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Dieci o più farmaci al giorno. Siamo sicuri che sia normale?


Il monitoraggio dell’uso dei farmaci permette di ottenere informazioni importanti sulla salute pubblica. Permette di capire, ad esempio, se l’approccio dei medici nei confronti di determinate patologie è cambiato, se i trattamenti che prescrivono sono quelli più adeguati o se la qualità dell’assistenza sanitaria si distribuisce in modo uniforme sul territorio. Le evidenze contenute nel Rapporto sull’uso dei farmaci nella popolazione anziana dell’Osservatorio sull’impiego dei medicinali (OsMed) dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), ad esempio, dicono molto sull’assistenza sanitaria della popolazione over 65. In particolare, i dati emersi destano preoccupazioni per quanto riguarda sia la quantità che la qualità, in termini di appropriatezza delle prescrizioni, dei farmaci assunti dai nostri anziani.

“L’Italia è la nazione europea con il maggior numero di cittadini con più di 65 anni di età”

Non è un problema da poco. L’Italia è la nazione europea con il maggior numero di cittadini con più di 65 anni di età: attualmente rientrano in questa categoria demografica circa un italiano su quattro, ma questa proporzione è destinata a crescere ulteriormente nei prossimi decenni. Un processo di invecchiamento della popolazione che si associa, come è facile intuire, a un aumento del numero di persone con problemi di salute: circa il 75% dei sessantacinquenni presenta infatti due o più malattie concomitanti, mentre negli over 80 una situazione di questo tipo riguarda quasi il 100% dei soggetti. Da qui l’importanza del Rapporto Osmed, realizzato in collaborazione con i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha analizzato l’uso dei farmaci negli anziani in riferimento a tre contesti: domicilio, ospedale e Residenze Sanitarie Assistenziali (Rsa).

I dati, riferiti al 2019, mostrano che il 98% della popolazione ultrasessantacinquenne ha ricevuto nel corso dell’anno almeno una prescrizione farmaceutica, per un consumo giornaliero medio pari a tre dosi al giorno e una spesa media di 670 euro a persona (593 euro al Nord e 759 euro al Sud). I farmaci più utilizzati sono risultati essere quelli per il sistema cardiovascolare: gli antipertensivi, ad esempio, sono utilizzati dall’80% degli over 65 e dal 96% degli over 85. In generale il consumo di farmaci è superiore negli uomini rispetto alle donne in tutte le classi di età e aumenta per tutte le categorie terapeutiche fino agli 84 anni, per poi ridursi in quelle successive. Un effetto questo legato verosimilmente al cosiddetto “healthy survival effect”, per cui solo i soggetti più sani, e quindi con un consumo di farmaci inferiore, sopravvivono fino a un’età più avanzata. Informazioni particolarmente indicative riguardano poi la qualità e appropriatezza delle prescrizioni, a cui il Rapporto OsMed dedica un’intera sezione. I dati riguardanti la politerapia, definita come l’utilizzo contemporaneo di più farmaci per il trattamento di malattie concomitanti, mostrano che quasi un anziano su tre utilizza dieci o più farmaci contemporaneamente. Un dato questo che aumenta progressivamente all’aumentare dell’età: dal 18,8% tra 65 e 69 anni al 40,11% sopra gli 85 anni tra gli uomini, dal 19,6% al 37,2% tra le donne.

Le informazioni riguardanti la politerapia, poi, andrebbero lette tenendo conto del fatto che i soggetti anziani, pur essendo tra i maggiori consumatori di farmaci, sono spesso poco rappresentati nelle sperimentazioni cliniche. In molti casi, poi, gli studi sull’efficacia e la sicurezza dei farmaci non prendono in considerazione variabili di importanza fondamentale per la popolazione anziana, come lo stato di salute generale e la qualità di vita. “La conseguenza diretta dell’assenza di evidenze è l’accumulo di farmaci nella popolazione molto anziana”, spiega Graziano Onder, direttore del Dipartimento di malattie cardiovascolari, endocrinometaboliche e invecchiamento dell’Istituto Superiore di Sanità. “Farmaci la cui efficacia e sicurezza in questa popolazione specifica è tutta da dimostrare”.

“La conseguenza diretta dell’assenza di evidenze è l’accumulo di farmaci nella popolazione molto anziana”

Ma non è solo un problema di quantità. Purtroppo in alcuni casi i farmaci prescritti agli anziani sono caratterizzati, per questa popolazione specifica, da un rapporto di rischio-beneficio negativo. Ad esempio, circa una persona con più di 65 anni su cento assume antidepressivi triciclici, classe di farmaci utilizzati per il trattamento delle sindromi depressive, il cui meccanismo d’azione può causare negli anziani importanti effetti collaterali. In altri casi invece, come spiega Onder, certi farmaci sembrano essere semplicemente sovrautilizzati: “Gli inibitori di pompa protonica (ndr: farmaci utilizzati per il trattamento dell’ulcera gastrica e il reflusso gastroesofageo), ad esempio, vengono utilizzati dal 50% della popolazione anziana. È realmente necessario questo utilizzo? Il monitoraggio ci aiuta a identificare meglio le aree su cui focalizzare la nostra attenzione con interventi atti a migliorare la qualità delle prescrizioni”.

Uno dei concetti che sta attirando maggiore attenzione, in questo senso, è quello della deprescrizione farmacologica (o deprescribing), definito come il processo sistematico di identificazione e sospensione dei trattamenti nei casi in cui gli effetti negativi, evidenti o potenziali, possono superare i benefici. “A noi medici viene insegnato come e quando prescrivere i farmaci – sottolinea Onder – ma nessuno ci dice quando i trattamenti devono essere terminati. Un farmaco che funziona bene a cinquant’anni potrebbe non servire, nella stessa persona, a settanta o ottanta anni. Il deprescribing è quindi una tematica che sta emergendo sempre di più e che dovrebbe essere riconosciuta anche nelle raccomandazioni relative all’uso dei farmaci”.

“Un farmaco che funziona bene a cinquant’anni potrebbe non servire, nella stessa persona, a settanta o ottanta anni”

Nel Rapporto dell’Osmed sono quindi presenti anche i risultati di quattro studi relativi a esperienze di questo tipo nel nostro Paese, i quali mostrano come quella della deprescrizione sia una strada percorribile e con benefici potenziali importanti. “Emerge che si tratta di un processo fattibile e che può portare a una riduzione della pressione farmacologica e, potenzialmente, anche a un miglioramento della qualità della vita di alcune persone”, spiega Onder. “Noi del Sistema Nazionale Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità abbiamo fatto delle linee guida su multimorbilità e politerapia in cui abbiamo indicato la necessità di deprescrivere alcune classi di farmaci: le statine nei soggetti molto anziani, ad esempio, o gli inibitori di pompa protonica in assenza di una chiara indicazione”. Il monitoraggio dell’uso dei farmaci è quindi uno strumento fondamentale per valutare la qualità e l’evoluzione dell’assistenza sanitaria, sia in contesti sia generali (si vedano, ad esempio, i dati OsMed sulle disuguaglianze nell’uso dei farmaci) che specifici. Quello relativo all’uso nelle persone anziane mostra come sia necessario individuare un modo per produrre evidenze scientifiche solide in merito a efficacia e sicurezza dei farmaci in questa popolazione (ma anche sulle possibili interazioni tra trattamenti diversi) e pianificare interventi utili a garantire una migliore appropriatezza prescrittiva.