Ci sono dimissioni e dimissioni. Ci sono le dimissioni della premier della Nuova Zelanda, che dopo avere occupato posizioni istituzionali di primo piano ha voluto tornare a una vita normale. Ha testimoniato che il potere rischia di trasformarti e farti dimenticare che nessuno è insostituibile, mentre c’è una vita ricca di affetti al di fuori delle stanze di comando. Durante la pandemia covid-19 è stata descritta la nascita del fenomeno della Great Resignation – la grande dimissione – che ha riguardato e sta riguardando anche persone che nel lavoro non ricoprono ruoli di rilievo, che hanno rifiutato vecchi lavori e vecchie regole e hanno preferito provare a riprendere in mano la propria vita.
Ci sono poi le dimissioni di persone che hanno (avuto) un ruolo più o meno rilevante in una istituzione, pubblica o privata che sia, che con il loro allontanamento segnalano un problema, un campanello d’allarme. Non sempre il mancato riconoscimento di questi campanelli di allarme, e l’adozione di interventi correttivi coerenti, provoca conseguenze catastrofiche, ma sarebbe poco saggio non analizzare le dimissioni come un segnale che qualcosa non va. All’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ci sono state di recente due dimissioni indipendenti che, sebbene avvenute con una evidente volontà degli interessati di evitare polemiche strumentali, dovrebbero suonare come veri campanelli di allarme.
All’Aifa ci sono state di recente due dimissioni indipendenti che dovrebbero suonare come campanelli di allarme
Dopo essere stati convocati alla riunione di insediamento, a gennaio di quest’anno, non sono più stati chiamati né consultati. E così si è dimesso un gruppo fra i più eminenti oncologi italiani che era stato nominato in una commissione che avrebbe dovuto lavorare a sostegno della Commissione tecnico-scientifica (Cts) dell’Aifa, e in generale dell’Agenzia, nella valutazione del valore dei farmaci oncologici. Peccato, perché sono in ambito oncologico il maggior numero delle autorizzazioni della European medicine agency (Ema), e questi farmaci rappresentano la principale voce di spesa farmaceutica nelle strutture del Servizio sanitario nazionale. Peccato, perché si trattava di un’attività di servizio, senza alcun compenso.
Si è anche dimesso uno dei componenti della Cts, uno dei maggiori esperti italiani di valutazione dei farmaci, di informazione scientifica, e più in generale di epidemiologia del farmaco. Non parliamo di stanchezza. Quando è scoppiata la pandemia, la Cts si è riunita in seduta permanente – ogni giorno, compresi i sabati e domeniche – per parecchie settimane, e per 144 giorni nel corso del 2020. Non c’è stato bisogno di alcuna norma ad hoc, o di alcun ordine di servizio. Così, per oltre due anni, la Cts ha fatto tutto il lavoro che già faceva in precedenza e cioè valutare i farmaci ai fini dell’accesso alla rimborsabilità, e in più ha svolto l’enorme attività tecnico-scientifica di valutazione sui farmaci e vaccini per covid-19.
Non sono pubbliche le motivazioni alla base delle due dimissioni, anche se l’Aiom, l’associazione italiana di oncologia medica, segnala in un comunicato il rammarico per il fatto che gli oncologi “si sono visti costretti a rassegnare le dimissioni, a causa della perdurante e non spiegata impossibilità a riunirsi per fornire la collaborazione prevista”.
Servirebbe una discussione pubblica, innanzitutto a livello parlamentare e regionale, per capire cosa stia accadendo
Quello che si sa è che dalla fine del 2022 è stato deciso di avviare uno sciatto riordino dell’Aifa, del quale non si vede la conclusione. A novembre 2022, senza alcuna discussione pubblica, è stato presentato un emendamento al decreto legge cosiddetto “Nato e Regione Calabria” (convertito in legge 196/2022) che prevedeva, in particolare, l’abolizione del direttore generale dell’Aifa e il trasferimento dei poteri verso una nuova figura di presidente dell’Agenzia, oltre che la sostituzione delle due commissioni tecniche (Cts e Cpr) con un’unica commissione. Il riordino dell’Agenzia sarebbe dovuto avvenire entro il 28 febbraio 2023. Successivamente, all’inizio del 2023, è stato presentato un emendamento a un cosiddetto “decreto milleproroghe” (convertito in legge 14/2023) che prorogava al 30 giugno 2023 l’attività di Cts e Cpr. È seguita poi una proroga ulteriore della durata delle commissioni fino al 1° ottobre 2023 (decreto legge 51/2023 “Enti pubblici”).
In tutti questi rinvii si è persa qualunque informazione sulle sorti del decreto interministeriale che avrebbe dovuto attuare quanto previsto dal decreto legge “Nato-Calabria”. È legittimo chiedersi dove fosse l’urgenza, a novembre 2022, di intervenire con un emendamento in un disegno di legge, quando poi si lascia passare quasi un anno solo per ridefinire le commissioni. Forse ci si comincia a rendere conto che il riordino abbozzato era un errore nelle forme e nel contenuto. Servirebbe una discussione pubblica, innanzitutto a livello parlamentare e regionale, per capire cosa stia accadendo e come fare uscire un’istituzione essenziale per la salvaguardia del diritto alla salute dei cittadini da una condizione di incertezza di cui non si vede la fine.