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E se l’evoluzione fosse legata alla dislessia?


Cos’hanno in comune Leonardo da Vinci, Albert Einstein, Pablo Picasso e Stephen Hawking? Sono considerati geni, sono tutti uomini… Pare però che questi personaggi avessero anche un’altra caratteristica ad accomunarli: una qualche forma di disturbo dell’apprendimento, difficoltà nell’ortografia o nel risolvere problemi di matematica, deficit dell’attenzione, quelli che apparentemente potevano essere considerati limiti, ma che non hanno creato barriere per il loro successo. Tuttavia, una diagnosi a posteriori per accertare la dislessia è quasi impossibile e in alcuni casi le informazioni a sostegno della tesi sono contraddittorie. E anche se fino a oggi abbiamo avuto bisogno di guardare a personaggi storici per educare il mondo sull’intelligenza dislessica, ora è arrivato il momento di ascoltare storie più attuali di persone che, in condizioni normali o eccezionali, hanno avuto successo.

Alcune di queste storie le racconta Rossella Grenci, logopedista che da oltre vent’anni si occupa di disturbi specifici dell’apprendimento. Nel suo libro La Dislessia. Dalla scuola al lavoro nel terzo millennio (Il Pensiero Scientifico 2020) l’autrice ha descritto le storie di Octavia E. Butler, scrittrice afroamericana nota per essere stata una protagonista della fantascienza al femminile prima della sua prematura scomparsa; di Sally Gardner, scrittrice e illustratrice per l’infanzia; di Evita Greco, scrittrice che ha vinto il prestigioso premio Rapallo Opera Prima nel 2016; ma anche del designer inglese Ab Rogers, figlio del famoso architetto, anch’egli dislessico, Richard Rogers che, tra le altre opere, ha progettato il Centro Georges Pompidou a Parigi insieme a Renzo Piano e Gianfranco Franchini. Il racconto è ampio e coinvolge artisti e artiste, ballerine, imprenditrici, paleontologi, medici, questo perché l’autrice ha sentito “la necessità di aggiornare una realtà di cui si scrive in modo piuttosto ripetitivo, senza spunti nuovi” dei disturbi dell’apprendimento, concentrandosi in particolare sulla scuola, poiché questa rimane “la cartina al tornasole dell’espressione del disturbo, o caratteristica, a seconda di come si vuole intendere la dislessia”. Grenci ha pubblicato diversi libri sull’argomento, il suo Le aquile sono nate per volare. Il genio creativo nei bambini dislessici (Erickson, 2015) è, e rimane, la prima pubblicazione italiana ad approfondire la connessione tra creatività e dislessia e a dare una visione di quest’ultima basata anche sui suoi punti di forza. “La creatività è preziosa come leva per scardinare pregiudizi e idee stagnanti, quindi come spinta evolutiva, come risorsa da valorizzare nelle persone dislessiche, visto che il loro cervello dimostra di essere sufficientemente creativo per affrontare le nuove sfide sociali legate anche al mondo del lavoro”.

“La creatività è preziosa come leva per scardinare pregiudizi e idee stagnanti, quindi come spinta evolutiva”

Non sorprende quindi che alcuni ricercatori dell’Università di Cambridge abbiano scoperto che le persone con il disturbo dell’apprendimento sono dotate di abilità speciali che hanno permesso alla nostra specie di sopravvivere. Gli studiosi, che hanno pubblicato questi risultati sulla rivista Frontiers in Psychology, affermano che queste persone sono più brave a risolvere i problemi e ad adattarsi alle sfide, tanto da poter essere la chiave per affrontare il cambiamento climatico. “La visione incentrata sul deficit della dislessia non racconta tutta la storia”, afferma Helen Taylor, sociologa britannica e autrice dello studio. Il primo, questo, a guardare alla dislessia da una prospettiva evolutiva, proponendo “un nuovo quadro per aiutarci a comprendere meglio i punti di forza cognitivi delle persone con dislessia”. I ricercatori ritengono che “le aree di difficoltà vissute dalle persone con dislessia derivino da un compromesso cognitivo tra l’esplorazione di nuove informazioni e l’uso di conoscenze esistenti”.

“La visione incentrata sul deficit della dislessia non racconta tutta la storia”

Le scuole, le università e i luoghi di lavoro non sono progettati per sfruttare al meglio l’apprendimento esplorativo, affermano i ricercatori di Cambridge. Tuttavia, per quanto riguarda l’Italia almeno, secondo gli ultimi dati del Miur, riferiti all’anno scolastico 2018/2019, gli alunni delle scuole italiane a cui è stato diagnosticato un disturbo specifico dell’apprendimento sono 298.114, pari al 4,9 per cento del totale degli alunni. “Purtroppo sappiamo che le percentuali di dislessia in Italia sono sottostimate” commenta Rossella Grenci. Per questo, secondo i ricercatori britannici “avremmo urgente bisogno di iniziare a coltivare questo modo di pensare per consentire all’umanità di continuare ad adattarsi e risolvere le sfide chiave”.

“Purtroppo sappiamo che le percentuali di dislessia in Italia sono sottostimate”

Lo studio di Helen Taylor e colleghi si basa sulla teoria evolutiva definita “cognizione complementare”, secondo cui la nostra specie si adatta ed evolve in modo cooperativo attraverso un sistema di ricerca cognitiva collettiva: per approfondire Helen Taylor ne ha già parlato in un articolo pubblicato da Cambridge University Press l’anno scorso. Un esempio per capire meglio questo concetto lo offre l’autrice stessa: “Se mangi tutto il cibo che hai, quando finisce rischi di morire di fame. Invece, se passi tutto il tuo tempo a cercarlo, stai sprecando energie che non dovresti sprecare. Come in ogni sistema complesso, gli esseri umani devono assicurarsi di riuscire a bilanciare la necessità di sfruttare le risorse conosciute ed esplorarne nuove per sopravvivere”. Questo equilibrio, tra l’esplorazione dell’ignoto e l’uso di ciò che conosciamo, è la chiave per adattarsi e sopravvivere, per sostenere molte delle decisioni che prendiamo nella vita quotidiana. “L’esplorazione comprende attività che implicano sperimentazione, scoperta e innovazione. Al contrario, lo sfruttamento si concentra sull’utilizzo di ciò che è già noto”. Considerato questo, una connotazione esplorativa nelle persone con dislessia potrebbe aiutare a spiegare perché hanno difficoltà con compiti quali la lettura e la scrittura. Potrebbe altresì spiegare perché “le persone con dislessia sembrano gravitare verso professioni che richiedono abilità legate all’esplorazione, come arte, architettura, ingegneria e imprenditorialità”. Inoltre, aggiungono i ricercatori, “la collaborazione tra individui con abilità diverse potrebbe aiutare a spiegare l’eccezionale capacità di adattamento della nostra specie” e, tornando al cambiamento climatico, per affrontarlo, secondo Taylor, “avremo bisogno del supporto della cognizione complementare, propria delle persone dislessiche”. Questo potrebbe essere un problema dal momento in cui “educatori, accademici e politici considerano le persone con dislessia come aventi un disturbo dello sviluppo. Tuttavia, la sua prevalenza nella società suggerisce che questi individui hanno una forma vantaggiosa di cognizione tramandata dai nostri antenati nel corso di migliaia di generazioni”.

[Leggere, scrivere e calcolare sono attività apparentemente semplici e automatiche, risulta quindi non proprio immediato comprendere le difficoltà che incontrano le persone con disturbi specifici dell’apprendimento, per chi non ne ha. Per capire cosa significa potremmo provare a scrivere un testo sotto dettatura con la mano sinistra, se scriviamo con la destra, o viceversa. Oppure potremmo provare a leggere questa pagina sul sito di Edizioni Erickson, per sperimentare gli ostacoli nella lettura che può incontrare una persona dislessica.]