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Covid-19: dare attenzione alla fragilità degli anziani


L’infezione da Covid-19 ha messo a nudo la situazione della fragilità dell’anziano”, afferma Alberto Pilotto, presidente eletto della Sigot (Società Italiana Geriatria Ospedale e Territorio). In un’intervista con Senti Chi Parla, il medico ha voluto portare alla luce le difficoltà che in questo momento gli anziani con fragilità devono affrontare nella lotta alla Covid-19.

Ma procediamo con ordine, “quando parliamo di anziani ci riferiamo ad una popolazione molto eterogenea. Esiste l’anziano che è autonomamente performante, che va in palestra due o tre volte alla settimana, che ha una densa vita sociale, arricchita anche dalla presenza e dall’affetto dei nipoti”, spiega l’esperto in geriatria e gerontologia dell’Ospedale Galliera di Genova. “Esiste poi l’anziano fragile”, e a questa fragilità contribuiscono molti fattori. “Esiste la fragilità funzionale, cognitiva, psico-sociale, infine quella di natura clinica ed economica. Ebbene, queste diverse dimensioni vanno ad interagire assieme nei momenti di maggiore difficoltà”. L’infezione da Covid-19 rientra in queste difficoltà, è un evento stressante, spiega Pilotto, che comporta la necessità di dover reagire. “L’anziano non fragile reagisce in maniera ottimale, con resilienza. L’anziano fragile soccombe”.

Durante le cure ospedaliere, che il medico ligure evidenzia come “intensive e impegnative” nonché di lunga durata, il paziente fragile si trova a dover combattere anche con “l’isolamento e l’impossibilità da parte di familiari e conoscenti di avere dei contatti con la persona ricoverata”. E ciò aggrava la situazione di disagio e malessere, fino ad arrivare alla depressione. A questo si associa anche la paura per l’esito del trattamento, la preoccupazione per i familiari lontani e la preoccupazione in parte legata all’aspetto esteriore degli operatori sanitari (con mascherine, protezione per gli occhi, camici, cuffie) che comporta accentuazione dello stato di ansia.

Presso l’Ospedale Galliera di Genova, “nell’esteso dipartimento di cure geriatriche (suddiviso per intensità di cura) abbiamo allestito un percorso per il paziente che supera la fase acuta dell’infezione, in cui si interviene per tentare un recupero”. Un recupero che, sottolinea Pilotto, non deve essere solamente clinico ma deve tener conto anche di altri aspetti come quello funzionale, con un recupero motorio tramite l’intervento di fisioterapisti, un recupero cognitivo con un percorso di ripristino (riorientamento della persona nello spazio e nel tempo e di coordinazione degli aspetti di depressione che rallentano la fase di recupero e preoccupano molto i geriatri). La depressione nell’anziano è spesso associata anche a uno stato di anoressia, e di conseguenza anche l’introduzione di liquidi è ridotta, come conseguenza del ricovero intenso. “L’anziano si vede in difficoltà e si alimenta meno o non si alimenta affatto e ciò comporta un rallentamento nel percorso di recupero”.

L’anziano non fragile reagisce in maniera ottimale, con resilienza. L’anziano fragile soccombe.

Il recupero
Dopo aver superato la fase acuta ed essere risultato negativo ai test (per due volte a distanza di 24) si procede con il reinserimento presso il domicilio, o nella situazione di comunità. L’opportunità in queste situazioni, quando ben gestite, è grandissima, secondo l’esperto, poiché all’interno di queste comunità “con adeguata e appropriata gestione in termini di riabilitazione e riattivazione fisica, cognitiva e sociale si può rallentare la condizione di fragilità”. Per esempio, in Europa (in particolare Finlandia, Svezia, Germania, Danimarca) una persona di 65 anni ha davanti a sé 15-16 anni di vita in salute, diversamente da quanto succede in Italia, dove questo numero scende a 9-10.Ciò dimostra che attivando dei percorsi di prevenzione della fragilità è possibile allungare questo periodo”.

In Italia”, afferma Pilotto, “la percentuale di persone anziane è veramente elevata (l’indice di invecchiamento, secondo gli ultimi dati Istat, è maggiore rispetto alla media europea). Fortunatamente, la maggior parte di questi anziani non sono fragili e in qualche modo sono più resilienti, resistono, riescono a superare questa situazione di stress. Tale situazione però comporta per chi è a rischio di diventare fragile, per chi già lo è di soccombere davanti all’infezione. Se qualcosa dobbiamo imparare da questo disastro è che la fragilità non è solo legata alla malattia o alle co-morbilità”.

Non tutti gli anziani vivono in una situazione familiare soddisfacente, “la solitudine di per sé è un fattore di rischio molto elevato. Ecco che allora, ripeto, se dobbiamo imparare qualcosa, iniziamo intanto a capire quanti sono gli anziani fragili, quanti e dove sono quelli a rischio fragilità e concentriamo gli interventi di prevenzione e cura su questa fascia della popolazione. L’infezione da Covid-19 ce lo sta insegnando. Deve diventare un nostro obiettivo, non solo sanitario (coordinato da medici e geriatri) ma anche sociale. Una società che perde la generazione degli anziani, non perde solo esperienza e cultura, ma anche forti punti di riferimento per il ruolo che l’anziano ha e deve avere nell’ambito familiare e sociale. Dobbiamo dare valore a questo concetto e ci sarà sicuramente una società migliore se diamo attenzione alla fragilità così come l’abbiamo definita: multidimensionale”.