Nel 2016 la Via Lattea non era più visibile a un terzo dell’umanità. Oggi un nuovo studio ci conferma che l’inquinamento da fonti luminose sta aumentando del 10 per cento ogni anno: ciò significa che un bambino nato nel 2023, alzando lo sguardo tra venti anni, potrebbe vedere un cielo senza stelle. Christopher Kyba del German research centre for geoscience di Potsdam non ha dubbi: il cielo si sta schiarendo sempre di più (il così detto “skyglow”) a causa delle Alan (artificial light at night) dovute all’illuminazione stradale pubblica, alle luci di uffici, fabbriche, pubblicità, impianti sportivi e automobili, che oltre a “spegnere” la visione delle stelle (anche nelle località più remote della terra, tanto da far temere la sparizione di luoghi dove installare osservatori), confonde le numerose specie animali abituate a orientarsi guidate dalla luce della luna e incidendo anche sulla vita di insetti e mammiferi. Compreso l’uomo.
L’alternanza nelle 24 ore fra periodi di buio e di luce ha fatto sì che la gran parte degli esseri viventi abbia un sistema di temporizzazione circadiana intrinseco, adattato alla sequenza naturale fra il giorno e la notte, sulla base del quale sono regolati non solo il ritmo veglia-sonno, ma anche la secrezione di melatonina e cortisolo. Quanto possano incidere negativamente le alterazioni di questo ritmo “naturale” nell’uomo lo dimostrano numerosi studi osservazionali ed epidemiologici condotti su lavoratori e lavoratrici che effettuavano turni di notte, con conseguente esposizione alla luce artificiale e alterazione del ritmo sonno-veglia. In base ai risultati di questi studi l’esposizione ad Alan potrebbe essere un fattore di rischio per lo sviluppo di obesità e diabete, per l’aumento del rischio di cancro al seno nelle donne (e in genere per altri tumori ormono-dipendenti, come quello alla prostata negli uomini) e per lo sviluppo di depressione e disturbi dell’umore, ma i fattori di confondimento sono talmente elevati e le valutazioni dell’esposizione alle Alan talmente variabili che non rendono possibile affermare che l’esposizione alla luce artificiale di notte sia alla base dell’aumentata incidenza delle citate patologie nella popolazione in studio. Sono quindi necessari studi prospettici e interventistici per chiarire la natura di questa associazione e stabilire, anche, se la riduzione dell’esposizione ad Alan possa effettivamente promuovere la prevenzione di queste patologie. Quello che invece sappiamo con certezza è che la International agency for research on cancer nel 2020 ha inserito il lavoro notturno tra i probabili cancerogeni nell’uomo, a conferma che per ora il nesso più forte è quello con l’alterazione del normale e fisiologico ciclo sonno/veglia.
“Un bambino nato nel 2023 potrebbe vedere un cielo senza stelle”
Tornando invece all’inquinamento luminoso, la diffusione dell’uso dei Led (diodi ad emissione luminosa) per motivi legati all’efficienza energetica ha peggiorato ulteriormente la situazione. Le vecchie lampadine al sodio producevano luce calda, i Led invece emettono quasi esclusivamente luce fredda (luce blu) che si disperde nell’atmosfera terrestre deteriorando non solo la qualità delle osservazioni del cielo da parte degli astronomi, ma incidendo notevolmente sulla nostra qualità di vita: la prevalenza di emissione di luce blu, a discapito di quella dello spettro rosso, condiziona infatti negativamente la produzione di melatonina, l’ormone che regola il ritmo circadiano del sonno-veglia. Robert Fosbury dell’Istituto di oftalmologia dell’University college di Londra (Ucl) sostiene che essere esposti alla luce blu emessa dagli impianti a Led nelle ore notturne (e da altri dispositivi come smartphone, schermi retroilluminati e computer di uso quotidiano) è nocivo per il nostro corpo (sappiamo già quanto lo sia per i nostri occhi), in quanto aumenterebbe lo stress ossidativo e la morte cellulare.
L’importanza di difendere il buio
Nel 2021, una risoluzione del Parlamento europeo sulla “Strategia dell’Ue sulla biodiversità per il 2030 – Riportare la natura nella nostra vita” invitava la “Commissione a fissare un ambizioso obiettivo di riduzione dell’uso di illuminazione artificiale esterna per il 2030 e a proporre orientamenti sulle modalità di limitazione dell’uso dell’illuminazione artificiale notturna da parte degli Stati membri”. Purtroppo in Italia non esiste una legge che riconosca le Alan come inquinanti, nonostante il nostro Paese abbia il primato in Europa per inquinamento luminoso e tra i paesi del G20 divida il suo primato solo con la Corea del Sud.
Se voleste sincerarvene con i vostri occhi vi basterà visitare questo sito: il primato dell’Italia brillerà tristemente sotto i vostri occhi. E ancora più triste sarà sapere che le zone colorate in arancione, rosso, fucsia e bianco sono quelle dove attualmente la Via Lattea (estiva) non è più visibile (quella invernale non lo è già nelle zone gialle) e che un cielo incontaminato in Italia è attualmente visibile solo nelle zone grigio scuro, quindi in mezzo al mare.
“L’Italia ha il primato in Europa per inquinamento luminoso”
Eppure le soluzioni per contrastare l’inquinamento luminoso ci sarebbero. In primo luogo, adottando i cinque semplici principi della International dark-sky association: utilità, direzione, intensità, gestione e colore. Prima di installare o sostituire una illuminazione pubblica ci si dovrebbe sempre chiedere se questa è davvero indispensabile. Se sì, allora dovrebbe essere sempre orientata lì dove serve, quindi direzionata, auspicabilmente verso il basso, usando il livello più basso di luce necessaria e avvalendosi di timer e dimmer automatici che la spengano o ne diminuiscano l’intensità quando non è necessaria. Infine, come abbiamo già detto, andrebbero privilegiate sempre luci dal tono caldo. Il perché sia così difficile adottare questi principi ha a che fare con questioni di tipo sociopolitico. Nonostante non esista una chiara associazione tra buio e criminalità o un aumento degli incidenti stradali uno studio britannico abbastanza recente ha dimostrato come la diminuzione o totale assenza di luce risultasse piuttosto associata a un aumento della “sensazione” di insicurezza da parte dell’opinione pubblica: “strade sempre ben illuminate, per i cittadini delle città e dei sobborghi, evocano più di un luogo sicuro dove camminare o guidare: indicano una buona amministrazione, agiatezza e una posizione nella modernità”. La resistenza alla diminuzione dell’illuminazione pubblica, quindi, sembra avere a che fare, secondo i risultati dello studio, con paure ancestrali (dopo tutto siamo animali diurni) e con la percezione di qualcosa che ci è dovuto (l’illuminazione pubblica) in quanto cittadini di contesti urbani e che ci viene ingiustamente sottratto. La quantità e la qualità della luce notturna è quindi diventata una questione di salute pubblica e politica, nel più ampio senso del termine.
Le conseguenze peggiori, per ora, le sta pagando la fauna. Almeno un terzo dei vertebrati e quasi due terzi degli invertebrati sono notturni, ciò significa che la maggior parte delle loro attività naturali – accoppiamento, caccia, impollinazione – avviene di notte. La luce diventa quindi un vero e proprio “ostacolo” alla loro vita naturale e, soprattutto per gli insetti, rappresenta una fonte di attrazione che, oltre a decretarne la morte, li “distrae” appunto dagli altri compiti che dovrebbero svolgere traducendosi inevitabilmente in una perdita di biodiversità.
“Le conseguenze peggiori, per ora, le sta pagando la fauna”
Tra le specie più colpite gli insetti volanti, le farfalle notturne in particolar modo, ci spiega Bruno Cignini, zoologo e docente presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata che abbiamo intervistato sull’argomento. “È stato stimato che circa il 30 per cento di questi insetti muore attirato dalla luce e vada incontro a una predazione molto più elevata da parte di pipistrelli e gechi, animali che invece mostrano di ottenere un vantaggio dalle luci urbane, avendo una estrema adattabilità sia dal punto di vista ambientale che comportamentale”.
“I mammiferi sono animali principalmente notturni” prosegue Bruno Cignini “per questo motivo nella loro retina c’è un maggior numero di bastoncelli, organi che favoriscono la visione in condizioni di scarsa luminosità. Questo però si traduce in una maggiore sensibilità alle fonti luminose: ad esempio, per alcuni dei mammiferi costretti ad attraversare le strade delle città, i fari delle macchine rappresentano una fonte di luce così intensa da saturare i bastoncelli della retina ed abbagliare gli animali, causandone l’investimento”.
“In sostanza, la luce va a sfavorire le specie più specializzate, a vantaggio di quelle che hanno una maggiore capacità di adattamento. Prendiamo ad esempio il gabbiano reale: il suo periodo di attività, che naturalmente andrebbe dall’alba al tramonto, viene prolungato dalla presenza delle luci. Anche gli storni hanno scelto le città come dormitorio proprio grazie alla presenza di luce (che li protegge dai predatori) e di calore. Una vera e propria alterazione della biodiversità a vantaggio delle specie a più alta valenza ecologica e a scapito di quelle meno adattabili”.
“L’inquinamento luminoso dovrebbe essere considerato alla stregua della frammentazione degli habitat e del degrado della vegetazione spontanea, che ha permesso l’istituzione di aree protette e oasi urbane. Ad esempio, si potrebbe intervenire cambiando tipo e direzione di illuminazione e diminuendola o abolendola in quelle zone dove gli animali possono trovare un habitat più sicuro. Una battaglia difficile”.
Noi possiamo spegnere la luce. Gli animali no.