Sta ottenendo risultati incredibili nella lotta a tumori estremamente aggressivi. Tumori testa-collo e della mammella che non rispondevano alle cosiddette “terapie target” e ora regrediscono a vista d’occhio grazie all’utilizzo di un farmaco molto economico, in commercio da trent’anni. Ma mai come nel caso di Fiona Simpson-Fraser la vita privata si intreccia al destino professionale. L’oncologa del Queensland Head and Neck Cancer Centre – australiana di nascita ma scozzese d’adozione – ha raccontato entrambi in un affollatissimo speech per la rubrica in podcast “Ockham’s Razor” del network ABC News, svoltosi nell’ambito del World Science Festival 2018, da poco conclusosi a Brisbane. E ha commosso il pubblico.
“Sono nata ad Adelaide, ma quando avevo soltanto nove mesi i miei genitori si sono trasferiti in una campagna brulla e ghiacciata, nel nord della Scozia”, ha esordito Simpson. “A 12 anni già lavoravo, per esempio lavando i piatti nei bar o facendo le pulizie”.
“Ero un’adolescente molto ribelle: a 15 anni fumavo, bevevo, frequentavo i ragazzi, un disastro. I miei genitori non riuscivano ad arginarmi, finché un insegnante – molto preoccupato per la piega che aveva preso la mia vita – non ebbe l’idea di trovarmi un lavoretto come assistente di un veterinario di Thurso, un paesino della costa. Mi appassionai molto a quel lavoro, piano piano imparai a fare le anestesie, a usare il microscopio. Ero assolutamente conquistata e sognavo di diventare un veterinario di campagna. Ma c’era un problema: dovevo prendere un diploma in Biochimica, prima”, prosegue. Così iniziai a frequentare un corso e mi innamorai della Medicina. Quando fu il momento di iscrivermi a Veterinaria, cambiai idea e andai a Cambridge sfruttando una borsa di studio. E diventai un medico”.
Se la mia adolescenza a Thurso mi ha insegnato una cosa, è a difendermi.
La studentessa di campagna viene notata da Margaret Scott Robinson, importante biologa molecolare, che la vuole nel suo gruppo. Il risultato è uno studio epocale sulle proteine coinvolte nello sviluppo della melanina, che non solo hanno un ruolo decisivo nel colore della nostra pelle, ma anche nel pathway molecolare dello sviluppo del melanoma. “Quel paper ormai conta più di 300 citazioni”, spiega compiaciuta l’oncologa.
Dopo la laurea Fiona va a svolgere il post-dottorato allo Scripps Research Institute di San Diego. Nel frattempo si è sposata, e quando scopre di essere incinta telefona alla madre per comunicarle la notizia. “Glielo dissi tutta felice e lei rispose solo, ‘Oh’. ‘Non sembri molto felice’, le feci notare un po’ offesa. E lei mi disse che proprio quel giorno aveva avuto i risultati di un test e le rimanevano solo poche settimane da vivere per un tumore al polmone. Avevo perfettamente chiaro cosa stava succedendo a livello cellulare nel corpo di mia madre, ma non potevo fare nulla per fermarlo. Alla fine non furono solo poche settimane, mia madre visse abbastanza a lungo da vedere nascere mia figlia”.
Alla fine del post-dottorato l’oncologa avrebbe potuto tornare a Cambridge o anche restare a San Diego, ma decise di accettare l’offerta dell’University of Queensland di Brisbane e tornare nella natia Australia.
Il cancro mi ha portato via mia madre a 55 anni e io voglio la mia vendetta.
Passano gli anni: i figli diventano due, il matrimonio va in crisi, fare la ricercatrice e la mamma vuol dire essere una specie di Wonder Woman. Ma soprattutto inizia il lavoro sulle target therapy. “Detto in parole molto semplici, gli anticorpi monoclonali che usiamo in oncologia, per esempio trastuzumab e cetuximab, hanno bisogno di ‘agganciarsi’ alle cellule tumorali”, spiega Fiona. “Ma in molti pazienti che hanno tumori aggressivi i recettori che rappresentano il ‘target’, il bersaglio degli anticorpi monoclonali, sono all’interno della cellula, non sulla parete esterna. Così il farmaco semplicemente non funziona. Il trucco è portare quei recettori sulla superficie della cellula. Per farlo bisogna inibire una proteina chiamata dinamina. C’è un farmaco molto economico che lo fa: si chiama Stemetil, è un antiemetico, un farmaco contro la nausea. Cosa sarebbe successo ad aggiungerlo ‒ con una concentrazione circa cinquanta volte maggiore ‒ al trattamento con anticorpi monoclonali?”
“Siamo partiti con degli studi su malati gravissimi, somministrando loro Stemetil e Cetuximab. Non davamo loro molte speranze, non volevamo illuderli. Ma i risultati invece ci sono stati eccome. Risultati strabilianti”.
I dati sono talmente clamorosi che vengono accolti con diffidenza dai colleghi e dalle istituzioni scientifiche. “Tutti abbiamo iniziato a ricanalizzare tutto, era troppo bello per essere vero, ci doveva essere qualcosa di sbagliato. Ma per quanto ci sforzassimo, i dati erano davanti ai nostri occhi”, racconta Simpson-Fraser. “Allora abbiamo iniziato a combattere per difendere la nostra ricerca e trovare fondi per proseguirla. Se la mia adolescenza a Thurso mi ha insegnato una cosa, è a difendermi. Anche di fronte a decine di autorevoli ricercatori che mi dicevano che stavo sbagliando e che ero pazza. I nostri dati dicevano che il trattamento funzionava e i risultati erano riproducibili, erano costanti e chiari. Così abbiamo proseguito per la nostra strada”.
La combinazione Stemetil+Cetuximab si è rivelata particolarmente efficace contro i tumori della mammella triplo-negativi, i più aggressivi e difficili da trattare, e il team della Simpson-Fraser è oggi concentrato sulla lotta a questo nemico. “Il cancro mi ha portato via mia madre a 55 anni e io voglio la mia vendetta”.