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Cura te ipsum: gli autoesperimenti in medicina


Anestestico, disinfettante, ago cavo in vena per l’accesso, catetere inserito con cautela e fatto scorrere fino al cuore, il gioco è fatto… si fa per dire. Sono i primi del Novecento e il giovane tirocinante Werner Forsmann, nonostante il parere contrarissimo del capo, sperimenta per la prima volta (e su se stesso) il cateterismo cardiaco, una tecnica che oggi permette di diagnosticare e curare molte malattie del cuore.

La storia degli autoesperimenti in medicina è una storia lunga con protagonisti molto diversi fra loro, da quasi ciarlatani a futuri premi Nobel, “persone dalla insaziabile curiosità scientifica e dal grande spirito d’avventura, oppure gente che va di fretta e si fida solo di sé”, ispirati da alti principi morali, a volte invece da motivazioni che più pratiche non si può. Dell’autosperimentazione a ben vedere si trovano tracce fin dall’antichità, ma è con la fine dell’Ottocento che la pratica prende la scena e diventa virtualmente la norma in campo scientifico. Studiosi e ricercatori vi fanno ricorso senza nessuna remora, anzi è implicito che offrire se stessi per scopi di ricerca rappresenti una pratica quasi raccomandabile.

“Un passo più in là si fa per ambizione, per una tendenza superomistica o, un po’ oltre, per follia”

Fino a buona parte del Novecento, c’è quasi sempre un buon motivo per un autoesperimento. “In primo luogo per non avere bisogno di autorizzazioni o permessi. Per avere una cavia diligente, mansueta e facile da seguire ne tempo, che non può darsela a gambe. A volte invece per essere il primo, e consegnare il proprio nome alla storia. Un passo più in là si fa per ambizione, per una tendenza superomistica o, un po’ oltre, per follia. Qualcuno lo ha compiuto perché sotto ricatto. Qualcun altro per uno slancio eroico, per una prova di fiducia nella scienza e nella propria inventiva. C’è chi lo ha fatto per superare un tabù o per ripicca, e chi per dare spettacolo o per provare la propria buona fede. Chi lo ha fatto per divertimento, chi per tradizione, chi per riscatto sociale, chi per convincere qualcuno, chi perché costretto dai superiori, chi per dimostrare coraggio. Chi per mancanza di alternative o per risparmiare e basta. Tanti per avere il pieno controllo tecnico della situazione e riuscire a carpire i dettagli più fini della questione scientifica. E poi c’è il caso migliore, la grande domanda dallo sfondo morale che ha mosso molte mani di medici di tempi non così lontani: se non è una cosa che farei su di me, come potrò proporla al resto del mondo?”.

Riassume così i moventi dell’autosperimetazione Silvia Bencivelli, giornalista, divulgatrice scientifica, conduttrice radiofonica e conduttrice televisiva autrice di “Eroica, folle e visionaria” (Bollati Boringhieri), un libro che racconta le vicende di medici (e non solo) decisi a provare le proprie idee direttamente su loro stessi, disegnando una storia della medicina decisamente alternativa rispetto a quella ufficiale.

Di autoesperimenti è costellato il corso della ricerca medica meno recente, e i protagonisti sono figure note e meno note della scienza (la Bencivelli parla, tra gli altri, anche di Louis Pasteur e di Arthur Conan Doyle). Gli esperimenti vanno dalla chirurgia pionieristica alle sostanze anestetiche, dai farmaci ai germi, dai “bicchieri d’acqua sporca” ai primi vaccini. Insomma, non c’è quasi campo di interesse della medicina che non si presti a qualche sorprendente prova su se stessi. Oltre allo sprezzo del pericolo, a una certa dose di visionarietà, unita a volte a una instabilità mentale piuttosto evidente, gli autoesperimenti prevedevano doti fuori dal normale e rientravano comunque nell’alveo della “vera” ricerca scientifica. Oggi qualcuno ancora prova a sperimentare su stesso, ma si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di espressioni di sottoculture un po’ ai margini (roba da dark web, da artisti molto irregolari o da ricercatori “deviati” in cerca di visibilità).

“Oggi qualcuno ancora prova a sperimentare su stesso, ma si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di espressioni di sottoculture un po’ ai margini”

In questa categoria rientra probabilmente anche l’autoesperimento di ringiovanimento più popolare degli ultimi anni, che ha visto protagonista un multimilionario in vena di progetti folli per dare un senso alla sua ricchezza. Bryan Johnson ce l’ha messa davvero tutta, anche economicamente, arrivando a investire oltre 2 milioni di dollari l’anno per riportare indietro le sue lancette biologiche. Il progetto Blueprint consiste in un massacrante programma di training fisico, di correzioni delle abitudini di vita e di monitoraggio dei parametri corporei per invertire il più possibile l’età biologica di tutti gli organi. Bryan arriva al punto di provare anche una trasfusione figlio-padre per accelerare il processo, ma il tentativo non dà (toh…) i risultati sperati. C’è un’inquietante e lunga intervista al protagonista di questo autoesperimento estremo, pubblicata da un canale youtube dall’eloquente nome “Vlad tv”.

È un fatto che gli autoesperimenti si siano diradati nella seconda parte del Novecento. La scienza ha chiesto e chiede prove sempre più solide e ripetibili, e dalla semplice osservazione su pochi o pochissimi casi (uno soltanto a volte) non arrivano prove sufficienti. La sperimentazione ha bisogno di una standardizzazione sempre maggiore, del controllo su molti parametri e soprattutto di grandi numeri che sono maneggiabili solo con la statistica. E poi c’è anche un altro aspetto da considerare, cioè l’evoluzione verso una medicina come impresa soprattutto collettiva che può ormai fare a meno di eroi e di follia. Forse, spiega Bencivelli, resta soltanto un ambito in cui gli autoesperimenti conservano sia il carattere dell’eroicità sia quello della visibilità e della scientificità (anche perché il contesto di studio non fa davvero sconti e non offre alternative praticabili). Si tratta dello spazio e degli astronauti che vivono a bordo della stazione spaziale internazionale. Quegli esperimenti a 400 chilometri dal suolo terrestre per testare la fisiologia umana in condizioni di microgravità mettono di nuovo il singolo di fronte alla responsabilità di rappresentare l’avanguardia del genere umano, di spostare in avanti i propri confini per dare a tutti nuove possibilità.