Comunicare l’incertezza, senza minare il rapporto di fiducia delle istituzioni con la cittadinanza, richiede coraggio, fermezza, onestà. Richiede esperienza e trasparenza. La comunicazione, lo sappiamo tutti, non è andata sempre bene durante la pandemia e non ha saputo rispondere ai bisogni e alle paure delle persone, allontanandole di conseguenza dalle istituzioni. Ora c’è urgente bisogno di recuperare un’alleanza tra cittadini e professionisti sanitari e tra cittadini e istituzioni, anche in ambito sanitario. Proviamo a guardare da vicino come funzionano i percorsi che hanno portato le istituzioni a prendere decisioni, a definire linee di indirizzo e raccomandazioni, e come queste siano state comunicate alla cittadinanza.
Vaccinazione in gravidanza: tutte le tappe
Il processo decisionale che ha portato alle raccomandazioni dell’Istituto superiore di sanità (Iss) sulla vaccinazione contro covid-19 in gravidanza e allattamento è un caso emblematico di come un’istituzione si sia trovata a definire indicazioni di salute pubblica durante un’emergenza sanitaria. A guardarlo da vicino, il percorso che ha portato alla definizione delle raccomandazioni da parte dell’Iss ci dice come non ci siano raccomandazioni che nascono all’insegna della fretta di dire qualche cosa né indicazioni troppo cautelative. I passi fatti dall’Istituto superiore di sanità li raccontano Edoardo Corsi e Serena Donati, reparto Salute della donna e dell’età evolutiva.
Se torniamo con la memoria al 2020, a quando eravamo chiusi dentro le nostre case, senza farmaci che sembrassero risolutivi e con la sola arma delle misure preventive, l’arrivo del vaccino è sembrato salvifico. Ma non lo è stato per tutti da subito: sulle donne in gravidanza e allattamento non si sapeva nulla, per loro che si trovavano in una condizione di maggiore rischio e di maggiore ansia non c’era la possibilità di offrire alcuna informazione. “Le donne in gravidanza e in allattamento sono abitualmente escluse dagli studi clinici che le aziende farmaceutiche conducono per dimostrare l’efficacia e la sicurezza di un nuovo prodotto, in questo caso i vaccini, e avere il via libera alla commercializzazione da parte delle agenzie regolatorie, l’Aifa in Italia, l’Ema a livello europeo”, spiega Serena Donati, che dirige il reparto Salute della donna e dell’età evolutiva dell’Iss. Da dove è nata questa esclusione? “Tra il 1957 e il 1962 sono nati oltre 10.000 bambini con sindrome da focomelia, dovuta a un farmaco, la talidomide, assunto in gravidanza inconsapevolmente dalle donne perché nessuno lo aveva studiato in gravidanza.”, spiega Donati. Dovremmo provare a chiederci se davvero sempre la ricerca è rischiosa per le donne o se talvolta può esserlo la mancanza di informazioni. “Il farmaco è stato immediatamente ritirato, ma è stato anche deciso che le donne in età riproduttiva o che comunque non escludevano una gravidanza andavano escluse dalla ricerca farmaceutica per essere protette”. Un tema che meriterebbe probabilmente una ulteriore riflessione, anche alla luce dei progressi della medicina negli ultimi 40 anni. Per chi volesse approfondire, Pharmakon è un podcast sulla talidomide che ricostruisce bene la vicenda.
“La ricerca si può fare con intelligenza”, continua Donati. “Per proteggere le donne in gravidanza non basta sapere quello che sappiamo dalla popolazione generale, perché la farmacocinetica dei farmaci in gravidanza è differente e, quindi, se non abbiamo dati specifici su questa popolazione non sappiamo come comportarci”. Se la patologia è grave e l’evidenza sulla sicurezza del farmaco è debole la priorità di fare ricerca rimane alta, perché possiamo trovarci in condizioni in cui queste informazioni sono fondamentali. Di fronte a patologie che comportano conseguenze lievi, indipendentemente dal sapere se il farmaco è sicuro o meno, può non interessarci intraprendere uno studio. Forse possiamo cambiare prospettiva e provare a discriminare quando fare ricerca su questa popolazione e quando no. “La mancanza di dati conclusivi sulla sicurezza e l’efficacia dei vaccini in gravidanza ha messo in difficoltà non solo le donne e le famiglie, ma anche i decisori, perché prendere decisioni con livelli di incertezza così alti è molto difficile, ma è una responsabilità di salute pubblica”, aggiunge Donati.
Escludere le donne in gravidanza e in allattamento dalla ricerca ha significato che quando il vaccino è arrivato non si sapeva cosa dire loro, perché non era disponibile alcuna evidenza, nemmeno iniziale, su quale fosse l’efficacia e la sicurezza dei vaccini in gravidanza. “Non avevamo dubbi: così come si producevano anticorpi nelle donne in età riproduttiva, la stessa cosa in misura anche maggiore sarebbe potuta accadere nelle donne in gravidanza. Però mancavano evidenze anche sulla sicurezza del vaccino e questo ci impediva di raccomandarlo”, continua. Quali sono state le domande che chi lavora nella ricerca si è posto per capire cosa fare e come costruire un percorso decisionale per arrivare a offrire delle indicazioni ai cittadini e alle donne? “Il primo passo è stato mettersi nei panni dei cittadini ai quali poi le indicazioni sarebbero state rivolte”, racconta Serena Donati. La malattia da covid-19 in gravidanza e allattamento può causare problemi di salute alla madre e al neonato? Se la malattia non avesse causato problemi di salute, non avrebbe avuto senso l’indicazione a vaccinarsi. Ancora: esistono donne a maggior rischio di sviluppare una malattia grave se in gravidanza? L’obiettivo è stato costruire un identikit delle persone a maggior rischio, per capire a chi indirizzare prioritariamente l’offerta della vaccinazione. La terza domanda: se i virus cambiano o se cambia il loro livello di circolazione, quanto questo può modificare il rischio di ammalarsi e di sviluppare una malattia grave da covid-19? Nel decidere se vaccinarsi o meno in gravidanza e in allattamento, la domanda, a cui non c’era risposta in quel momento, era: ma questi vaccini sono efficaci, funzionano, sono sicuri? Mi proteggono senza rischi per me e per il bambino?
In Italia, fin dall’inizio della pandemia, l’Italian obstetric surveillance system (Itoss) dell’Iss ha avviato uno studio nazionale prospettico population-based per monitorare le donne in gravidanza con infezione da Sars-cov-2 ricoverate. Oltre 11.000 donne positive sono state arruolate da febbraio 2020 a giugno 2021 e da gennaio a maggio 2022, permettendo di analizzare l’impatto del virus originario, delle varianti alfa e omicron sugli esiti di salute materni e perinatali. Lo studio ha confermato che nel periodo dominato dalla variante omicron la vaccinazione proteggeva dalle forme gravi di covid-19 e da esiti materni e perinatali sfavorevoli. Quando a gennaio 2021 l’European medicines agency (Ema) e l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) hanno autorizzato i vaccini contro covid-19, la preoccupazione di sottoporsi a una vaccinazione in gravidanza era alimentata dall’indisponibilità di dati conclusivi su sicurezza ed efficacia dei nuovi vaccini. Il percorso decisionale che ha guidato la definizione delle indicazioni ad interim prodotte dall’Iss sulla vaccinazione in gravidanza rispecchia la complessità del governo di questa incertezza.
“Dai dati di letteratura già raccolti sapevamo quali erano in Italia le donne, in gravidanza e nella popolazione generale, a maggior rischio di esiti sfavorevoli per l’infezione: donne con patologie pregresse, con diabete o obese, ma anche che venivano da Paesi a forte pressione migratoria”, spiega Donati. Nella prima indicazione ad interim è stato detto di non vaccinare tutti e di fare riferimento al proprio medico di fiducia per prendere una decisione consapevole, che potesse tenere conto di rischi e benefici caso per caso. L’indicazione alla vaccinazione all’inizio ha riguardato solo le donne che avevano un rischio di prendere più facilmente l’infezione e le donne a maggior rischio di sviluppare un’infezione grave: le mamme con altri bambini in casa che andavano al nido, le maestre dell’asilo nido, ma principalmente le caregiver, le professioniste sanitarie, le persone che stavano in ospedale dove il virus circolava tanto. “Dopo questo primo momento i dati dalla vita reale sono quelli che oggi ci consentono di dire che il vaccino è sicuro per le mamme e per i neonati, ma all’inizio c’erano solo i dati di quelle poche centinaia di donne nei trial clinici che erano rimaste incinte senza rendersene conto; numeri non abbastanza grandi per valutare il rischio, dato che gli esiti avversi in gravidanza sono esiti rari”. A seguito della pubblicazione di maggiori prove su sicurezza ed efficacia dei vaccini in gravidanza, la raccomandazione veniva estesa a tutte le donne al secondo e terzo trimestre e solo nell’agosto 2022 a tutte le epoche gestazionali.
“Dare alle persone un messaggio certo: se diciamo che il vaccino è sicuro, possono stare certi che sia sicuro”
“C’è voluto molto tempo per avere informazioni sulla sicurezza del vaccino durante il primo trimestre di gravidanza. Perché quando è arrivato il vaccino è stato necessario attendere ben oltre un anno per raccogliere sufficienti informazioni sulla sua sicurezza in caso di vaccinazione del primo trimestre, perché inizialmente erano poche le donne che si vaccinavano precocemente e perché la gravidanza dura comunque nove mesi”, continua Serena Donati. “Fino a quando non sono arrivati i dati sulla sicurezza su tutti i trimestri di gravidanza, l’Istituto ha avuto un atteggiamento di estrema prudenza”. Ma sarebbe più corretto definire questo approccio di estremo rigore. “Anche durante l’emergenza pandemica le scelte e le raccomandazioni di salute pubblica sono sempre state prese alla luce di una valutazione molto accurata che permetta di dare alle persone un messaggio certo: se diciamo che il vaccino è sicuro, possono stare certi che sia sicuro”, conclude Donati.
Prendere decisioni durante una pandemia, il ruolo degli esperti
Durante la pandemia l’Agenzia italiana del farmaco, con il supporto della sua Commissione tecnico-scientifica, è stata chiamata a valutare tutte le sperimentazioni cliniche sui medicinali per covid-19 e ha favorito, regolamentato e vigilato l’accesso alle terapie utili. Ed è stata fondamentale per tutte le decisioni adottate per contrastare la diffusione del virus. Ma quale è stata l’autonomia decisionale dell’Aifa in relazione alle autorità regolatorie europee e statunitensi durante la pandemia? E quanto le strategie delle politiche si sono dimostrate flessibili rispetto alle evidenze scientifiche? Di questo ci parla Giuseppe Traversa, reparto di Farmacoepidemiologia del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell’Iss, che negli anni della pandemia è stato direttore scientifico di Aifa.
La delicata e complessa assunzione di responsabilità da parte degli esperti che hanno composto la commissione rischia di essere incrinata nella sua autorevolezza “Bisogna tenere presente una cosa molto semplice”, ci spiega Traversa, “per ogni decisione complessa e rischiosa, se metti attorno a un tavolo dieci esperti avranno opinioni diverse. Inevitabilmente qualcuno di questi, col senno di poi, si è sbagliato. La maggioranza ha preso una decisione sbagliata, ma non c’è modo di prevederlo. La ragione per la quale noi mettiamo insieme dei comitati è proprio per ridurre la probabilità di prendere decisioni sbagliate. Ma non possiamo impedire che possa capitare e non lo possiamo sapere prima”.
“Per ogni decisione complessa e rischiosa, se metti attorno a un tavolo dieci esperti avranno opinioni diverse”
Costruire percorsi di sicurezza per i cittadini
Le strategie comunicative non sempre efficaci adottate durante la pandemia hanno influenzato, in modo significativo, gli esiti dell’emergenza stessa. In questo scenario di incertezza, la comunicazione e la divulgazione scientifica hanno seguito ragioni politiche e scientifiche. Molti cittadini si sono chiesti perché dalle istituzioni e dagli esperti non arrivassero decisioni chiare o perché ci fossero continui cambi di indicazioni, eppure, se ci ricaliamo nelle emozioni che hanno caratterizzato la recente pandemia, è facile comprendere come nelle situazioni di incertezza sia difficile formulare delle indicazioni certe di salute pubblica. Sapere che istituzioni come l’Iss, come l’Aifa e il Ministero della salute non hanno derogato mai al rigore scientifico, valutando le evidenze prima di fare raccomandazioni di salute pubblica, rasserena. Serve la capacità di mettersi in discussione e di autocorreggersi. Serve l’onestà di dire quando ancora non abbiamo una risposta certa, quando non abbiamo evidenze sufficienti. Serve costruire percorsi atti a garantire la sicurezza del cittadino. Forse può servire raccontarli.