Imparare a leggere rimane forse la tappa più importante del percorso scolastico di ogni essere umano. È ovviamente di enorme importanza che venga gestita nel migliore dei modi, tenendo conto dei progressi delle Neuroscienze e della Pedagogia. È davvero così? I dati non paiono incoraggianti…
Mark Seidenberg, vilas research professor e Donald O. Hebb professor of Psychology presso l’University of Wisconsin-Madison, ha trascorso la maggior parte della sua illustre carriera lavorando per cambiare, anzi rifondare il modo in cui ai bambini negli Stati Uniti viene insegnato a leggere. L’analfabetismo propriamente detto e quello funzionale rimangono negli Usa un problema diffuso: secondo l’organizzazione senza scopo di lucro ProLiteracy, circa 43 milioni di americani adulti non hanno capacità di lettura e scrittura superiori a un livello di terza elementare.
“Perché esiste un’enorme percentuale di bambini con scarse capacità di lettura e che le scuole non raggiungono?”
“Perché i nostri livelli di alfabetizzazione sono così bassi?” si domanda Seidenberg. “Perché esiste un’enorme percentuale di bambini con scarse capacità di lettura e che le scuole non raggiungono?”. Ci sono diverse risposte, ma per Seidenberg la più importante non è di natura sociologica, economica o politica: secondo lui esiste una disconnessione di lunga data tra la ricerca scientifica sui modi in cui i bambini acquisiscono abilità linguistiche e di lettura – ricerca alla quale Seidenberg ha dato contributi significativi, negli anni – e il modo in cui ai bambini viene insegnato a leggere in classe. Seidenberg descrive il modello che ha dominato l’istruzione statunitense negli ultimi decenni come una “favola romantica”. L’idea centrale è sempre stata che se gli insegnanti creano un ambiente stimolante con attività e testi interessanti, un bambino sarà motivato a imparare a leggere, costruendo gradualmente capacità di lettura che si trasferiscono da un libro all’altro. “La ricerca invece ci dice che non funziona in questo modo”, afferma Seidenberg. “Ci vogliono istruzioni per aiutare i bambini a capire come funziona la stampa e come essa rappresenta graficamente il linguaggio. Non è affatto intuitivo come sembra, il passaggio”.
“Inizio a pensare che se non facciamo qualcosa al riguardo ora, essere alfabetizzati diventerà un’abilità d’élite. Un certo numero di persone sarà altamente alfabetizzato perché questi skill sono necessari ai vertici. Tutti gli altri saranno bloccati al livello necessario per postare sui social network o giocare ai videogiochi”
Nel 2017, Seidenberg ha riassunto lo stato della ricerca sulla lettura in Language at the speed of sight: how we read, why so many can’t and what can be done about it, un libro che esponeva le sue argomentazioni a favore di un diverso modo di insegnamento. Seidenberg infatti sostiene che i sistemi cerebrali connessi alla padronanza della lingua parlata e dell’alfabetizzazione sono intrecciati e la capacità di lettura di un bambino dipende in modo critico dalla sua conoscenza della lingua parlata. “Quando i bambini stanno imparando a leggere, la cosa che ha il maggiore impatto su di loro per capire e apprendere la stampa, che è ciò che determina la capacità di lettura, è quello che sanno della lingua parlata. Conoscono le parole? Conoscono le strutture delle frasi? Sanno quali sono gli argomenti di cui stiamo parlando?”. L’idea che i bambini “capiranno da soli” non considera il fatto che gli ambienti domestici e l’esperienza dei bambini con la lingua parlata variano notevolmente da caso a caso. Con quale frequenza si parla ai bambini e li si incoraggia a parlare? Quanto è complessa la lingua che il bambino ascolta durante il giorno?
“Il target verso cui i nostri materiali scolastici sono decisamente orientati è questo ragazzo idealizzato della classe media”
Ciò crea serie sfide continue per gli insegnanti. Nel frattempo, i materiali nei curricula di lettura standardizzati sono spesso insensibili al background linguistico degli studenti a cui sono destinati. In un articolo del 2021 pubblicato su “American Educator” e intitolato Rethinking how to promote reading vomprehension, Hugh Catts dell’University of California of San Francisco evidenzia come la lingua o il dialetto che imparano a casa e nella comunità sia molti studenti diverso da quello usato a scuola, il che complica l’apprendimento della lettura. “Il target verso cui i nostri materiali scolastici sono decisamente orientati è questo ragazzo idealizzato della classe media”, afferma Seidenberg. “Non tengono conto di queste scoperte, del fatto che le differenze nel modo in cui le persone parlano influenzano la loro capacità di imparare a leggere”. Lo studioso ha trascorso gran parte degli ultimi cinque anni lavorando per contribuire ad allineare i metodi di insegnamento a quanto ci suggerisce la ricerca scientifica, parlando a gruppi di difesa della lettura e ai convegni di insegnanti ed educatori. Sa di aver sensibilizzato molti addetti ai lavori sulla questione, ma mentre diversi Stati Usa hanno approvato leggi che ordinano la revisione e l’aggiornamento dei programmi di studio della lettura nelle scuole pubbliche, i progressi rimangono lenti. Le grandi case editrici di libri di testo scolastici, ad esempio, possono essere riluttanti ad apportare modifiche sostanziali ai propri prodotti.
La pandemia di covid-19, che ha costretto tantissimi bambini a lasciare le classi e ha interrotto il loro apprendimento, sembra aver solo esacerbato il problema: dopo essersi stabilizzati nel decennio precedente la pandemia, i livelli di alfabetizzazione negli Stati Uniti sono diminuiti. L’impatto della pandemia si farà sentire negli anni a venire, afferma Seidenberg. “Inizio a pensare che se non facciamo qualcosa al riguardo ora, essere alfabetizzati diventerà un’abilità d’élite. Un certo numero di persone sarà altamente alfabetizzato perché questi skill sono necessari ai vertici. Tutti gli altri saranno bloccati al livello necessario per postare sui social network o giocare ai videogiochi”.
“Se i genitori, tutti, sapessero quanto potrebbero contribuire, con alcune semplici attenzioni e attività nei primi anni di vita, allo sviluppo mentale dei loro figli, sia cognitivo che socio-relazionale, molte cose cambierebbero in meglio, sia per i bambini sia per i loro itinerari di vita”, spiega Giorgio Tamburlini, medico pediatra che svolge attività di consulenza per diverse organizzazioni internazionali come l’Oms e l’Unicef, e collabora con numerosi centri di ricerca in Italia a all’estero su programmi a supporto dell’early child development. È il presidente del Centro per la salute del bambino-onlus, che promuove in Italia i programmi Nati per leggere e Nati per la musica. “Se quanti lavorano con bambini nei loro primi anni e le loro famiglie – operatori sanitari, sociali e dei servizi culturali, educatori e insegnanti – sapessero quanta differenza potrebbero fare per la vita di coloro che a loro si rivolgono, potrebbero arricchire di nuovi valori la loro professione. Se chi ha responsabilità di formare le diverse tipologie di professionisti che si occupano di famiglie e di infanzia, sapesse arricchire i curricula di loro competenza con le nuove conoscenze riguardanti l’importanza di come i genitori sono e cosa fanno con i loro figli e le modalità per sostenerli, le famiglie sarebbero molto facilitate nel loro compito educativo. Insomma, potremmo avere un mondo significativamente migliore se solo si sapesse quanto due decenni di studi e ricerche in varie e diverse discipline – dalle neuroscienze alla psicologia dell’età evolutiva, dall’economia dello sviluppo alle scienze sociali – ci hanno fatto comprendere e conoscere sullo sviluppo del bambino nei primi anni, i fattori che lo influenzano e le azioni che possiamo mettere in atto per favorirlo. Purtroppo invece siamo ancora lontani da una consapevolezza su questo tema”.
Sul tema Tamburlini sta per pubblicare il libro I bambini in testa (Il Pensiero Scientifico Editore, 2023), che si propone di presentare un compendio integrato di queste conoscenze, discuterne le implicazioni pratiche, e indicare cosa potrebbe essere fatto da tutti questi diversi protagonisti e come avere, e mantenere, “i bambini in testa”. Viene proposto un itinerario che, a partire da una sintesi dei concetti essenziali, delle basi scientifiche e delle implicazioni di quel sapere transdisciplinare che va sotto il nome di sviluppo precoce del bambino (“early child development”) e dei fattori che lo determinano, con una attenzione particolare per l’ambiente familiare e i servizi educativi per la prima infanzia, propone una visione delle cose da fare per garantire a tutti i bambini e le bambine le migliori opportunità di una buona partenza nella vita e per costruire, loro tramite, comunità e società più prospere, giuste e coese.
Giorgio Tamburlini sarà uno dei relatori del congresso “4Words: le parole dell’innovazione in Sanità”, sesta riunione annuale del progetto Forward, in programma a Roma l’11 maggio 2023.