Una dottoressa olandese che lavora in Austria, una farmacia indiana e il numero di aborti effettuati ogni anno negli Stati Uniti…Può sembrare strano, ma un collegamento c’è. È la storia di Rebecca Gomperts, medico olandese che prescrive pillole abortive per le cittadine americane che non possono permettersi un aborto chirurgico o hanno difficoltà ad accedere alle strutture dove queste procedure vengono effettuate.
Sottoporsi a un’interruzione di gravidanza negli Stati Uniti è diventato negli anni sempre più complicato. Solo nei primi mesi del 2019, ad esempio, circa trenta stati americani hanno introdotto delle restrizioni alla legge sull’aborto, quindici dei quali basandosi sul criterio dell’heartbeat bills: l’impossibilità a interrompere la gravidanza dopo che il battito cardiaco del feto è diventato rilevabile, quindi intorno alla sesta settimana.
Una restrizione questa che – nonostante renda illegali gran parte degli aborti (spesso alla sesta settimana le donne non sanno nemmeno di essere incinte) – è già applicata in Georgia, Kentucky, Louisiana, Mississipi e Ohio. In Alabama, poi, è stata recentemente approvata una legge che vieta l’aborto in modo pressoché totale, di fatto anche in caso di stupro o incesto. A prescindere dagli aspetti legali, poi, molte cittadine semplicemente non possono permettersi un intervento di interruzione di gravidanza – il cui costo supera spesso i 500$ – o devono affrontare viaggi lunghissimi per raggiungere la clinica più vicina.
Tutte limitazioni che hanno spinto Gomperts (che oltre a essere un medico è anche una nota attivista per il diritto all’aborto) ad agire. Senza farsi fermare, per esempio, dal fatto che suo servizio di consulenza online “Aid Access” sia attualmente considerato illegale dall’ente regolatorio statunitense: la Food and Drug Administration (Fda). “Come medico ho l’obbligo di prendermi cura dei pazienti che mi contattano per avere il mio aiuto. L’Fda non ha potere decisionale sulla mia pratica clinica, quindi finché potrò aiutare le donne, non smetterò”, ha spiegato in un’intervista rilasciata qualche settimana fa alla BBC.
Per farlo, Gomperts sfrutta due fattori. Il primo riguarda la facoltà di interrompere la gravidanza in modo farmacologico. Questo è possibile attraverso la somministrazione di uno dei due medicinali attualmente disponibili per questo scopo: il mifepristone o RU-486, steroide sintetico che agisce bloccando gli ormoni responsabili del mantenimento della gestazione, e il misoprostolo, che causa la contrazione dell’utero e il successivo sanguinamento. Farmaci, questi, caratterizzati da un buon livello di efficacia e di sicurezza: infatti, se da un lato la procedura va a buon fine nel 95 per cento dei casi, dall’altro la probabilità di andare incontro a complicazioni gravi come emorragie e infezioni non supera invece lo 0,4 per cento.
Come medico ho l’obbligo di prendermi cura delle pazienti che mi contattano per avere il mio aiuto.
Il secondo fattore sfruttato da Gomperts è poi la possibilità di offrire questo servizio a distanza. Nel suo caso specifico, da un altro continente. Infatti, nell’ambito dell’aborto farmacologico le donne che vogliono interrompere la gravidanza possono essere “visitate” in video-conferenza, sottoporsi ai test necessari presso strutture locali e poi ricevere il farmaco via posta.“È stata fatta molta ricerca”, ha sottolineato la dottoressa olandese, “da cui è emerso che l’assistenza per l’aborto realizzata in telemedicina è estremamente sicura ed efficace”.
Ad esempio, un servizio attivato nel 2015 in Australia ha ottenuto ottimi risultati, arrivando a trattare più di 300 donne in pochi mesi (molte delle quali provenienti da aree, come l’isola della Tasmania, dove accedere a un aborto chirurgico è molto complicato) senza riscontrare complicazioni gravi. Uno studio più recente, invece, ha messo a confronto il rischio di eventi avversi nell’ambito dell’aborto farmacologico, dimostrando come questi si verifichino con la stessa frequenza (“molto bassa”) a prescindere dal tipo di visita effettuata (dal vivo o in telemedicina).
Un’affidabilità dimostrata anche dal numero di contatti raccolti dai servizi che, come “Aid Access”, utilizzano questo approccio: “alla fine del 2018 avevo dato consulenza a più di 11.000 donne e fornito una prescrizione per una pillola abortiva a 2500 di loro”, ha raccontato Gomperts alla BBC.
Prescrizioni che vengono poi fatte pervenire tramite mail a una farmacia in India, la quale provvede a sua a volta a inviare per posta il farmaco alle donne richiedenti negli Stati Uniti. In questo modo è possibile far arrivare il medicinale negli Stati Uniti a un prezzo ragionevole, anche se spesso con tempi di attesa piuttosto lunghi (possono passare anche 18 giorni prima che il farmaco giunga a destinazione).
L’alternativa per queste donne è affidarsi a metodi pericolosi per interrompere la gravidanza o portarla a termine in modo forzato.
Nessun dubbio, invece, sulla qualità dei medicinali prescritti. “I farmaci che vengono spediti dalla farmacia in India sono commerciati normalmente e devono sottostare alle indicazioni dell’ente regolatorio indiano: sono farmaci normali, di buona qualità”, ha spiegato alla giornalista della BBC che la incalzava su questo argomento. “In India c’è una grande produzione di farmaci generici, farmaci che vengono prodotti per il mondo intero. Quindi l’idea che i farmaci che noi prescriviamo possano essere caratterizzati da standard di qualità inferiori è assolutamente infondata”.
Ciononostante il processo rimane piuttosto complicato, anche per le potenziali conseguenze legali per le donne che si rivolgono alla dottoressa olandese. Gomperts ci tiene infatti a precisare che il suo servizio di consulenza prende in carico solo quei casi in cui il ricorso a un aborto farmacologico con consulenza a distanza è l’unica scelta percorribile: “Quello che faccio è aiutare le donne che non hanno altre opzioni, che negli Stati Uniti non hanno accesso a un servizio di assistenza sicuro per abortire. L’alternativa per queste donne è affidarsi a metodi pericolosi per interrompere la gravidanza o portarla a termine in modo forzato, eventualità che rappresenta un rischio per la salute, soprattutto per le donne più povere”.