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Luci e ombre degli screening per il cancro al seno


Siamo abituati a percepire gli screening di popolazione per la diagnosi precoce (e non per la prevenzione, che è tutt’altra cosa) dei tumori della mammella come un qualcosa che può avere solo aspetti positivi, un qualcosa di intoccabile, che va incentivato e non certo discusso. Eppure anche questo strumento di sanità pubblica – che ha sicuramente un ruolo e una importanza innegabili – presenta luci e ombre, come tutti.

Qual è in particolare il problema degli screening mammografici di massa? Il problema è stabilire con certezza quanto sia grande il beneficio dello screening in termini di riduzione della mortalità per cancro al seno e quanto sia sostanziale il danno in termini di sovradiagnosi, cioè in termini di tumori rilevati dallo screening che altrimenti non sarebbero diventati clinicamente evidenti nel corso della vita della donna.

In parole povere: la mammografia è un esame radiologico efficace per identificare precocemente i tumori del seno, in quanto consente di identificare eventuali noduli quando sono di piccole dimensioni, non ancora percepibili al tatto. A volte però le mammografie possono rilevare tumori molto piccoli e a crescita lenta (circa 10 su 100 tumori trovati) che, se non fossero stati diagnosticati, non avrebbero causato problemi di salute alla donna nel corso della sua vita, non sarebbero insomma mai diventati pericolosi. Questo fenomeno, che tecnicamente viene definito appunto sovradiagnosi, è purtroppo inevitabile perché attualmente non esistono tecniche per distinguere questi tumori da quelli più aggressivi.

Cosa succede alle donne che subiscono una sovradiagnosi? Che vengono avviate allo stesso percorso terapeutico delle donne che hanno una diagnosi di tumore della mammella, ovvero chirurgia e/o terapia farmacologica (diversa a seconda dei casi e dei protocolli). Quindi subiscono dei trattamenti molto invasivi, dolorosi, impattanti sulla qualità di vita e sul quadro psicologico senza che in realtà sia necessario.

Qual è la misura del fenomeno nel “real world”? Uno studio pubblicato dalla prestigiosa rivista “Lancet” ha stimato che per ogni 10.000 donne britanniche di 50 anni invitate allo screening per i prossimi vent’anni, si eviteranno in media 43 decessi per cancro al seno e 129 casi di cancro al seno, invasivo e non invasivo, verranno invece sovradiagnosticati. Ciò significa che mediante la diagnosi precoce ottenuta con gli screening mammografici di massa si evita 1 decesso per tumore della mammella ogni 3 casi sovradiagnosticati identificati e trattati. In altre parole, per ogni donna salvata dallo screening, ce ne sono tre che subiscono inutilmente interventi chirurgici e (nella stragrande maggioranza dei casi) chemioterapia, con tutte le conseguenze che questo comporta.

È una proporzione accettabile? Se lo è chiesto anche Karsten Juhl Jørgensen (Department of Clinical Research – Københavns Universitet, Cochrane Denmark) in occasione del meeting Medicine & the Media, tenutosi a Firenze nell’ottobre 2023.

Anche se si considera accettabile il rischio di sovradiagnosi (cosa del tutto possibile e legittima, sia chiaro, vista la gravità della patologia di cui stiamo parlando), il punto è che le donne hanno il diritto di essere informate correttamente e completamente. Questo avviene? Assolutamente no. Anzi, poiché la priorità delle istituzioni sanitarie e politiche è allargare il più possibile la platea degli screening per il cancro al seno, spesso i messaggi “pubblicitari” delle campagne di comunicazione al riguardo sono inesatti e fuorvianti.

“Si può semplificare un messaggio a tal punto da mentire. Negli ultimi 30 anni, nel caso del cancro al seno, questo è successo troppo spesso” – Otis Brawley

Recentemente la United States preventive services task force (Uspstf) ha modificato le sue raccomandazioni sull’età di inizio dello screening mammografico, anticipandolo da 50 a 40 anni. Perché questa decisione non è così positiva come sembra? Lo ha spiegato Steven Woloshin (Center for Medicine and Media – The Dartmouth Institute) in occasione del meeting Medicine & the Media, tenutosi a Firenze nell’ottobre 2023.

La diagnosi precoce di tumore della mammella con gli screening mammografici può essere ovviamente molto preziosa. Può però succedere che causi più danni che benefici, o che il suo valore possa essere oggetto di dubbi e discussioni. Non si tratta insomma di un dogma, ma anzi di uno strumento di sanità pubblica che è oggetto da anni di profonde discussioni da parte degli addetti ai lavori, dei medici e degli scienziati. Non a caso alcuni Paesi europei – su indicazione delle locali organizzazioni di medici – non promuovono screening mammografici per il cancro al seno tra la popolazione o comunque non li promuovono nelle fasce di età più giovani.

“Bisogna cambiare paradigma nello screening per il cancro: cittadini più informati invece di una partecipazione più massiccia” – Gerd Gigerenzer

La valutazione dei benefici rispetto ai danni è soggettiva e tutto potrebbe cambiare nel futuro prossimo se impareremo a distinguere nelle fasi precoci tra i tumori della mammella pericolosi e quelli no. Ma al momento il tema presenta luci e ombre. Ecco perché una trasparente e onesta comunicazione dei possibili danni e benefici alle donne è di estrema importanza e dovrebbe essere scontata in un sistema sanitario moderno e basato sull’evidenza.