aveva colorato il latte di mia moglie e quindi le urine del bambino. Non gli abbiamo creduto e il giorno dopo siamo andati dal nostro medico di base che ha avviato tutta una serie di test”.

I test, prosegue Sireau, sono tornati con una diagnosi che ha cambiato la loro vita: alcaptonuria. Questa è una malattia genetica dovuta alla mancanza di un enzima chiamato omogentisato diossigenasi (Hgd), che comporta l’accumulo dell’acido omogentisinico, tossico per il nostro organismo, nella pelle, nei tessuti connettivi (come le cartilagini), nei liquidi del corpo. Viene chiamata anche malattie delle ossa nere, o delle urine scure, a causa dei suoi sintomi più visibili ed è stata la prima malattia genetica a essere mai stata individuata e descritta, nel 1902 da Archibald Garrod.

Da allora, per quasi un secolo è stata quasi abbandonata fino a quando, nel 2003, un paziente Bob Gregory, ha fondato la AKU society a Cambridge. Al suo fianco un medico – Lakshaminarayan Ranganath – e appunto Nick Sireau, che all’indomani della diagnosi di alcaptonuria al suo secondo figlio aveva deciso che doveva fare qualcosa.

Da quel giorno Sireau non si è più fermato. Cominciando con il correre mezze maratone per raccogliere i fondi necessari per un’autopsia a una paziente deceduta – cosa che in un secolo ancora non è stata fatta -, fino ad aggiudicarsi una porzione degli introiti della lotteria nazionale per avviare una campagna di sensibilizzazione rivolta prima a tutti i medici di base dell’Inghilterra, per istruire loro su come riconoscere questa malattia e chiedere di indirizzare all’associazione i loro pazienti con aku in modo da cominciare una raccolta dati, e poi destinata a espandersi per creare una rete europea.

Un percorso simile a quello di Rosaria Vavassori, madre di Alberto, un bambino (oggi adulto) affetto da sindrome di emiplegia alternante, fondatrice ed ex-presidente dell’Associazione italiana sindrome di emiplegia alternante e oggi coordinatrice del progetto Iahcrc-Cloud Platform, nonché data manager del Consorzio Internazionale Iahcrc. Come racconta lei stessa sulle pagine di Forward (in un numero della rivista dedicato interamente alla “Rarità”), anche per lei il primo passo è stato creare un’associazione e poi da questa allargare il raggio d’azione nello scopo (creare un registro e una biobanca) e nell’ampiezza geografica (entrando in contatto con reti europee ed extraeuropee, aprendo il registro ad altri paesi, creando il consorzio internazionale).

Le reti di pazienti, non permettono solo di far sentire meno soli davanti a diagnosi cambia-vita o di scambiarsi informazioni e consigli, come per esempio l’esistenza di centri specializzati a cui rivolgersi. Sono, infatti, comunità operative fondamentali per il superamento di tutti gli ostacoli della ricerca nell’ambito delle malattie rare, come ben riassume Giulia Annovi, sempre su Forward:

I pazienti e le associazioni che li rappresentano stanno assumendo un ruolo sempre più attivo tanto nella gestione della malattia quanto nella ricerca. Spesso sono gli stessi pazienti che finanziano la ricerca sulla patologia che li affligge, e spingono l’immissione di nuove terapie sul mercato. Se da un lato le associazioni di pazienti giocano un ruolo chiave nello stimolare la ricerca sulle malattie rare, nell’organizzazione dei trial clinici e nella e definizione di regole e diritti, dall’altro sono attivamente impegnate per salvaguardare i diritti dei pazienti con malattia rare e assicurare cure e innovazioni, partecipare alla creazione di policy e linee guida dei pazienti con malattia rare assicurare cure e innovazioni, partecipare alla creazione di policy e linee guida”.

Questi sforzi portano poi a risultati concreti, come l’identificazione del gene e della mutazione responsabile della malattia nel caso dell’emiplegia alternante, che è una malattia genetica estremamente rara (se ne conoscono circa duecento casi al mondo) e molto invalidante. Questo non è stato solo un grande passo avanti nella ricerca, ma anche un risultato fondamentale per la vita dei pazienti e delle famiglie: avere una prova inconfutabile della presenza della malattia semplifica il percorso, per esempio, per l’ottenimento delle esenzioni e della pensione di invalidità.

Nel caso della Aku invece, grazie agli sforzi dell’associazione di Sireau e Gregory, è cominciato nel 2015 un trial clinico per verificare sperimentalmente l’efficacia di un farmaco chiamato nitisone, originariamente messo a punto come diserbante, per fargli ottenere l’approvazione alla commercializzazione. Il trial deve ancora terminare, ma grazie al lavoro di lobbying dell’Aku Society, dal 2012 nel Regno Unito, il servizio sanitario nazionale ha acconsentito a rendere il nitisinone disponibile per i pazienti al di sopra dei 16 anni, come racconta anche Nature, in un articolo dedicato alla storia di Nick.

Se le malattie condividono meccanismi di base simili, è probabile che beneficino di trattamenti simili.

La ricerca nel campo delle malattie rare non beneficia solo chi ne è colpito, sottolinea Sireau in una sua TED Talk, ma ha enormi ricadute per tutti. Tanto che vorrebbe che si cambiasse il nome di queste malattie, da rare a fondamentali: fondamentali modelli per studiare e trattare condizioni più comuni e comprendere meglio la biologia umana. Anzi è proprio per promuovere questo concetto e raccogliere fondi per queste “malattie fondamentali”, che Sireau ha creato Findacure.

Ci sono molti casi, infatti, in cui una migliore conoscenza scientifica di una malattia rara può migliorare la comprensione – o addirittura il trattamento – di condizioni molto più comuni. Un esempio di queste connessioni è rappresentato proprio dall’alcaptonuria, che è un modello per lo studio dell’osteoartrite. Un altro è la lipodistrofia generalizzata congenita, malattia rara causata dalla quasi totale assenza di grasso corporeo e un’estrema resistenza all’insulina che permette di studiare meglio il diabete di tipo due.

Se le malattie condividono meccanismi di base simili, è probabile che beneficino di trattamenti simili”, si legge sul sito di Findacure. “Per le aziende farmaceutiche, le malattie rare legate a condizioni comuni possono spesso fungere da gateway per un mercato più ampio, e questo può portare gli investimenti indispensabili nella ricerca sulle malattie rare“.

 

Rosaria Vavassori sarà a 4Words – le parole dell’innovazione in sanità proprio a discutere del ruolo proattivo dei pazienti, sia nello sviluppo della ricerca sulle malattie rare, sia nella definizione e implementazione di pratiche di cura e assistenza efficienti e appropriate.