×

Contenzione in psichiatria: misura terapeutica o strumento illegale?


Io avrei un desiderio: poter stare accanto a qualcuno che sia in un letto di contenzione. Adesso capisco che la contenzione forse è necessaria… Benissimo la forza, benissimo il rigore, ma accanto diamo una parvenza di umanità, perché in quella situazione di impotenza quello che resta è la parola. Facciamo che le parole siano vere, autentiche e in qualche modo calibrate. In quella situazione si è fecondi mentalmente, si ha bisogno di uno scambio, di un dialogo. Pensare che hai risolto tutto legando, chiudendo la porta e andando via, non dico buttando la chiave ma quasi, è la cosa più crudele e più assurda che sia stata concepita all’interno di una scienza”.

A parlare è Gianvito Iannuzzi, volontario in un Centro di Salute Mentale (Csm) a Roma ed ex paziente psichiatrico. È uno dei protagonisti dell’installazione Portatori di storie. Da vicino nessuno è normale, realizzata da Studio Azzurro nel Museo Laboratorio della Mente. Iannuzzi, riprodotto a grandezza naturale, racconta la sua storia, i suoi sogni, le sue difficoltà.

È come se stessi sempre su un confine in cui ho la libertà e l’autonomia di scegliere da che parte stare, perché ogni tanto avverto il rischio di poter debordare. Ma non in quanto ex paziente, in quanto normale frequentatore di una simile situazione”.

La contenzione meccanica dei pazienti psichiatrici è ancora oggi una delle questioni più controverse e dibattute in Italia e nella comunità internazionale relativamente all’assistenza psichiatrica. Questa pratica, infatti, solleva una grande quantità di problemi di ordine etico, clinico, giuridico e medico-legale. Se esistono posizioni, in ambito giuridico e psichiatrico, che assimilano la contenzione meccanica a una pratica da poter utilizzare in stato di necessità, molto diffusa è la posizione alternativa che sostiene l’illegittimità etica e giuridico-costituzionale di questo strumento, che ne nega la valenza terapeutica.

Sicuramente è una pratica molto diffusa, e non solo nei reparti psichiatrici. Secondo una ricerca condotta nel 2004 dall’Istituto Superiore di Sanità presso un campione di Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc), sull’intero territorio nazionale nel 60 per cento dei casi le strutture fanno ricorso a pratiche di contenzione meccanica e in oltre il 70 per cento sono presenti gli strumenti idonei per farvi ricorso. In Italia avvengono in media 20 contenzioni ogni 100 ricoveri. Questi dati, seppur si tratti di stime e siano poco aggiornati, sono utili a inquadrare il fenomeno dal momento che non tutti i Spdc forniscono registri con il monitoraggio delle contenzioni praticate.

Pensare che hai risolto tutto legando, chiudendo la porta e andando via, non dico buttando la chiave ma quasi, è la cosa più crudele e più assurda che sia stata concepita all’interno di una scienza

Negli ultimi mesi si è tornato a parlare di contenzione – anche se meno di quanto si sarebbe dovuto – in seguito alla morte di Elena Casetto, la ragazza diciannovenne bruciata viva all’interno del reparto psichiatrico dell’ospedale di Bergamo. La ragazza era stata legata al letto qualche ora prima e la sua stanza era chiusa a chiave: una situazione molto distante da quella auspicata da Gianvito Iannuzzi. Una volta scoppiato l’incendio, le fiamme sono divampate e nessuno è riuscito a salvarla.

Ancora, il 4 agosto del 2009, nel Servizio Psichiatrico di diagnosi e cura dell’ospedale di Vallo della Lucania, è morto legato a un letto Franco Mastrogiovanni, vicenda raccontata dallo straziante film di Costanza Quatriglio, 87 Ore, che ha portato alla condanna definitiva di sei medici e undici infermieri. In questo caso ha fatto scalpore l’affermazione inequivocabile della Cassazione: il ricorso al letto di contenzione non è mai una misura terapeutica.

Come affermano, in un articolo pubblicato su La Repubblica, Luigi Manconi e Valentina Calderone – Presidente e Direttrice dell’associazione A Buon Diritto, che da anni lavora anche su queste tematiche – non bastano le parole “la contenzione meccanica non è un atto medico” perché la pratica di legare i pazienti a un letto, polsi e caviglie stretti dentro lacci e cinghie, possa dirsi abolita. Al contrario. La contenzione è talmente frequente che numerose associazioni si sono unite nella promozione di una campagna, “…e tu slegalo subito”, che ne chiede la totale abolizione.

Anche il documento del Comitato Nazionale di Bioetica uscito nel 2015 e il rapporto del 2017 della Commissione diritti umani del Senato presieduta da Luigi Manconi ne hanno denunciato la frequenza, focalizzando il tema dal punto di vista del rispetto della dignità e dei diritti della persona.

La contenzione meccanica continua a rimanere pratica diffusa nel pressoché assoluto silenzio della politica, delle comunità professionali e dell’intero corpo sociale.

Secondo la nostra Costituzione”, scrive Manconi nel rapporto, “i ricorsi a pratiche limitative della libertà personale nell’ambito di trattamenti sanitari dovrebbero rappresentare rare eccezioni tassativamente regolate, controllate, sottoposte a un sistema giurisdizionale di garanzie nei confronti dei pazienti. Mentre si continua dunque ad agire in maniera stridente con la migliore cultura giuridica e sanitaria affermatasi nel nostro paese e, in particolare, con quella ‘legge Basaglia’ che ha riconosciuto in maniera piena la dignità e la titolarità dei diritti delle persone affette da disagio mentale. Nella stragrande maggioranza dei centri di diagnosi e cura i pazienti non hanno la possibilità di avere rapporti con i familiari, di muoversi liberamente (tantomeno di uscire) e tali strutture risultano spesso impermeabili a qualsiasi possibilità di monitoraggio e controllo dall’esterno e la pratica di misure di contenzione meccanica è una componente ricorrente, seppur nell’ombra. (…) La contenzione meccanica continua a rimanere pratica diffusa nel pressoché assoluto silenzio della politica, delle comunità professionali e dell’intero corpo sociale”.

Eppure ci sono luoghi in Italia dove la contenzione è stata abbandonata e le porte sono aperte. Luoghi dove sono evidenti pratiche e organizzazioni dei servizi rispettose della persona, della dignità e dei diritti di tutti, utenti e operatori. Dalla regione Friuli Venezia Giulia, dove iniziò la rivoluzione psichiatrica basagliana, fino a buone pratiche sparse sul territorio nazionale. Esistono, infatti, circa 30 Spdc no restraint capaci, anche nelle situazioni più estreme, di assicurare dignità e diritti.

Conosciamo tutti le difficoltà degli operatori costretti a lavorare in condizioni di carenza di organico, in ambienti inadeguati o sovraffollati, ma sappiamo anche che la contenzione non è un frutto solo di queste carenze e difficoltà. Influisce l’orientamento, la cultura degli operatori, dei dirigenti, il modello organizzativo dei servizi di salute mentale. Queste esperienze dimostrano che si può fare a meno di legare. O almeno, come auspica Gianvito Iannuzzi, che una persona non venga lasciata sola e che vi sia una parvenza di umanità.