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Photo by Marie Claire Korea /

Suicidio tra i giovani: un trend in allarmante aumento


Ellie era una bambina indipendente. Già da piccola sapeva quello che voleva. Aveva le sue ambizioni e le sue gioie”, così la madre di Ellie Soutter ricorda sua figlia, la giovane campionessa di snowboard che si è tolta la vita il giorno del suo diciottesimo compleanno, il 25 luglio del 2018.

L’occasione, la scorsa Giornata mondiale per la salute mondiale, celebrata ogni anno il 7 ottobre, non è stata scelta a casa caso: parlando ai microfoni della BBC, Lorraine Denman spera di esortare altri giovani come la sua Ellie a parlare dei propri problemi, e i genitori a prestare maggiore attenzione ai segnali – sottili e silenziosi – lanciati dai propri figli adolescenti. “È fin troppo facile ignorare qualcosa che potrebbe essere ovvio: non vuoi credere che il tuo bambino stia soffrendo”, spiega.

Tanto facile che in Europa, come spiega il Centro Regionale di Documentazione per la Prevenzione della Salute (Dors), il suicidio è la seconda principale causa di morte fra i giovani tra i 15 e 29 anni (pari al 18 per cento di tutte le morti tra i 15 e i 29 anni) e in Italia rappresenta il 12 per cento dei decessi nella fascia di età tra i 20 e i 34 anni.

Secondo i dati della Europan Public Health Association poi, un adolescente su cinque nei paesi dell’Unione Europea convive con un problema psicologico – per esempio, una forma di depressione. Lo conferma anche quanto descritto nell’indagine dell’Ocse Children & Young People’s Mental Health in the Digital Age, dove si legge che il 40 per cento dei quindicenni italiani si sarebbe sentito “giù di morale” (low, in inglese, che ha una sfumatura leggermente diversa dal nostro “giù”) almeno due volte in una stessa settimana. La media Europea è più bassa, poco sotto il 30 per cento, ma comunque preoccupante.

Spesso poi lo stigma e la vergogna associate al disagio, ai problemi legati salute mentale e al benessere psicologico e all’essere vittima di violenze psicologiche rendono impossibile chiedere aiuto.

A chiedere aiuto, per difendersi dal tormento del bullismo digitale e social, non ci è riuscita neanche Sulli, la venticinquenne cantante sudcoreana (nella foto in alto), che si è tolta la vita lo scorso 14 ottobre. Possibile che quello che stava passando la star del K-Pop avrebbe potuto o dovuto far allertare le persone a lei vicine, spingerle a supportarla, a convincerla a chiedere aiuto?

Infatti, se talvolta, come nel caso di Ellie, il suicidio di un adolescente avviene in assenza di segnali che possono far intuire la presenza di un problema, spesso vi sono campanelli di allarme a cui prestare attenzione. Come la presenza di avversità familiari o traumi, discriminazioni razziali e sessuali o episodi di bullismo, appunto. Oppure anche uso di sostanze stupefacenti o alcol, dimostrazioni di scarsa autostima, comportamenti autolesionisti o la presenza di un disturbo come depressione o disturbo bipolare.

È fin troppo facile ignorare qualcosa che potrebbe essere ovvio: non vuoi credere che il tuo bambino stia soffrendo.

Anche negli Stati Uniti la situazione è la stessa: sempre più i giovani riportano problemi di salute mentale e aumentano i casi di suicidio tra adolescenti e giovani adulti.

Jean Twenge, docente di Psicologia alla San Diego State University fa risalire questa, che lei stessa definisce un’epidemia, almeno al 2014. Un’epidemia, spiega sulle pagine di The Conversation, da molti ignorata. “Anche se alcuni studi avevano cominciato a dimostrare l’aumento di sintomi di depressione e di tassi di suicidio tra i giovani già dal 2010, diversi ricercatori al tempo insistevano a definire ‘esagerate’ le preoccupazioni in questo senso e ad affermare che non vi erano abbastanza dati per arrivare a delle conclusioni”.

Eppure i numeri parlano da soli. Secondo il National Survey on Drug Use citato da Twenge nel suo commento, che raccoglie le risposte di ben 600mila giovani statunitensi, nel 2017 ben 3,2 milioni di adolescenti tra i 12 e i 17 anni negli Stati Uniti – il 13,3 per cento della popolazione di questa fascia d’età – hanno riportato almeno un episodio di grave depressione. Dal 2012 al 2017 il numero di giovani tra i 18 e i 25 anni che hanno riportato un grave disagio psicologico, inclusi sentimenti di ansia e disperazione, è aumentato del 71 per cento. I tentativi di suicidio tra i giovani di 22-23 anni sono raddoppiati tra il 2008 e il 2017 e, nello stesso periodo, il tasso di suicidi è salito del 56 per cento tra i ragazzi di 18-19 anni.

Sono aumentati anche altri comportamenti legati alla depressione, tra cui i ricoveri al pronto soccorso per gesti di autolesionismo, come il tagliarsi, così come i ricoveri ospedalieri per pensieri suicidi e tentativi di suicidio”, prosegue la psicologa statunitense. “La crisi della salute mentale sembra essere una questione generazionale, non qualcosa che colpisce gli americani di tutte le età. E questa caratteristica, più di ogni altra cosa, potrebbe aiutare i ricercatori a capire perché sta accadendo”.

La crisi della salute mentale sembra essere una questione generazionale.

Un’impresa tutt’altro che semplice poiché, come spiega lei stessa, individuare le cause specifiche dietro un singolo trend è molto complicato. Tuttavia Twenge indica un fatto da cui partire a indagare, un’osservazione più che un puntare il dito: la diffusione altissima e fin dall’infanzia tra questi ragazzi di smartphone, media digitali e social media:Rispetto ai loro predecessori, gli adolescenti oggi passano meno tempo con i loro amici di persona e più tempo a comunicare elettronicamente, un’abitudine che studio dopo studio è stata sempre più spesso associata problemi di salute mentale”.

A prescindere dalle possibili cause, questa “crisi” merita attenzione e andrebbe affrontata mettendo in campo diverse forze: “Il suicidio rappresenta un tema complesso”, spiega ancora il sito di Dors, “perciò la prevenzione del suicidio richiede il coordinamento e la collaborazione tra i vari settori della società, tra il settore sanitario e i settori inerenti l’educazione, il lavoro, l’agricoltura, la giustizia, la difesa, le politiche e i media”.

Serve una maggiore sensibilità dunque e servono piani concreti. I gesti estremi di Ellie Soutter e Sulli potrebbero nella loro tragedia, avere il grandissimo merito, attirare l’attenzione sulle difficoltà che i ragazzi sembrano non riuscire ad esprimere e alle quali non sembrano vedere una soluzione. “La morte di Ellie non può essere inutile”, conclude Lorraine Denman. “Io sono la voce di Ellie ora (…) Lei non ha è riuscita, qualsiasi sia stato il motivo, a esprimere come si sentisse, io posso ora incoraggiare le persone a parlare, a condividere (quello che provano) a parlare con i loro genitori, a condividere con i loro amici”.

Per molti, tuttavia, è più facile parlare con un estraneo che non con qualcuno di conosciuto. Per questo anche in Italia esistono due servizi fondamentali per chi sentisse il bisogno di parlare: il Telefono Azzurro (19696) e il Telefono Amico (199 284 284).