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Dottore, ma ne è sicuro? Probabilità e incertezza nella pratica medica


La medicina non è una scienza esatta. Non possiede la “durezza” della matematica, della fisica o della chimica. Probabilmente sarebbe più giusto definirla come una pratica o una tecnica basata su scienze. Ma da questa constatazione apparentemente banale emerge l’aspetto meno scontato, più controverso, cioè il suo rapporto con il dubbio e l’incertezza. In quali ambiti della medicina pesa di più l’incertezza e come si gestisce nella pratica clinica quotidiana del medico di medicina generale?

“Il medico di medicina generale più di altri deve fare i conti con l’incertezza”

Ne abbiano parlato con Renato Luigi Rossi (autore del libro “Zona d’ombra. Dubbi e incertezze tra pazienti e medicina dell’evidenza”, in uscita a settembre per Il Pensiero Scientifico Editore) che, da medico di famiglia, per oltre 30 anni ha sperimentato quotidianamente le varie sfumature del dubbio che hanno a che fare con la pratica medica. Il filo dell’incertezza si dipana in tutti gli ambiti della medicina, dalla diagnosi alla terapia, dall’incertezza sugli screening alle le cure prive di evidenze, dalla scoperta a posteriori dell’inutilità di interventi largamente diffusi all’incertezza dei test diagnostici. Ma spesso l’atteggiamento del mondo medico è viziato dal rifiuto di queste realtà, come se ammettere che ci sono limiti e margini a volte anche molto ampi di incertezza di potesse mettere in discussione lo statuto della medicina.

Il medico di medicina generale più di altri deve fare i conti con l’incertezza, essenzialmente per tre motivi, spiega Rossi. Uno è il tempo. Una visita medica in medicina primaria dura in media dieci minuti, in genere appena sufficienti a raccogliere una semplice anamnesi e ad ascoltare il paziente che riferisce i sintomi. Poi c’è il problema di non poter disporre subito degli accertamenti o delle consulenze specialistiche – a differenza di quanto accade nel contesto ospedaliero. Il medico di medicina generale è un po’ “l’uomo solo al comando”, deve cavarsela senza la squadra, senza troppo riferimenti, sulla scorta dell’esperienza acquisita e di una buona dose di intuizione. Infine, l’ultimo elemento che rende il medico di medicina generale più esposto degli altri alle minacce dell’incertezza è la mancanza di selezione dei pazienti. Lo specialista vede nel suo reparto pazienti già selezionati dal medico di famiglia o al pronto soccorso quando vengono ricoverati. Negli studi di base arrivano al contrario persone con patologie (o potenziali patologie) di ogni tipo. Detto in altre parole, è sicuramente vero che lo specialista deve avere conoscenze più approfondite nel suo ambito, però ha un campo d’azione meno ampio. Messo alle strette dal tempo, dalla solitudine professionale, dalla mancanza di esami e dall’infinita varietà dei casi che arrivano al suo lettino, il medico di medicina generale gioca allora la carta della probabilità e della frequenza, l’unica in grado spesso di garantirgli un’accettabile percentuale di successo.

“Il medico di medicina generale è un po’ come il medico di pronto soccorso senza le possibilità diagnostiche di quest’ultimo, però”

“Se viene un paziente con la cefalea io faccio una scommessa, cioè considero molto più probabile che dipenda da uno stato di stress oppure da sovraffaticamento o che sia un problema momentaneo piuttosto che un’emorragia cerebrale o una meningite. Poi entrano in campo tutta una serie di criteri che gli anglosassoni chiamano red flags (“bandiere rosse”), sintomi e segni che di fronte a certi disturbi bisognerebbe valorizzare perché potrebbero indirizzare verso qualcosa di grave”, riassume Rossi. “Il medico di medicina generale è un po’ come il medico di pronto soccorso senza le possibilità diagnostiche di quest’ultimo, però. Anche il medico di pronto soccorso vede pazienti non selezionati, con patologie molto diversificate ma ha almeno il vantaggio di essere in una struttura protetta dove riescono ad avere accertamenti e consulenze specialistiche in tempi molto più rapidi rispetto al medico di medicina generale”.

Metodi per ridurre (ma non eliminare) la soggettività e orientare i medici mettendo a frutto il simbolo dell’incertezza medica, la probabilità, ce ne sono molti, dagli score alle linee guida, ma la variabilità biologica e genetica dei pazienti è ineliminabile perché l’organismo umano non è una macchina che risponde agli stessi stimoli sempre nello stesso modo. Al medico di medicina generale, prigioniero nei territori dell’incertezza, non resta che la consapevolezza che comunque sempre possibile fare scelte ragionevoli basandosi sulle migliori prove disponibili e sulla valutazione dell’individualità dei singoli pazienti. Perché in fondo, se è vero che le decisioni cliniche fondate su dati di ricerca incontrovertibili in realtà non sono molte, allora un bravo medico può fare davvero la differenza.