“Vorrei capire se il mio osservatorio a scuola è in qualche modo rappresentativo, ma mai come quest’anno – non solo nelle mie classi, ma in tutte quelle che conosco, di colleghi, amici docenti – vedo un’infinità di crisi degli studenti: demotivazione, paura, problemi di salute mentale, ritiro sociale e abbandono”: è la riflessione, dritta, di Christian Raimo sul suo profilo Facebook, il 22 marzo 2023. Raimo, tra le altre cose, insegna in una scuola secondaria a Roma. La sua è una domanda lecita in cui mi sono imbattuta mentre provo a capire che ruolo abbia avuto la pandemia come amplificatore di un processo già in atto, quello della crescita del disagio mentale tra i più giovani. E mentre provo a capire se la comunicazione digitale e l’uso dei social media possano essere un fattore di rischio per l’insorgenza precoce di alcuni disturbi, come quelli alimentari, o nel mantenere il disturbo dell’immagine corporea.
“Oggi i dipartimenti di emergenza in tutto il mondo sono pieni di adolescenti che cercano di tagliarsi e farsi del male”
“Covid-19 ha avuto un impatto significativo sulla salute mentale in tutto il mondo”, spiega Celso Arango della Gregorio Maranon complutense University in Spagna, ai nostri microfoni in occasione del XXVII Congresso nazionale della Società italia di psicopatologia. “Ma non ha colpito allo stesso modo i diversi segmenti della popolazione. Abbiamo visto un enorme aumento di condizioni come i disturbi alimentari, anche in bambine e adolescenti molto piccole, addirittura prima che abbiano il menarca. Abbiamo anche visto un aumento dei pensieri suicidari: oggi i dipartimenti di emergenza in tutto il mondo sono pieni di adolescenti che cercano di tagliarsi e farsi del male. E un aumento dell’incidenza nel numero di sintomi psicotici nei giovani”. I dati ci dicono che i più giovani sono oggi più che mai una popolazione vulnerabile che merita tutta l’attenzione che serve e tutti gli strumenti per garantire benessere e salute mentale che abbiamo a disposizione.
Da una revisione sistematica sull’impatto del lockdown sulla salute mentale di bambini e adolescenti emerge un aumento di ansia e depressione, ma anche di solitudine, disagio psicologico, rabbia, irritabilità, noia, paura, stress. Molte delle cose che Raimo ancora oggi osserva tra i banchi di scuola. Gli adolescenti in generale sono vulnerabili, in virtù della fase di sviluppo che vivono, in cui le relazioni tra pari sono fondamentali per lo sviluppo dell’identità. Non stupisce quindi che i lockdown, la didattica a distanza, il distanziamento sociale non le abbiamo favorite. Tra i fattori di rischio per la salute mentale durante il lockdown: la mancanza di routine, l’uso più massiccio di internet, l’esposizione mediatica a covid-19 che è stata associata a un aumento dei livelli di ansia e stress, etc. Secondo Save the children e il XIII Atlante dell’infanzia (a rischio) – Come stai? a cura di Cristiana Pulcinelli e Diletta Pistono, tra il 2019 e il 2021 nelle nove regioni italiane oggetto di monitoraggio, i ricoveri per patologia neuropsichiatrica infantile sono cresciuti in media quasi del 40 per cento: psicosi e disturbi del comportamento alimentare sono le prime cause. Sono aumentati gli accessi in pronto soccorso per patologie psichiatriche, le richieste di aiuto, il numero dei tentati suicidi. Anche l’isolamento volontario ha riguardato un numero significativo di adolescenti. Qui trovate tutti i numeri e le riflessioni.
La pandemia come amplificatore di processi?
Eppure la pandemia non sembra essere la causa quanto piuttosto un amplificatore di processi già esistenti, soprattutto tra i più giovani. Il problema dei disturbi mentali in crescita nei bambini e adolescenti ha iniziato a emergere molto prima che scoppiasse la pandemia. “Già nel 2019 la prevalenza stimata di disturbi mentali in ragazzi e ragazze di età compresa tra 10 e 19 anni era del 16,3 per cento, mentre la cifra globale per la stessa fascia di età era del 13,2 per cento nello stesso anno. Ciò significa che più di 9 milioni di adolescenti di età compresa tra 10 e 19 anni in Europa vivevano con un disturbo mentale”, si legge su Frontiers in Pediatrics.
“Già nel 2019 più di 9 milioni di adolescenti di età compresa tra 10 e 19 anni in Europa vivevano con un disturbo mentale”
“Questa amplificazione noi l’abbiamo vista su un piano clinico, osservando una maggiore richiesta di accessi, soprattutto nella fascia adolescenziale”, racconta lo psichiatra Alessio Maria Monteleone del Dipartimento di Salute mentale e fisica e medicina preventiva dell’Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli. “Abbiamo anche studiato quali fossero i determinanti di questa maggiore vulnerabilità, per esempio la riduzione del supporto sociale, l’aumento del tempo speso in famiglia e della relativa conflittualità, la riduzione delle possibilità di controllo sugli eventi della vita e la maggiore esposizione attraverso i social all’ideale di magrezza”. Oltre alla valutazione da un punto di vista di ricerca, Monteleone ha condiviso un’esperienza realizzata in un liceo. “In una scuola di Napoli ho parlato con i ragazzi cercando di realizzare dei seminari fortemente interattivi, in cui la cosa più bella è stata ricevere l’esperienza dei ragazzi che mi hanno parlato di loro, dei loro vissuti, e quindi delle tematiche adolescenziali”. Come raggiungere l’autonomia o distaccarsi dal controllo dei genitori? Come gestire la conflittualità? Come diventare responsabili o affrontare il giudizio degli altri o le aspettative che la vita pone intorno a loro… sono queste le loro ansie, paure, emozioni. “Si è parlato di tutto questo attraverso la voce dei ragazzi e ciò ha consentito a ciascuno di loro talvolta di rispecchiarsi nelle esperienze degli altri, talvolta di opporsi e costruirne altre alternative”, racconta lo psichiatra. “Quest’esperienza ha dato a tutti loro la possibilità di parlare di sé, di parlare di un vissuto o un disagio che non va assolutamente stigmatizzato”. Dare ai giovani adolescenti la possibilità di parlare delle loro ansie, delle loro paure, delle loro emozioni, prima ancora che delle problematiche alimentari, delle problematiche di genere, delle problematiche legate alle dipendenze ha un valore aggiunto e dà loro la possibilità di sapere che di tutte queste tematiche si può parlare e rispetto ad esse si può chiedere aiuto. “E questo, a mio avviso, potrà diventare un’importante forma di prevenzione della psicopatologia”, conclude Monteleone.
I disturbi del comportamento alimentare negli adolescenti: sintomatologia che cambia
“Con covid-19 abbiamo visto un inasprimento di tantissime categorie diagnostiche nel giovane”, racconta Emanuele Cassioli del Dipartimento di Scienze della salute presso l’Università degli studi di Firenze, “e l’abbiamo visto drammaticamente nelle giovani ragazze. Noi siamo una psichiatria dell’adulto, che include i ragazzi e le ragazze a partire dai 16 anni. Ci occupiamo di disturbi alimentari e abbiamo avuto moltissimi casi in più rispetto a quelli che erano i trend pre-covid”. Non solo un aumento dei casi, ma anche una sintomatologia che cambia. “Vediamo un inasprimento della parte sintomatologica che riguarda l’interazione dei nostri pazienti con gli altri, con i coetanei soprattutto; quindi, maggiori difficoltà sociali, livelli più alti di quella che chiamiamo alienazione sociale e, conseguentemente, senso di inadeguatezza personale”, continua Cassioli. “Questo poi va a compromettere sia l’andamento del trattamento sia l’evoluzione della patologia in longitudinale”. Sul tema dell’alienazione sociale e del senso di inadeguatezza, l’accento si sposta sull’utilizzo del cellulare esponenzialmente aumentato negli ultimi anni. “Di ricerca nell’epoca covid-19 se ne sta producendo sempre di più. Noi stiamo portando avanti uno studio, pubblicheremo i primi risultati preliminari a breve, sul ruolo che hanno i social, il cui incremento è aumentato, come sappiamo, esponenzialmente in era post-covid, nel mantenere il disturbo dell’immagine corporea, soprattutto i social image-based o foto-based, come per esempio Instagram”.
“Vediamo un inasprimento della parte sintomatologica che riguarda l’interazione dei nostri pazienti con gli altri, con i coetanei soprattutto”
“In Italia più di tre milioni di persone soffrono di disturbi dell’alimentazione e della nutrizione, che costituiscono la seconda causa di morte negli adolescenti tra 12 e 17 anni dopo gli incidenti stradali. Date cento ragazze in età adolescenziale, almeno dieci soffrono di qualche disturbo collegato all’alimentazione e una o due di loro presentano le forme più gravi come l’anoressia e la bulimia”: sono i dati che si leggono su “Social Fame. Adolescenza, social media e disturbi alimentari”, l’ultimo libro di Laura Dalla Ragione, scritto insieme a Raffaela Vanzetta e uscito per Il Pensiero Scientifico Editore. “Dal 2010 il numero delle richieste di assistenza è aumentato del 50 per cento e l’età si è abbassata, ora riguarda anche bambini di 10-11 anni. Crescono anche i dati di mortalità nel 2020-2021”, dichiara Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, che ha fondato e dirige la rete per i Disturbi del comportamento alimentare della Usl 1 dell’Umbria. La determinazione della psichiatra Laura Dalla Ragione e del suo team fanno oggi dell’Umbria la regione più all’avanguardia in Italia nella cura di questi disturbi.
La sfida, ancor più dopo la pandemia, è quella di comprendere l’influenza che i social media hanno sui disturbi dell’alimentazione e della nutrizione e capire come intervenire: il libro di Dalla Ragione fornisce numeri, evidenze e propone strumenti per capire il fenomeno dei social media e della loro influenza sull’immagine corporea, e quindi sui disturbi dell’alimentazione e della nutrizione, a coloro che sono a contatto con gli adolescenti, che siano essi terapeuti, ma anche insegnanti, genitori o allenatori sportivi. Non possiamo non guardare allo sviluppo della comunicazione digitale e all’uso dei social media come un fatto che cambia profondamente il modo in cui interagiamo gli uni con gli altri: non siamo ancora in grado di quantificarlo, ma questo cambiamento ha sicuramente un impatto sullo sviluppo dei disturbi mentali, incide sui numeri della depressione, sulla nostra capacità di empatia verso gli altri. “Sembra che il crescente utilizzo dei social media abbia un aspetto problematico, vale a dire che i giovani interagiscono sempre più tra loro tramite immagini”, spiega Thomas Fuchs, psichiatra e filosofo, della University of Heidelberg in Germania. “Queste immagini sono una sorta di alienazione dall’interazione primaria perché ci vediamo sempre come un’immagine, vediamo sempre l’immagine del corpo”. Usiamo i social media per aumentare il nostro numero di contatti sociali, ma la quantità del contatto sociale è inversamente proporzionale alla sua qualità in sostanza. Thomas Fuchs in questa intervista video ci parla di come l’interazione con gli altri passi soprattutto attraverso le immagini.
La scuola è ancora un osservatorio importante
La candida riflessione di Raimo con cui abbiamo aperto, ha raccolto molti commenti, utili ad ampliare lo sguardo. Leggerli ha significato cogliere un aspetto altro. Scrive Roberta Gado nei commenti: “una grande maggioranza in fortissimo disagio, demotivazione e dissociazione da un lato, e una ristretta minoranza che è molto avanti, così avanti che si trova a disagio anche con la generazione antecedente per il motivo opposto”. E ancora Giulio Ma ben sintetizza alcune delle responsabilità collettive: “Insegno in uno scientifico di Roma. Confermo. Ma, almeno credo, non c’è tanto da stupirsi nel dare la colpa alla pandemia. Il disagio psicologico è solo la conseguenza del livello di competizione che vivono quotidianamente. Basta farsi due chiacchiere con quelli che non hanno problemi per capire che spesso sono quelli che interiorizzano meglio – cioè facendosi meno domande e problemi – l’esigenza di essere i primi a tutti i costi per trovare un lavoro. D’altra parte le famiglie ormai stanno attaccate al registro elettronico come se fosse un videogioco, ed è questo l’unico messaggio che gli passano. A volte sembra che hanno fatto figli pensando di fare un investimento in borsa. Mi piacerebbe pensare che la scuola è un argine a tutto questo, ma la verità è che non è così, come docenti il più delle volte subiamo e replichiamo questo clima, con conseguenze negative anche per la nostra di salute. Se dovessi fare previsioni, nei prossimi anni peggiorerà, andando sempre di più verso un modello che di fatto è un ibrido pubblico/privato”.
Una risposta interessante arriva proprio dai ragazzi e dalle ragazze. Ne ha parlato Andrea Capocci, giornalista de Il Manifesto e docente di Matematica e Fisica in un liceo romano, che scrive su Twitter che “del malessere mentale dei giovani si parla anche al bar. Ma, appunto, se ne parla e basta. Così gli studenti fanno da soli: raccolgono i dati e propongono leggi. Che la politica, almeno, ci metta una firma dopo tanta inerzia”.
Il progetto “Chiedimi come sto. Gli studenti al tempo della pandemia” della Rete degli studenti medi e l’Unione degli universitari ha raccolto i dati sul disagio mentale tra i giovani (30.000 mila tra studenti delle superiori e universitari) ed è interessante leggerli: “Il 59 per cento riferisce di soffrire d’ansia, il 57 per cento di solitudine, oltre il 70 per cento denuncia noia e demotivazione. Il 28 per cento del campione ha dichiarato disturbi alimentari come bulimia e anoressia. Il 15,5 per cento ha conosciuto l’autolesionismo. Eppure la risposta messa in campo dal governo è debole e escludente”. Dagli studenti arriva anche una proposta di legge per istituire un servizio di assistenza psicologica, psicoterapeutica e di counseling scolastico per prevenire i fenomeni di disagio giovanile, di abbandono e di dispersione scolastica. Ne parlavo con mia figlia, che frequenta un buon liceo scientifico romano, a scuola avranno uno sportello di ascolto, disponibile da aprile una volta al mese per due ore, se ipotizziamo che ciascuno possa usare il servizio per mezz’ora, quattro studenti (in totale solo più di 1300) potranno usufruirne. Una goccia davvero piccola, preziosa per carità, in mezzo a questo mare agitato.