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L’ultima frontiera dell’intelligenza artificiale in medicina


Il desiderio di Leila Pirhaji era quello di curare le persone. Poi però la nostalgia per la sua amata matematica, come lei stessa racconta in una TED Talk, l’ha spinta ad abbandonare gli studi di medicina. Se in quel momento il suo desiderio sembrava destinato a non avverarsi mai, Pirhaji ha comunque trovato la strada per realizzarlo, grazie all’applicazione della matematica e dell’intelligenza artificiale allo studio delle diverse patologie che colpiscono l’organismo umano.

Oggi Pirhaji è Ceo di ReviviMed, una start-up che ha sviluppato una piattaforma di intelligenza artificiale (chiamata PIUMet e disponibile qui) per studiare i metaboliti – piccole molecole nel sangue come molecole di grasso, di glucosio, di colesterolo – e mettere a punto nuovi trattamenti per le malattie legate a malfunzionamenti in queste molecole.  Per esempio possibili terapie per il cosiddetto fegato grasso, la steatosi epatica. Questa malattia colpisce il 20 per cento della popolazione mondiale, non ha un trattamento al momento disponibile e può portare a un tumore o all’insufficienza epatica.

Quando nel 2003 è stato sequenziato il genoma umano, si pensava che si sarebbero trovate in esso le risposte necessarie a trattare molte patologie. In realtà, così non è stato, perché oltre ai nostri geni, anche il nostro ambiente e il nostro stile di vite hanno un ruolo significativo nello sviluppo di molte malattie importanti. Quindi sequenziare il Dna e basta non ci da abbastanza informazioni per trovare trattamenti efficaci”, racconta Pirhaji dal palco del TED. Tuttavia, secondo la ricercatrice-imprenditrice a far ben sperare per il futuro è la presenza di oltre 100mila metaboliti nel corpo.

I metaboliti sono tutte quelle molecole di dimensioni molto piccole. Gli esempi più scontati sono glucosio, fruttosio, grassi, colesterolo – parole che sentiamo continuamente (…) Portano informazioni sia sui nostri geni sia sul nostro stile di vita. Comprendere i metaboliti è essenziale per trovare trattamenti per molte patologie”, prosegue.

Ci sono molti metaboliti nel nostro corpo. Ognuno è diverso dall’altro. Di alcuni metaboliti possiamo misurare la massa adoperando strumenti per la spettrometria di massa, ma poiché ce ne possono essere diversi della stessa identica massa, non è facile identificare queste molecole sono attraverso una spettrometria”. Per farlo infatti sarebbero necessari esami molto lunghi e soprattutto estremamente costosi.

Ed è qui che entra in gioco la piattaforma sviluppata da ReviviMed.  In parte questa è composta da un gigantesco database, una mega rete come la chiama Leila Pirhaji, contenente ogni informazione a oggi esistente sui metaboliti che si trovano nel corpo umano e sulle loro interazioni con altre molecole.

A partire da campioni di tessuto o di sangue dei pazienti, misuriamo la massa dei metaboliti e troviamo quali di queste masse sono cambiate con la malattia. Ma, come ho detto prima, non sappiamo esattamente a quale metabolita queste masse corrispondano. Una massa molecolare di 180 può corrispondere a una molecola di glucosio, di fruttosio o di galattosio. Questi hanno tutti la medesima massa, ma funzioni molto diverse nel nostro organismo. Il nostro algoritmo di intelligenza artificiale, prende in considerazione tutte queste ambiguità, esplora la mega rete per trovare come queste masse metaboliche presenti nel tessuto esaminato sono connesse le une alle altre e come queste connessioni possono portare allo sviluppo della patologia”. In questo modo non solo la piattaforma è in grado di dedurre di quale molecola si tratti, ma secondo Pirhaji, potrebbe permettere di scoprire nuovi trattamenti per quella specifica malattia.

I primi tentativi di applicare le tecnologie di intelligenza artificiale allo studio e al trattamento delle malattie risale all’inizio degli anni ‘80. Poi, a partire dagli anni 2000 l’applicazione dell’intelligenza artificiale alla medicina si è intensificate e  se ne sono cominciate veramente a intravedere le enormi potenzialità. Oggi ci sono diverse applicazioni già in uso, pensate alla piattaforma IBM Watson adoperata per il supporto di diagnosi oncologiche, di pianificazione di trattamenti oncologici e di sviluppo di nuovi farmaci.

In medicina non siamo più nell’ambito delle speculazioni teoriche, e le diverse esperienze hanno superato i limiti della cinematografia fantascientifica qualche anno fa.

Sono moltissimi infatti i settori della medicina in cui tecnologie basate su algoritmi di intelligenza artificiale e sul machine learning stanno trovando applicazione, trasformando visioni fino a qualche tempo fa limitate a film e libri di fantascienza in realtà consolidate. In primo luogo come abbiamo visto diagnosi, messa a punto di piani di trattamento, identificazione delle malattie e individuazione di molecole per lo sviluppo di nuovi farmaci.

Non sono però da trascurare le sue potenzialità per la selezione di candidati ideali per studi clinici e alla conduzione di studi clinici (l’analisi in tempo reale di dati provenienti da remoto, per esempio), la raccolta e la digitalizzazione di informazioni medico sanitarie, la possibilità di prevedere l’insorgere di focolai di epidemie.

Grandi avanzamenti si sono visti per ora, nell’ambito della lettura di esami radiografici – e di altri esami di imaging  – e conseguente formulazione di una diagnosi a partire da essi. È di poche settimane fa, infatti, uno studio pubblicato su Lancet Digital Health che dimostrerebbe come in questo campo le performance di programmi di intelligenza artificiale e deep learning sarebbero alla pari di quelle specialisti in carne e ossa

Dunque, come sottolinea Antonio Addis del dipartimento di epidemiologia della regione Lazio, in un numero della rivista Forward dedicato interamente all’intelligenza artificiale, “… In medicina non siamo più nell’ambito delle speculazioni teoriche, e le diverse esperienze hanno superato i limiti della cinematografia fantascientifica qualche anno fa”. Proprio per questo, prosegue Addis “diventa impellente porsi per tempo domande su come governare l’opportunità ma anche i rischi associati a questa nuova frontiera”.

Perché non si tratti di semplice artificio meccanico ma di reale intelligenza, non ce la possiamo cavare pensando a una macchina che possieda già tutte le risposte prima ancora che qualcuno formuli il quesito clinico. Varrebbe forse la pena continuare a valorizzare – anche in medicina – il contributo dato da un aiuto esterno nei passaggi più astrusi piuttosto che a una vera delega al ragionamento”, conclude. “In fin dei conti perché dovremmo delegare totalmente a forme non-umane proprio la caratteristica (l’intelligenza) che maggiormente ci distingue da tutto ciò che ci circonda?”.