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Il valore sottratto al Servizio sanitario nazionale: l’Ecm


Sappiamo tutto della crisi del servizio sanitario nazionale, della riduzione del finanziamento alla sanità pubblica, del progressivo e in certi casi arrembante ingresso dei privati nell’assistenza sanitaria (molto chiaro questo post di Maria Elena Sartor), del ruolo sempre più marginale assegnato alla ricerca indipendente e delle distorsioni che caratterizzano la definizione dell’agenda, dei metodi e dei risultati di gran parte degli studi condotti con fondi privati (è una buona occasione per tornare a sfogliare questo libro che segnalo insieme al mio conflitto d’interessi). Questi sono tra i determinanti principali di uno scenario che ci è ormai familiare, quello di un servizio sanitario sempre più iniquo e sempre meno universale (come ha scritto Gianni Tognoni, non ci sono più diritti inviolabili ma qualsiasi conquista apparentemente acquisita è sempre da difendere). Ma c’è un altro punto critico – forse non meno importante – di cui pochi parlano e molti non notano: la privatizzazione dei saperi prodotti all’interno del sistema sanitario.

Eppure, il governo della conoscenza è un tema da anni molto discusso anche perché negli ultimi trent’anni l’informazione e la comunicazione hanno beneficiato di una vera rivoluzione: cambiamenti dirompenti, ancora in atto e destinati a proseguire perché pochi ambiti come quello dell’informazione sono adatti a sperimentare e ad accogliere l’innovazione tecnologica. Questa rivoluzione ha cambiato profondamente anche i sistemi sanitari: è sufficiente pensare a quanto è diventato più facile accedere alle informazioni, consultare banche dati, sviluppare software per automatizzare l’aggiornamento di revisioni sistematiche, costruire registri di malattia, pianificare, condurre e condividere i dati della ricerca clinica, usare gli strumenti utili a inquadrare e affrontare i problemi clinici “al letto del malato” o costruire piattaforme digitali dove svolgere sperimentazioni multicentriche come quelle nate rapidamente sin dai primi mesi della crisi sanitaria conseguente a covid-19. Un sistema ben “governato” avrebbe sfruttato queste e tante altre opportunità per crescere e diventare ancora più solido e coeso grazie agli investimenti nelle infrastrutture informatiche. E poi, la rivoluzione fondamentalmente democratica della Rete avrebbe potuto permettere una formazione continua dei professionisti sanitari più viva e capillare di un tempo, più omogenea sul territorio nazionale e capace di integrare l’attività di ricerca con la pratica clinica.

La rivoluzione democratica della Rete avrebbe dovuto incentivare l’educazione continua in medicina (Ecm) indipendente. Invece non sempre le istituzioni pubbliche hanno ritenuto opportuno investire sulla formazione continua dei professionisti e sulla ricerca. In sintesi, c’è il sospetto che non si investa abbastanza sulle competenze interne e generate dal sistema.

Comunque, i dati elaborati da Agenas e messi a disposizione per questa nota, ci dicono che il numero di eventi accreditati a livello nazionale per l’aggiornamento degli operatori sanitari è aumentato negli ultimi tre anni, parallelamente all’emergere di nuovi bisogni formativi avvertiti dal personale sanitario, messo a dura prova nei tre anni di emergenza pandemica: riferendoci – ripetiamo – alla sola formazione accreditata a livello nazionale, si è passati da 17 mila eventi nel 2020 a quasi 28 mila (2021) e ai 32.567 del 2022. Il ricorso a provider privati di educazione continua a essere prevalente: negli ultimi tre anni la percentuale di eventi sponsorizzati è sempre stata superiore al 50 per cento.

“Il ricorso a provider privati di educazione continua a essere prevalente”

Per quanto riguarda l’educazione continua in medicina indipendente, la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo) e diversi ordini provinciali danno un contributo importante, proponendo diversi eventi centrati soprattutto su tematiche riguardanti la deontologia professionale e la bioetica. Anche buona parte della formazione accreditata a livello regionale è promossa e curata da aziende sanitarie o ospedaliere pubbliche. Ma nel complesso l’investimento pubblico nella formazione potrebbe essere in calo: la spesa pro capite della sanità pubblica sembrerebbe in diminuzione e scesa a poco più di 50 euro: sarebbe quasi un terzo di dieci anni fa (2013). In particolare, nel 2020 la spesa per la formazione si è ridotta del 19,3% con flessioni anche superiori al 40 per cento in molte regioni (Veneto, Friuli, Liguria, Molise, Campania e Sardegna). Costruire un’offerta articolata di educazione continua in medicina è costoso. L’Italia non è un caso singolare: in Europa, il supporto formativo delle istituzioni alla Ecm è l’eccezione piuttosto che la regola.

Molto spesso il servizio sanitario si trova dunque a utilizzare (e molte volte a dover acquistare) contenuti formativi generati da professionisti che sono propri dipendenti ma che cedono ai privati – ad agenzie di formazione o direttamente alle industrie – le conoscenze maturate all’interno del sistema pubblico.

Le iniziative dell’industria in Europa assunte per migliorare la trasparenza del rapporto tra industria e professionisti hanno avuto l’effetto paradossale di far giocare all’industria un ruolo sempre più diretto nell’erogazione della formazione dei medici. Alcuni esponenti importanti della Società europea di cardiologia si sono espressi pochi anni fa sollecitando una maggiore presenza delle società scientifiche nella proposta di progetti di aggiornamento indipendenti.

I risultati di una survey pubblicata su una rivista specializzata – il Journal of European CME – dicono che la maggior parte delle società scientifiche in ambito medico ha cercato finanziamenti esterni per congressi (93 per cento) e corsi di formazione in presenza (86 per cento). I finanziamenti per i congressi sono arrivati da fonti diverse ed erano giustificati a fronte dell’inserimento nell’agenda del meeting di sessioni organizzate dall’industria, come i simposi satellite previsti al di fuori del programma scientifico. Le attività asincrone online sono state finanziate per lo più dall’industria (79 per cento) mentre le attività sincrone (per esempio i webinar dal vivo) lo sono state di meno (64 per cento). Dalla stessa indagine, le società scientifiche lamentano problemi legati alle risorse, alla difficoltà di fare una programmazione a medio termine delle attività formative e alla mancanza di competenze digitali nel pianificare e realizzare dei corsi. Le società hanno anche sottolineato come il gran numero di eventi organizzati da altre organizzazioni renda più difficile raggiungere un numero ampio di operatori sanitari.

“L’investimento pubblico nella formazione potrebbe essere in calo”

Insomma: si tratta di difficoltà che, invece, non condizionano il lavoro dei provider privati che sembrano sostituirsi sempre più spesso agli uffici formazione delle aziende sanitarie e ospedaliere. Provider che – come detto in precedenza – fanno affidamento su autori e docenti che sono quasi sempre dipendenti del Ssn e che forniscono contenuti ad aziende private che dopo averli confezionati li rivendono al sistema sanitario pubblico. In definitiva, nel settore della formazione accade qualcosa di simile a quello che succede nella produzione di letteratura scientifica: una triangolazione che penalizza le istituzioni pubbliche e avvantaggia i privati.

C’è un problema in più: se a disegnare l’agenda della formazione di chi lavora nel Ssn è prevalentemente il privato, è probabile che l’obiettivo non sia soddisfare i bisogni informativi del personale sanitario ma supportare la promozione di terapie farmacologiche o di nuovi dispositivi medici. Inoltre, una formazione non pianificata può aumentare la disuguaglianza delle competenze tra le specialità (è noto che alcune aree della medicina beneficiano di un’offerta formativa maggiore di altre soprattutto perché di maggiore interesse per le industrie) e tra le professioni. C’è un ampio gap tra l’offerta di eventi formativi rivolti ai medici e quella proposta ad altri operatori sanitari: per esempio, i dati Agenas 2020-2022 dicono che gli eventi accreditati a livello nazionale rivolti agli infermieri sono meno della metà di quelli accreditati per i medici, nonostante la popolazione infermieristica sia molto più numerosa. Crescono anche le disuguaglianze tra il personale dei centri con maggiore e minore volume di attività (i primi sono più corteggiati dagli sponsor perché hanno una potenzialità prescrittiva maggiore) e si determina anche uno squilibrio di genere: sappiamo infatti che l’industria farmaceutica ha nei medici maschi il proprio target principale perché il loro potere decisionale è molto maggiore, e questa preferenza si riflette in un’offerta formativa sbilanciata. Crescono infine anche le differenze all’interno del Paese.

Bisognerebbe studiare percorsi praticabili per ottimizzare le competenze formative del personale sanitario del Ssn, per limitare il ricorso al privato nella produzione di eventi accreditati a livello nazionale dal programma di Ecm: la formazione prodotta da aziende sanitarie dovrebbe avere sempre più importanza, sia per valorizzare l’esperienza degli operatori sanitari, sia per proteggere i contenuti formativi dalle influenze industriali.