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Photo by Joshua Zader / CC BY

Chi sostiene il servizio sanitario?


Sofferente di malattia di Lyme, a lungo non diagnosticata. Di fatto, non è stato salvato dalla medicina ma del padre, che non ha mai perso la speranza che il figlio ce la facesse. Ora assiste la madre, sofferente di una grave malattia. Lui è Scott Williams: in una Ted Talk registrata a Darmstadt lo scorso novembre ha tessuto l’elogio dei carers: le persone che si prendono cura di chi ha bisogno per problemi di salute fisica o psichica.

Sono loro che sostengono la sanità, dice Williams. La spina dorsale invisibile e non retribuita del servizio sanitario nazionale. Competenti professionalmente anche più del malato stesso e, talvolta, in misura paragonabile a quella di un medico specialista. Dediti al supporto anche a costo di rimetterci in termini di fatica fisica, stress emotivo e tossicità finanziaria. Un neologismo, quest’ultimo, che è il risultato diretto dell’evolversi delle cure di diverse malattie, in primo luogo quelle oncologiche.

Quando abbiamo messo insieme 16 sperimentazioni condotte tra il 1999 e il 2015 con persone affette da tumori del polmone, della mammella o dell’ovaio e ci siamo interrogati sui problemi economici – spiegano Franco Perrone e Ciro Gallo, dell’università di Napolino, non ce lo aspettavamo. In tutto, 3760 pazienti, a cui era stato proposto un questionario per la valutazione della qualità di vita (EORTC-C30) che alla domanda 28 recita: «Nell’ultima settimana, la malattia o il suo trattamento le hanno provocato difficoltà economiche?» Le risposte possibili sono quattro: la migliore è per nulla e la peggiore è moltissimo. In mezzo, ci sono un po’ e abbastanza. Al primo questionario, prima di iniziare la terapia, il 26% dei pazienti segnala difficoltà economiche di grado variabile“.*

Le difficoltà economiche del malato procedono in parallelo a quelle del caregiver: “E chi ha difficoltà economiche – proseguono i due ricercatori napoletani – ha un rischio di peggioramento della qualità della vita nei successivi 3-4 mesi più alto del 35 per cento rispetto a chi non ne ha. È meno banale di quanto sembri, perché non vuol dire che la qualità di vita è peggiore se sono più povero, ma che se ho problemi economici il trattamento ha meno probabilità di migliorarmi la qualità di vita. Ma c’è di peggio. I questionari venivano proposti ai pazienti più o meno prima di ogni ciclo di terapia, e abbiamo operativamente definito come tossicità finanziaria il peggiorare della risposta alla domanda 28 nel corso dello studio, cioè nei 3-4 mesi successivi all’inizio della terapia. Con questa definizione, il 22 per cento dei pazienti ha tossicità finanziaria. E questi pazienti hanno un rischio di morte nei mesi e anni successivi del 20 per cento più alto rispetto agli altri. E tutto questo resta vero nonostante numerose analisi di sensitivity”.

Ci sono 100 milioni di persone, in Europa, che svolgono quotidianamente il compito di caregiver. Dall’Australia giungono, poi, dati sorprendenti: solo per l’assistenza nell’ambito della salute mentale il costo stimato delle prestazioni dei caregiver sarebbe di circa 13,2 miliardi di dollari australiani. Praticamente il doppio di quanto non spenda – o investa – il governo australiano per lo stesso scopo.

Scott Williams descrive una situazione critica: allo svolgimento della funzione di caregiver si associa spesso la perdita del lavoro e una sofferenza profonda nel nucleo familiare personale, trascurato a vantaggio della persona “curata”. Una realtà drammatica, propria di sistemi sociali e sanitari dove la persona è solo relativamente tutelata. Ma, anche se nel nostro Paese dovremmo aspettarci un quadro diverso, il peso della malattia si traduce quasi inevitabilmente in un disagio economico e sociale che può compromettere la guarigione o la riabilitazione. “Non ce lo aspettavamo”, ammettono Perrone e Gallo. “In Italia c’è il Servizio sanitario nazionale e ci auguravamo che (a) i pazienti presi in carico da una struttura pubblica non andassero incontro a tossicità finanziaria (o ci andassero solo in una piccola percentuale, meno del 22% che troviamo), anche perché a nessuno dei nostri pazienti è stato chiesto di pagare neanche un euro per i farmaci antineoplastici; e (b) che seppure qualcuno potesse avere contraccolpi economici, questi non fossero associati a differenze significative nei risultati del trattamento. Non è andata come ci auguravamo, ma a mente fredda la riflessione da fare è un’altra: che fortuna che in Italia c’è il SSN. È probabilmente grazie a questo che parliamo di un aumento del rischio di morte del 20 per cento, non dell’80 per cento come negli Stati Uniti. Lunga vita al SSN”.

La talk di Williams si conclude con l’esortazione a guardarsi intorno e ad abbracciare un caregiver: “Let’s care more”. Una conclusione ad effetto, che rischia però di apparire retorica.

Qui il video del TED Talk.

* Perrone F, Gallo C. Le dolenti note. La tossicità finanziaria del paziente oncologico. Recenti Prog Med 2016;107:619-21.