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Per Carlo Verdone il cinema è un luogo di “analisi”


La frase che più di tutte rende l’idea del grande legame del regista Carlo Verdone con il mondo della psichiatria è quella di un professore amico della madre, che alla fine di una visita confidenziale, per valutare lo stato di salute dell’allora insonne e agitato ragazzo, disse: “Ringrazia Dio di essere un ansioso, perché altrimenti saresti una testa di cazzo qualunque”.

Racchiude tutto il messaggio di Carlo Verdone alla platea di psichiatri, durante la cerimonia inaugurale del XXII Congresso nazionale della Congresso Nazionale della Società Italia di Psicopatologia (Sopsi): “chi ha delle oscurità deve trovare il modo di parlarne, di condividerle”.

Come la psichiatria, Carlo Verdone nei suoi film ha più volte messo al centro la relazione tra la persona malata e il terapeuta. E, in modo ancor più interessante, i rapporti tra pazienti – basti pensare alla relazione tra Camilla e Bernardo in “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” o alla rete di rapporti tra pazienti del medesimo analista in “Ma che colpa abbiamo noi”. “Credo che ci sia un grande comune denominatore tra il mio lavoro e il vostro lavoro”, ha precisato, infatti, Carlo Verdone rivolgendosi ai medici psichiatri presenti in sala. “Entrambi andiamo a studiare l’animo umano”. Nei suoi film l’attore-regista ha sempre cercato di dare risalto a quei dettagli della vita che portati al pubblico fanno ridere. “Basta un modo di dire, un tic e la gente si ritrova in questo”, ha raccontato. “Sono temi molto cinematografici”.

L’analisi sottolinea la fragilità del protagonista”, ha aggiunto poi Verdone in un’intervista rilasciata ai microfoni del progetto One Congress One Year – #1C1Y che seguirà con sei newsletter, per un anno, i temi emersi durante l’appuntamento della SOPSI. “La persona che va in analisi è un persona piena di tic, di fobie, di fragilità, ha le sue tragedie che lo rendono un personaggio ideale per la commedia”, precisa. “Il rapporto con le persone che hanno le sue stesse fragilità, irrobustisce la commedia”. Dai suoi ritratti esce fuori la persona con tutte le sua fragilità: perché le commedie non sono soltanto a colori; la vita se vuoi raccontarla veramente è fatta di bianco e nero, di solitudine, di malinconia.

Chi ha delle oscurità deve trovare il modo di parlarne, di condividerle.

Quel raccontarsi può farsi cura. In “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” la narrazione delle fragilità dei protagonisti (Carlo Verdone e Margherita Buy) ha avviato per il regista un processo di guarigione. Anche se, come ha spiegato lo stesso Verdone, regista oltre che protagonista del film: “la nostalgia di quell’ansia – di ossessioni e debolezze – che non c’è più, è dura da affrontare”.

La capacità di aprirsi al pubblico, questo coraggio nel mettersi in gioco e nel prendersi in giro sono stati per Verdone la chiave personale per superare un disagio. Raccontare in modo autentico attraverso i suoi film gran parte delle sue passioni, delle sue debolezze, delle sue fragilità, delle sue ossessioni (la fissazione per le medicine in primis) hanno avviato un percorso, hanno involontariamente messo in modo una specie di terapia che gli ha permesso di superare i suoi limiti. “Questa è per me una fase completamente nuova”, ha raccontato in sala ai presenti, “anzi mi manca quella fase dove c’era più ansia, perché l’ansia è una specie di adrenalina in più che incanalata bene mi portava ad avere una marcia in più nella vita”.

Il cinema è stato per l’attore luogo privilegiato dell’analisi in un’accezione che lo ha coinvolto in prima persona. È stato anche agli occhi di chi guarda i suoi film, strumento per ridurre lo stigma verso il disagio mentale. Alcuni suoi film, insieme alle sue interviste e dichiarazioni, hanno contribuito a ridurre lo stigma nei confronti dei disturbi dell’umore e del comportamento ed a “sdoganare” gli psicofarmaci: “l’importante è raccontare i personaggi nella loro umanità, con le loro fragilità e debolezze”.

Il luogo dell’analisi è un luogo importante dal punto di vista cinematografico”, ricorda Verdone nell’intervista per One Congress One Year – #1C1Y. Dai fratelli Taviani ai Milos Forman passando per Silvano Agosti, il cinema ha fatto e può fare tanto. Così come il teatro.

Alla domanda su quale ‘patologia’ metterebbe al centro di un prossimo progetto: “Un uomo maturo drogato di internet, che non riesce a staccarsi. Di questi che passano le giornate a commentare (…) che poi sono persone di mezza età, anziani, a commentare su tutto, con violenza (…) Che uno gli verrebbe da dire vabbe’ so’ ragazzi! No so’ anziani. Persone mature”.