“Se volete possiamo farvi visitare il nostro Cadaver Lab, dove conserviamo delle vere teste umane”. Nel viaggio in macchina in direzione dell’IRCCS Neuromed – Istituto Neurologico Mediterraneo di Pozzilli, in provincia di Isernia, io e il collega Marco Arcidiacono continuiamo a pensare a questa frase. Ce l’hanno ripetuta più volte i responsabili dell’ufficio stampa della struttura molisana, con i quali qualche giorno prima abbiamo pianificato una visita per realizzare una serie di interviste.
Saranno intere o sezionate? Isolate o attaccate al resto del corpo? Di giovani o di anziani? Rasate o ancora con i capelli? La curiosità aumenta a mano a mano che ci avviciniamo al Molise. E a tratti non solo la curiosità. “Ma non è che hanno insistito tanto perché quelle che conservano sono teste di giornalisti?”, mi chiede Marco sorridendo. Forse l’avvicinarsi della notte di Halloween ci sta un po’ condizionando.
Ma oggi è il 31 ottobre e, almeno per ora, le nostre teste poggiano ancora sulle nostre spalle. Il motivo della cordiale insistenza dell’ufficio stampa di Neuromed lo cogliamo parlando con uno dei responsabili del Cadaver Lab, il neurochirurgo Paolo Di Russo: “Questo laboratorio è unico nel suo genere in Italia – ci spiega – perché è direttamente collegato al reparto di neurochirurgia. È quindi gestito da noi neurochirurghi, da me e da altri colleghi come Nicola Gorgoglione, Arianna Fava, Michelangelo De Angelis e il professor Vincenzo Esposito che è il primario del reparto”.

Il Centro di medicina necroscopica “G. Cantore” – anche chiamato Cadaver Lab – rappresenta quindi un unicum, oltre che un’eccellenza, nel campo della neuroanatomia e della chirurgia formativa. Istituito nel 2021, il centro è stato pensato in modo specifico per la formazione pratica dei neurochirurghi. Qui specializzandi e medici già formati hanno infatti l’opportunità di approfondire la conoscenza anatomica e sperimentare le tecniche chirurgiche su preparati reali, provenienti appunto da cadaveri.
“Nel 2023 non è più realistico imparare a operare direttamente sul paziente – sottolinea Di Russo – e fare una parte pratica preclinica sul cadavere aiuta il neurochirurgo a essere più pronto e più sicuro, in modo da dare un risultato migliore al paziente quando sarà il momento di andare in sala operatoria”.
Soprattutto in ambito chirurgico è infatti cruciale sviluppare, insieme alle conoscenze teoriche, anche competenze pratiche. Non a caso il Centro di medicina necroscopica di Neuromed si sta rivelando un’idea di grande successo: nei suoi primi due anni di vita sono stati organizzati presso il centro circa quindici corsi intensivi, della durata di due-quattro giorni, a cui hanno preso parte specialisti provenienti da tutta Italia, ma anche dagli Stati Uniti, dalla Francia, dal Canada, dalla Germania, dalla Spagna, dalla Svizzera e dall’Asia.

In altri casi, invece, la formazione prevede periodi di permanenza più lunghi. È il caso di Luigi Mauro, specializzando neurochirurgo dell’Università di Verona che incontriamo nel corso della nostra visita: “Venendo qui ho capito realmente l’utilità di questo percorso. Fare dissezioni, passare ore al microscopio, lavorare sul cadavere, sono tutte attività che permettono di costruirsi quella conoscenza dell’anatomia tridimensionale che serve a un neurochirurgo per lavorare al meglio”.
“Nel 2023 non è più realistico imparare a operare direttamente sul paziente”
È proprio Mauro ad accompagnarci al tavolo da autopsia dove c’è il preparato anatomico che è stato predisposto appositamente per noi. Prima, tuttavia, ci viene chiesto di non fotografarlo o riprenderlo. “Una cosa a cui teniamo particolarmente è il rispetto del cadavere – precisa Di Russo – il cui volto dev’essere sempre coperto. Questo per ridurre l’impatto emotivo, quella sensazione di umano, ma anche per proteggere l’identità del defunto”.
Una volta spente le fotocamere, Mauro scosta leggermente il telo chirurgico che lo copre e il preparato viene in parte rivelato. Le nostre domande trovano così le prime risposte. Si tratta della testa di un anziano, con tanto di collo e capelli (rasati). È poggiata su un lato, con l’orecchio destro rivolto verso l’alto e la parte alta della nuca preparata in modo da rendere visibili le strutture anatomiche. Vediamo i muscoli, i tendini, il grasso. Vediamo la dura madre e i vasi, iniettati con dei coloranti per distinguere meglio le vene (blu) e le arterie (rosse).

Il tutto, notiamo, è meno impressionante di quanto ci aspettavamo. L’ambiente è asettico e impersonale, il contesto palesemente scientifico. “Non sembra neanche reale – dice Marco dopo essersi avvicinato al tavolo autoptico – sembra la testa di un manichino”. “È quello che dico sempre agli infermieri che vengono ai nostri corsi: una volte viste fanno meno impressione”, gli risponde Di Russo. “Questo anche per effetto del trattamento a cui vengono sottoposti i preparati”.
“Una cosa a cui teniamo particolarmente è il rispetto del cadavere”
Questi vengono infatti fissati inizialmente in formalina e poi lavati con l’alcol. Una volta eseguita questa operazione, poi, vengono riposti in dei secchi bianchi ripieni di acqua e alcol e conservati in apposite celle frigorifere. Ovviamente – come ci spiega il neurochirurgo – tutte le procedure, dalla conservazione allo studio, seguono rigidissime regole ministeriali: “E lo stesso vale anche per gli ambienti. Oltre alla sala autoptica principale abbiamo anche due sale adibite, secondo le regole del Ministero della salute, ad accogliere anche cadaveri potenzialmente infetti”.

Mentre ci avviciniamo alla fine della visita ci rendiamo conto che tra tutte le curiosità che avevamo al momento del nostro arrivo una non ha ancora avuto risposta: come ci si procura una testa? Il pensiero va subito alla battuta di Marco nel viaggio di andata. Quando lo chiedo ai nostri accompagnatori, quindi, mi aspetto da un momento all’altro un improvviso blackout, come nei film dell’orrore.
Di Russo ci spiega invece che al momento per acquistare dei preparati di questo tipo è necessario rivolgersi a delle strutture specializzate americane. “Negli Stati Uniti queste procedure esistono da moltissimi anni, quindi anche culturalmente è un argomento più facile da affrontare. C’è maggiore disponibilità a donare il proprio cadavere alla scienza”. In Italia, invece, questa possibilità è stata regolamentata per legge solo nel 2020 e l’attuazione delle normative è ancora in fase di sviluppo finale.
La nostra visita al Cadaver Lab dell’IRCCS Neuromed ci ha però fatto capire quanto questa pratica possa essere determinante ai fini del progresso scientifico. Nelle mani giuste, infatti, un cadavere può ancora insegnare tanto. Chi decide di donare il proprio corpo alla scienza offre quindi un prezioso contributo alla ricerca medica e all’istruzione dei futuri medici, consentendo loro di acquisire conoscenze e competenze indispensabili per salvare delle vite umane.