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La salute è un bene pubblico e deve essere globale


La salute e l’accesso ai farmaci dovranno essere considerati come dei beni pubblici a cui tutti possono accedere indipendentemente dalla ricchezza del paese in cui si trovano”. Un messaggio scontato, quasi banale, quello che Stefano Vella, direttore del Dipartimento del Farmaco presso l’Istituto Superiore di Sanità e presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), ha portato al TEDxLakeComo, lo scorso 21 novembre.

Eppure è un messaggio che, evidentemente, ancora non arriva chiaro dove dovrebbe poiché, come dice senza mezzi termini Vella nel suo discorso, “esistono nel mondo terribili diseguaglianze in termini di accesso alla salute (…) ci sono 20-30 milioni di persone che muoiono ogni anno per malattie che sono prevenibili e curabili. Che muoiono a causa delle diseguaglianze”. Ancora: “In Africa una donna su venti muore di parto”, “metà dei bambini del mondo non sono vaccinati, stiamo parlando di difterite o tetano, non stiamo parlando dei nuovi vaccini”.

Il medico romano fa un esempio molto pratico per spiegare cosa si intende per diseguaglianza: “Se mi viene un infarto qui sul palco, probabilmente qualcuno mi raccoglie e mi porta a Como, dove mi stappano una coronaria. Quando vado in Africa, alle volte me lo domando… ’certo se mi piglia un infarto qui, ci rimango’. Questa è la diseguaglianza. Lì non hanno accesso ai servizi e alle cure che abbiamo qua”.

Certo può non stupire che in Africa non ci sia lo stesso accesso alle cure che nel mondo occidentale. Tuttavia, non si tratta solo del sud del mondo ricorda Vella portando ad esempio il “trenino di Geppo Costa”. Geppo (Giuseppe) Costa è un epidemiologo dell’Università di Torino e del Servizio di Epidemiologia ASL TO3 del Piemonte che ha studiato come varia l’aspettativa di vita a Torino. Il suo “trenino” è un ipotetico tram cittadino che attraversa Torino dal centro alle periferie e mostra le differenze nell’aspettativa di vita tra le diverse aree urbane del capoluogo piemontese: “Se uno segue il percorso del tram dalle colline ricche fino alla zona operaia si perdono sei anni di aspettativa di vita. E queste diseguaglianze sono a Torino, non parliamo poi delle diseguaglianze tra nord e sud d’Italia”.

Infatti, come si legge nel rapporto Osservasalute 2016, l’ultimo rilasciato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, mentre al nord la mortalità prematura sotto i 70 anni diminuisce in tutte le regioni, al sud è invece in sensibile aumento. La spesa sanitaria pro capite, inoltre, che si attesta mediamente a 1.838 euro, è molto più elevata nella provincia autonoma di Bolzano (2.255 euro) e decisamente inferiore nel Mezzogiorno, in particolare in Calabria, dove è pari a circa 1.725 euro.

Tornando su un piano più universale, secondo il presidente dell’Aifa questa diseguaglianza di accesso alle cure nelle diverse aree del mondo è dovuta anche a “la globalizzazione un po’ selvaggia che c’è stata. Non c’è dubbio che la salute è legata alla povertà. I poveri muoiono di più e si ammalano di più”. Sono le persone marginalizzate quelle più colpite dalle diseguaglianze di salute, ricorda Vella elencando: “poveri, carcerati, lavoratori del sesso, tossicodipendenti, coloro che vivono in slums (un miliardo e mezzo di persone nel mondo) e tutte quelle che si sono dovute spostare. E poi le donne: in alcuni paesi del Sud Africa il 50 per cento delle donne giovani (entro i 24 anni di età, ndr) sono sieropositive (…) perché queste donne non hanno gli strumenti culturali e di potere per proteggersi”.

In un mondo così globale come possiamo non pensare che occuparci della salute di tutte le persone che vivono su questa Terra non sia anche promuovere la salute dei nostri figli.

Come combattere le diseguaglianze? Vella porta ad esempio la lotta all’Aids/Hiv: “Dai primi anni ‘80, quando è stato più o meno descritto nei paesi occidentali, 40 milioni di persone sono morte e altre 40 vivono oggi con questa malattia. A un certo punto negli anni’80 l’Aids è diventato la prima causa di morte tra i giovani. Ci ha messo un attimo”. In 15 anni però grazie a uno sforzo collettivo è stata messa a punto la prima terapia antiretrovirale e la curva della mortalità ha cominciato a scendere. Tuttavia questo è accaduto soltanto nei paesi ricchi che si potevano permettere di pagare questi farmaci costosi, perché invece la curva dei morti per Aids in Africa tra gli anni 80 e gli anni 2000 è rimasta un’unica linea in salita.

Ci sono voluti altri anni di impegno collettivo, nei quali l’Aids è stato considerato un problema di salute che riguarda tutti, dopo la conferenza della International AIDS Society (Ias) a Durban, con Nelson Mandela e dopo la creazione del Global Fund to fight AIDS, Tuberculosis and Malaria. La battaglia per portare i farmaci generici in tutta l’Africa e in tutto il sud del mondo è stata immensa ma alla fine del 2016 c’erano nel mondo 19 milioni di persone in trattamento antiretrovirale. Erano 20,9 milioni a metà del 2017.

È vero”, ricorda Vella, “non è finita la storia dell’Aids, c’è ancora tanto da fare, ma è stato fatto molto è stato un modello di sforzo collettivo verso la salute di tutti”.

In un mondo così globale, così interconnesso, con fenomeni migratori di portata epocale, con aerei, come possiamo pensare di risolvere i problemi di salute solo a casa nostra, come possiamo non pensare che occuparci della salute di tutte le persone che vivono su questa Terra, non sia anche promuovere la salute dei nostri figli. Questo è il concetto della salute globale”.