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È scoppiata la guerra tra Joe Biden e Big Pharma


Il 29 agosto 2023 l’Amministrazione di Joe Biden e Kamala Harris ha comunicato con una nota stampa pubblicata sul sito della Casa Bianca (e immediatamente ripresa dai maggiori organi d’informazione del mondo) l’elenco tanto atteso dei primi dieci farmaci che saranno soggetti alla Medicare price negotiation. Di che si tratta? Tutto parte dall’Inflation reduction act (Ira), una legge finanziaria approvata dal Congresso Usa all’incirca un anno fa, che include una misura – a suo modo rivoluzionaria – che permette appunto a Medicare, il programma di assicurazione sanitaria statunitense degli anziani, di negoziare il prezzo dei farmaci con le aziende produttrici. Le negoziazioni sui prezzi dei farmaci sono normali in Europa e in Italia, ma finora erano impossibili per Medicare, nel cui ambito assistenziale ricadono farmaci che vengono assunti da milioni di americani anziani e costano all’assistenza sanitaria statale miliardi di dollari ogni anno.

I Centers for medicare & medicaid services hanno selezionato i farmaci attraverso un processo che ha dato priorità a quelli che rappresentano la spesa Medicare più elevata, sono sul mercato da più tempo e non devono ancora affrontare la concorrenza dei rivali. Nei prossimi anni comunque verranno selezionati altri farmaci per le trattative sui prezzi. Fra i produttori interessati dal provvedimento figurano colossi del calibro di BMS, Pfizer, Boehringer Ingelheim, Eli Lilly, Johnson & Johnson, Merck (nota fuori da Usa e Canada come MSD), AstraZeneca, Novartis, Amgen, AbbVie e Novo Nordisk.

“Mentre l’industria farmaceutica realizza profitti record, milioni di americani sono costretti a scegliere tra pagare i farmaci di cui hanno bisogno per vivere o pagare il cibo, l’affitto e altri beni di prima necessità”

Si stima che le negoziazioni previste dal decreto inizieranno questo autunno e verranno concluse nell’estate 2024, con i nuovi prezzi che entreranno in vigore nel 2026. L’Amministrazione Biden prevede di allargare le negoziazioni a sessanta altri farmaci nei prossimi quattro anni, ma per il momento la lista dei dieci farmaci con i quali parte la Medicare price negotiation include anticoagulanti, antidiabetici, ma anche farmaci usati per le patologie renali, per lo scompenso cardiaco e l’artrite.

Joe Biden – scottato anche da passate drammatiche vicende familiari – ha bollato la situazione attuale come vergognosa e usato toni molto netti sull’argomento, tanto che la stampa ha definito questa presa di posizione una vera e propria “dichiarazione di guerra” contro Big Pharma: “Per troppo tempo i cittadini statunitensi hanno pagato per i farmaci soggetti a prescrizione più di qualunque cittadino di altri grandi Paesi. E mentre l’industria farmaceutica realizza profitti record, milioni di americani sono costretti a scegliere tra pagare i farmaci di cui hanno bisogno per vivere o pagare il cibo, l’affitto e altri beni di prima necessità. Quei giorni stanno finendo. Abbiamo raggiunto questo traguardo grazie all’Inflation reduction act, una delle leggi più significative mai emanate e approvata con la leadership dei Democratici al Congresso. Abbiamo affrontato Big Pharma e interessi particolari, superando l’opposizione di tutti i deputati Repubblicani e il popolo americano ha vinto. Una volta implementato il piano, i prezzi dei farmaci negoziati diminuiranno per circa nove milioni di anziani, che attualmente pagano fino a 6.497 dollari all’anno di tasca propria per tali prescrizioni. Inoltre, l’ufficio budget del Congresso, che è apartitico, prevede che ciò farà risparmiare ai contribuenti 160 miliardi di dollari riducendo l’importo annuo pagato da Medicare per i farmaci attraverso la negoziazione e i rimborsi sull’inflazione”.

L’opinione pubblica ha al momento reagito positivamente alla mossa dell’Amministrazione Biden: i cittadini sono comprensibilmente favorevoli alle negoziazioni sui farmaci (83% la percentuale a favore, secondo un sondaggio dell’agenzia Gallup), ma la legge sulla Medicare price negotiation sta creando polemiche politiche ferocissime negli Stati Uniti, che sono alla vigilia – ricordiamolo – delle elezioni presidenziali, che si terranno nel 2024.

Le aziende farmaceutiche coinvolte – tutte aderenti alla potentissima organizzazione Pharmaceutical research and manufacturers of America (PhRMA) – stanno una dopo l’altra facendo causa al Governo federale USA. Spiega Stephen J. Ubl, amministratore delegato della PhRMA: “La decisione di Biden è il risultato di un processo affrettato incentrato sul guadagno politico a breve termine, piuttosto che su ciò che è meglio per i pazienti. Questo avrà conseguenze negative significative per anni, molto tempo dopo la fine di questa amministrazione”.
Gli otto ricorsi delle aziende, come spiega il “Wall Street Journal”, sono però tutti diversi tra loro e secondo gli esperti hanno diverse possibilità di successo a seconda dell’orientamento politico dei giudici a cui sono assegnati e degli Stati in cui il dibattimento avrà luogo. Potrebbero volerci anni, giurano in molti, ma della faccenda finirà per occuparsi la Corte Suprema: nel frattempo le aziende cercheranno di bloccare il provvedimento, almeno per un po’ di tempo: qualsiasi ritardo nella negoziazione porterebbe infatti nelle loro casse milioni di dollari.