***L’intervista a Federico D’Orazio è stata girata in data 17 marzo 2020, i contenuti fanno quindi riferimento a quella fase dell’emergenza.***
“Sono cambiate le nostre giornate lavorative perché è cambiata la nostra attività di base”, Federico D’Orazio, medico radiologo dell’Humanitas Research Hospital di Rozzano (Milano) si sta dedicando a pieno ritmo ai casi di Covid-19 che vengono ricoverati presso quello che è uno degli ospedali hub della Regione Lombardia.
Giornate lavorative ripetitive, ci racconta, di valutazione sia in urgenza che nel prosieguo delle cure dei pazienti ricoverati con polmonite virale da Covid-19. La Tac del torace infatti è una delle prime indagini che vengono eseguite nel paziente per cui c’è un sospetto di positività al nuovo coronavirus, perché permette di riconoscere subito le alterazioni causate dal virus, che verranno poi comunque confermate da altri esami di laboratorio. E quelle che erano immagini viste solo sui report e sulle casistiche pubblicate dai medici cinesi sulle riviste mediche internazionali sono diventate ben presto il “suo” pane quotidiano.
Un cambiamento improvviso che ha fatto emergere però una straordinaria velocità di adattamento da parte del servizio sanitario nazionale e del suo personale: “Nella nostra area geografica c’è stato uno shift pressoché immediato, perché si è manifestato praticamente fin da subito con dei numeri davvero importanti che richiedevano un’azione immediata di adeguamento delle risorse per fronteggiare quello che era e che è tuttora la pandemia da coronavirus (…) a qualsiasi livello organizzativo sia per quello che riguarda le procedure interne per l’utilizzo di dispositivi di protezione che per l’organizzazione di percorsi di spostamento all’interno delle stesse strutture sanitarie di questi pazienti”.
Perché, come ci ricorda Federico D’Orazio, devono essere previsti spazi e personale dedicato esclusivamente al trattamento dei pazienti con Covid-19, così come degenze e rianimazioni per pazienti con altre fragilità che, naturalmente, continuano a esserci (ictus, infarti e altri interventi di cardiochirurgia urgenti nel caso dell’Humanitas Research Hospital), quindi alle difficoltà organizzative si somma la complessa gestione dei pazienti in condizioni critiche che hanno necessità di cure particolari, di personale estremamente specializzato, “uno sforzo organizzativo, terapeutico e diagnostico, uno sforzo sanitario a tutti i livelli”.
Federico D’Orazio ha persino smesso di domandarsi quanto sia possibile reggere ancora in una condizione così: è sin dai primi giorni dell’emergenza che ha pensato di essere prossimo al punto di saturazione delle terapie intensive. Eppure… “eppure ogni volta che siamo prossimi al punto di saturazione vediamo arrivare una nuova soluzione magari creativa, magari impensabile in tempi di pace tra virgolette, come l’utilizzo dei ventilatori delle sale operatorie per trasformarli in posti di letto di rianimazione… una realtà impensabile fino a un mese fa per noi, che però adesso è realtà a tutti gli effetti in moltissime strutture (…) quindi oggettivamente quale sia il limite io personalmente non sono più in grado di prevederlo con certezza”.
Tornare troppo rapidamente alla normalità (…) rischia di innescare nuovi focolai epidemici.
A preoccupare Federico D’Orazio è il “dopo”: “Probabilmente siamo alla vigilia di una flessione di nuovi casi, l’incidenza di questa patologia nelle prossime settimane vedrà una flessione perché siamo tutti quanti fiduciosi del fatto che le misure di isolamento sociale, di contenimento degli spostamenti (…) produrranno sicuramente un effetto come l’hanno prodotto anche in Cina però la mia preoccupazione è che si faccia rapidamente ritorno alle normali abitudini riguardo agli spostamenti, le attività quotidiane, le attività lavorative (…) tornare troppo rapidamente alla normalità finché non ci saranno dei livelli di garanzia sufficiente che il virus non sia più circolante nella popolazione rischia di innescare nuovi focolai epidemici”.