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Le necessità dei pazienti oncologici durante l’emergenza Covid-19


***L’intervista a Raffaele Giusti sulle necessità dei pazienti oncologici è stata registrata in data 16 marzo 2020, i contenuti fanno quindi riferimento a quella fase dell’emergenza.***

Una città dalle strade desolate e dalle case piene, in tensione, bandiere sventolanti all’aria. Ma nessuno sta per esultare per una rete segnata. È il silenzio di una quarantena. La nazione intera sta tifando per la propria sopravvivenza, nella speranza, non uscendo di casa, di ridurre al minimo le perdite. “Quello che vediamo è un quadro secondo me mai visto a Roma se non nell’immediato dopoguerra” queste le parole di Raffaele Giusti, dell’Oncologia Medica dell’AO Universitaria Sant’Andrea di Roma.

Giusti commenta quella che è oggi la situazione a Roma, ma questo “dopoguerra” lo possiamo trovare in tutta Italia. Una nazione messa in grande difficoltà, come tante altre purtroppo, dal Sars-CoV-2. Un virus questo che nell’arco di pochi mesi, da dicembre 2019 ad oggi, ha causato una pandemia. In questa guerra la prima linea è negli ospedali che nell’incertezza dell’emergenza devono capire, in attesa di una cura definitiva, la migliore strategia di gestione dei pazienti affetti da Covid-19. Come specifica Giusti: “Medici rianimatori, medici di pronto soccorso, stanno svolgendo un ruolo fondamentale: è un ruolo di prima linea, è un ruolo di trincea e questo gli va fatto onore”.

Molti ospedali sono stati costretti a ripensare l’organizzazione dei reparti e nel dettaglio ogni medico ha dovuto considerare dei percorsi di cura alternativi, e renderli quanto più possibile telematici per non rischiare che i propri pazienti venissero in contatto con il virus, passando per l’ospedale.

Una situazione forse ancora più pericolosa per i pazienti di oncologia particolarmente fragili e a rischio di infezioni. “Tutti i giorni noi ci interroghiamo su le priorità che dobbiamo mantenere, quali pazienti seguire, come seguirli, a chi garantire un percorso di cura che sia il più lineare possibile. Con quali persone ci possiamo permettere di ritardare le cure e quindi è tutto un discorso di necessità”, racconta ancora Giusti.

Quello che percepiamo è chiaramente una situazione più grande di noi, perché si lotta contro qualcosa di invisibile.

È dunque una questione di necessità: quella dei pazienti di poter seguire il proprio percorso di cura. Mentre è una priorità per i medici quella di garantirglielo. Capire come tuttavia è difficile prosegue l’oncologo, “perché viviamo una situazione molto particolare. È una situazione nuova (…). Tutto è legato al buon senso della persone e alla situazione clinica che ci si trova a fronteggiare. Questa è un po’ l’esperienza degli oncologi in questo momento: fornteggiare quest’ondata tenendo presente che i pazienti hanno bisogno delle nostre cure”.

“Io spero che queste curve esponenziali prima o poi cominciano ad avere una fase di discesa o quanto meno di plateau, in modo tale che ci diano il tempo di organizzare bene le idee e lavorare con maggior sicurezza”.

Sì, perché la sicurezza va garantita ai pazienti come anche agli operatori sanitari, un’altra necessità da rispettare. “È qualcosa che preoccupa gli operatori sanitari e di questo purtroppo non è colpa di nessuno ma il momento storico è talmente, tra virgolette, concitato che siamo in qualche modo noi stessi a viverlo e renderci conto giorno dopo giorno a che cosa stiamo andando in contro”. La preoccupazione in questo caso è dovuta a un virus di cui si sa ancora poco, dalla patogenesi incerta, e che vediamo propagarsi molto velocemente. “Quello che percepiamo è chiaramente una situazione più grande di noi, perché si lotta contro qualcosa di invisibile”.

Eppure, ci sono anche dei momenti buoni, come la lettura di un email in cui un paziente non chiede dell’emergenza, non chiede della propria cura, ma scrive un semplice “Buongiorno, come sta? Arrivederci”. Un gesto simile può illuminare una giornata di scelte difficili prese a sangue freddo. Per Giusti ,tuttavia, lavorare non è unicamente un dovere, anzi “io posso dire che andare a lavorare in questo momento non è un peso anzi è un qualcosa che è estremamente motivante, perché quando si va a lavorare si dimentica un po’ il rischio che si corre e si lavora per il bene comune”.