Nel 2017, dopo l’esplosione del caso Weinstein, la rivista Time ha conferito il premio di persona dell’anno alle “Silence Breakers”, le donne che hanno avuto il coraggio di rompere il silenzio sul tema delle molestie sessuali. A quelle centinaia di migliaia di voci che – riunitesi attorno al movimento #MeToo – hanno detto basta ad abusi di potere, violenze, battute ambigue, sguardi ammiccanti e palpeggiamenti. Una presa di coscienza tanto forte quanto legittima, che potrebbe però avere anche degli effetti negativi. Secondo Arthur Caplan, direttore del dipartimento di etica della New York University, c’è infatti il rischio che nel calderone dei comportamenti inaccettabili finiscano anche manifestazioni di affetto e di empatia che sono invece auspicabili e positive. In un’intervista realizzata per Medscape, il filosofo sottolinea un aspetto centrale della questione: “Non tutto il contatto fisico è sessuale”.
Si pensi, ad esempio, alla relazione tra medico e paziente. “Il successo del movimento #MeToo – spiega Caplan – pone dei quesiti etici importanti per tutti gli operatori sanitari: qual è il modo appropriato di relazionarsi con i pazienti? E con i loro familiari? Come si stabilisce se un comportamento è appropriato o se invece non lo è?”.
Non che il filosofo statunitense abbia dei dubbi sulla bontà e utilità del movimento contro le molestie sessuali: “Dobbiamo mostrare sensibilità, le donne hanno molti buoni motivi per lamentarsi”, spiega nella sua premessa. Ciò che lo preoccupa, invece, è la possibilità che questa ondata di consapevolezza porti a un’esagerazione nel senso opposto, che medici e infermieri, ad esempio, non si sentano più liberi di toccare una paziente o di rivolgerle un complimento. “Questo significherebbe che ci siamo spinti troppo oltre”.
Non dovremmo spingerci tanto oltre da arrivare al punto di applicare un divieto di toccarsi e di parlarsi
È forse sbagliato, infatti, abbracciare una madre che piange la morte di un figlio? O dire una parola gentile a una donna che, sfigurata da una malattia, si sente poco attraente? Spesso è attraverso questi gesti che i medici riescono a mostrarsi empatici e a stabilire un contatto emotivo con i propri pazienti. “Certo non è mai sbagliato chiedere il permesso al diretto o alla diretta interessata; ma ritengo che queste manifestazioni non siano inappropriate e che, al contrario, dovrebbero essere preservate”, aggiunge Caplan. Secondo il docente della New York University, infatti, le persone sono generalmente in grado di distinguere un atteggiamento ambiguo da una gentilezza, specie se questa viene fatta in un contesto adeguato.
“Non sto dicendo che dovremmo abbracciare le pazienti negli studi medici, con le porte chiuse”, spiega il filosofo. “Questo sarebbe chiaramente inopportuno”. Perché, però, non si dovrebbe farlo nelle stanze e nelle corsie degli ospedali, dove sono presenti anche altre persone? Secondo Caplan, poi, lo stesso si può dire per i complimenti: “Servono a far sentire gli altri bene con sé stessi. Non c’è niente di sbagliato in questo, tutto dipende da come vengono fatti”.
Un giudizio non richiesto non è un complimento, e neanche uno sguardo languido o un commento evocativo. Dire a una donna che il vestito che indossa le sta particolarmente bene, invece, può esserlo. “Si tratta di un ordinario discorso sociale”, continua Caplan. “Non c’è bisogno di offendersi. Rivolgersi a una persona con un ‘mi permetta di farle un complimento’ significa aprirsi verso l’esterno, mostrarsi socievoli”.
C’è il rischio, dunque, di cadere nel tranello della generalizzazione, e di far sì che un movimento volto a ottenere maggiori giustizia ed equità finisca per rendere immorali gentilezza e compassione. La relazione medico-paziente necessita di empatia, di comprensione, di vicinanza. E di contatto, anche: sia emotivo che fisico. Un contatto che non ha, e non deve avere, nulla a che vedere con la molestia. “Sono il primo a dire che il modo in cui molti uomini trattano le donne deve cambiare”, sostiene l’esperto di bioetica. “Dobbiamo assicurarci che queste non si sentano mai costrette o manipolate e che in nessuna occasione gli uomini abusino del potere di cui dispongono”. Sarebbe sbagliato, allo stesso tempo, esagerare nel senso opposto e considerare inopportuna qualsiasi forma di contatto. “Non dovremmo spingerci tanto oltre da arrivare al punto di applicare un divieto di toccarsi e di parlarsi”, conclude Caplan. “Questo porterebbe all’eliminazione di uno stile comunicativo che permette ai medici di essere più vicini ai loro pazienti”.
Qui il link all’intera intervista.