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L’alba dell’era in cui il cancro verrà sconfitto


Quanto siamo lontani da una cura per il cancro? Qual è la strada da percorrere? Secondo l’oncologo Siddhartha Mukherjee, probabilmente stiamo vivendo l’alba di un’era che vedrà la definitiva sconfitta di questa malattia.

Ematologo e professore associato al Columbia University Medical Center di New York, Mukherjee si è sempre occupato di cancro, dentro il laboratorio come sulla carta. Se infatti è conosciuto al grande pubblico per il suo libro “Il Gene. Il viaggio dell’uomo al centro della vita”, il medico ha vinto il Premio Pulitzer per la categoria General Non-Fiction nel 2011 con il suo memorabile saggio sul cancro intitolato L’imperatore del male, portato poi sul grande schermo da Barack Goodman nel 2015 con il titolo “Cancer – The emperor of all maladies”.

La prima sfida è prevenire più tumori possibile. Sembra una banalità, ma non lo è affatto. Ne sappiamo molto meno di quanto il pubblico non creda. Fino agli anni Ottanta non era stato ancora individuato nessun agente chimico che con certezza causasse l’insorgenza di tumori nell’uomo. Quasi tutti i carcinogeni finora individuati non sono ancora stati eliminati dal nostro ambiente: la strada da fare è ancora lunghissima, in tal senso. E anche quando riusciremo ad eliminarli tutti, questo non sarà sufficiente a cancellare il cancro dalla faccia del mondo”, ha spiegato il medico, intervistato da Richard Manley, Head of Global Thematic Stock and Environment Social Governance Research di Goldman Sachs in un appuntamento del ciclo di incontri “Talks at GS”.

La prima sfida è prevenire più tumori possibile.

“Quello che chiamiamo cancro infatti nasce da un difetto di replicazione delle nostre cellule. Questo è un processo difficile e continuo, quindi spesso si inceppa e dà vita a cellule ‘sbagliate’, deformi, che la stragrande maggioranza delle volte semplicemente muoiono senza che noi neanche ce ne accorgiamo.  Qualche volta però sopravvivono e, replicandosi a loro volta, formano veri e propri mostri, tessuti e agglomerati che noi definiamo appunto tumori. Quindi non è solo l’ambiente esterno a influenzare la formazione di cellule cancerose, ma anche caratteristiche intrinseche del nostro corpo. Che però a sua volta è un ambiente, per cui potremmo pensare di intervenire sulle condizioni di una determinata area del nostro organismo affinché blocchi la crescita di un tumore, per esempio”.

Quello che Manley ha chiesto a Mukherjee è stato infatti tentare di immaginare e possibilmente descrivere il paesaggio in costante evoluzione della salute umana, rispondendo a domande come “Cosa ci accadrà tra 5, 10, 100 anni?”. Secondo l’oncologo la chiave è nella genetica e nel suo impiego per individuare i tumori il prima possibile, per identificare presto gli individui più a rischio.

Negli ultimi secoli abbiamo fatto alcuni importanti passi in avanti in questo campo: abbiamo imparato a leggere e a scrivere. Il sequenziamento del Dna è stato come aver imparato l’alfabeto di un linguaggio, ma l’alfabeto da solo non ha significato (…) Solo da pochi anni abbiamo cominciato a esplorare il significato. Ed è passato ancora meno tempo da quando abbiamo cominciato a scrivere, o meglio a comporre parole prendendo pezzi di Dna da un organismo e unendoli al Dna di un altro organismo. Da pochissimo abbiamo imparato ad entrare in un genoma e a cancellare una singola lettera del codice, rimpiazzandola con un’altra, una procedura che può rivelarsi molto utile perché questa semplice modifica può fare la differenza tra un individuo sano e uno malato. Siamo solo all’inizio, è una tecnologia in rapida evoluzione e promette di fare meraviglie”, ha spiegato.

Ce la stiamo facendo, è la strada giusta.

Oggi non riusciamo nemmeno a immaginare come intervenire – magari in una fase prenatale, se sappiamo che un feto ha caratteristiche genetiche a rischio – per modificare centinaia di migliaia di geni insieme. La capacità di giocare con l’informazione vivente è un’idea radicale. È come assistere all’avvento dei computer, ci siamo dentro. Questa generazione assisterà forse al cambiamento più incredibile che la razza umana abbia mai apportato all’ambiente. E i segni si vedono già attorno a noi: per la prima volta nella storia, i medici si trovano a scrivere nelle cartelle cliniche cose come “Paziente di sesso femminile con una storia di tumore alla mammella metastatico HER2-positivo, si presenta in ospedale per la rimozione di un dente”. Una frase apparentemente banale, ma che dovrebbe farci venire la pelle d’oca. Già nel piccolo tempo delle nostre vite abbiamo visto una malattia che era sempre letale trasformarsi in una cosa con cui si convive. Ce la stiamo facendo, è la strada giusta”.