“Siamo qui adesso solo ed esclusivamente per lei”. Quanti sono i pazienti che percepiscono questo messaggio durante una visita con il proprio medico? Eppure la cura dovrebbe significare proprio questo. Per lo meno questa è l’opinione di Victor Montori, noto ricercatore e diabetologo peruviano in forza alla MayoClinic, promotore di quella che lui definisce patient revolution, un movimento che si ribella all’assistenza sanitaria “industrializzata” contemporanea e ne pretende invece una attenta e premurosa nei confronti del singolo paziente.
Montori presenta le sue tesi e il suo libro “Why we Revolt” all’evento Medicine X dell’Università di Stanford spiegando perché una sanità nella quale i pazienti sono visitati in batteria e che prende in prestito il linguaggio del mondo del business limita la capacità di cura e trasforma l’assistenza in un prodotto da fornire a un cliente.
Non è il solo, Montori, a promuovere una medicina a minimo impatto e a sostenere che “troppa medicina”può portare più danni che benefici al paziente e al sistema sanitario. Queste, che il medico porta avanti da quasi dieci anni, sono infatti le stesse idee che hanno dato vita a iniziative come la campagna Too Much Medicine del BMJ o quella Less is More promossa dal JAMA Internal Medicine, o ancora come il programma Choosing Wisely della Fondazione dell’American Board of Internal Medicine. Tutte voci di un movimento che vorrebbe rompere il circolo vizioso di avidità e crudeltà che intrappola oggi non solo i pazienti ma anche i medici.
Esami inutili, prescrizioni di troppi farmaci in combinazione, seconde, terze, quarte visite dovute spesso a un primo incontro frettoloso e superficiale. Secondo Montori uno dei problemi maggiori legati a questa “assistenza sanitaria di tipo industriale” è che in qualche modo porta i clinici a vedere i propri pazienti non “in alta definizione”, ma “sfocati”. Non si cura il paziente che si ha davanti, con le proprie uniche esigenze, ma ci si occupa di pazienti “come quello che si ha davanti”.
La strada da percorrere richiede che la cura del paziente sia premurosa e gentile, che sia un’assistenza non basata sull’avidità ma sulla solidarietà.
Maria Luisa, prosegue Montori rivolgendosi alla platea di Medicine X, era un’anziana signora, di origini peruviane come lui, che viveva in Alaska con il figlio e le nipoti. A Maria Luisa erano state prescritte tante di quelle medicine da farla sentire confusa e frustrata e rischiare di ridurre la sua aderenza alla terapia. C’erano poi le dialisi, tre mattine a settimana, da cui usciva talmente stanca da non poter fare altro per il resto della giornata. In più Maria Luisa parlava solo spagnolo e la sua situazione clinica le imponeva forti restrizioni alimentari che la costringevano a privarsi dei suoi piatti peruviani preferiti.
Il problema di Maria Luisa, la cura di cui aveva bisogno non erano altre medicine, né ulteriori interventi sanitari legati specificamente alla sua malattia cronica. Maria Luisa aveva bisogno di una cura più attenta alle sue necessità. Poi è arrivata Ana, la nipote che fa parte del team di Montori e, grazie a lei, sono arrivati anche i cambiamenti all’insegna del minimo impatto nei tempi e modi della cura alla nonna. La dialisi è stata spostata al pomeriggio, in modo che dopo non le restasse altro che riposare senza perdere intere giornate che poteva impiegare in modo utile. Nel pomeriggio si avvicendavano infermiere che parlavano spagnolo. Inoltre, la lista delle sue restrizioni alimentari è stata inviata a un medico peruviano che ha risposto fornendo ricette del suo paese che qualcuno poi le preparava ogni domenica per tutta la settimana.
Questi minimi interventi hanno migliorato la salute di Maria Luisa garantendole anche una qualità di vita sensibilmente più soddisfacente nei suoi ultimi anni: “è morta ricevendo un’assistenza premurosa e attenta, senza sentirsi sopraffatta”, racconta Montori, da una presenza così forte della medicina nel suo quotidiano da levarle la serenità.
Ma come si possono cambiare le cose? Passare da un sistema in cui il profitto è diventato il fine e non il mezzo, arrivando al punto che la cura del paziente avviene solo quando economicamente conveniente? “La strada da percorrere non può essere quella pavimentata da questa assistenza sanitaria industriale. La strada da percorrere richiede che la cura del paziente sia premurosa”.
L’alternativa è una cura senza fretta, in cui il tempo dedicato è quello necessario, né più né meno in una danza in cui medico e paziente costruiscono, per usare ancora le metafore di Montori, una “cattedrale” di assistenza. “Loro conoscono la giusta sequenza, il giusto ritmo. Non c’è niente di non necessario. A guidarli eleganza e non efficienza in una conversazione non affrettata che permette di vedere il paziente in alta definizione”.