L’8 ottobre del 2021 l’astronauta Thomas Pesquet si è sottoposto a una visita di controllo con il chirurgo di volo della NASA Josef Schmid. Un normale colloquio clinico, con i due posti l’uno di fronte all’altro e conclusosi con una cordiale stretta di mano. Niente di strano, insomma. E invece la visita in questione aveva una caratteristica peculiare: medico e paziente non si trovavano nella stessa stanza ma a centinaia di kilometri di distanza, uno sulla Terra e l’altro a bordo della Stazione spaziale internazionale. Quello che l’astronauta francese vedeva di fronte a lui non era infatti il Dr. Schmid in carne e ossa ma il suo ologramma teletrasportato nello spazio dagli Stati Uniti.

Josef Schimd nella ISS – Credits: ESA (European Space Agency) astronaut Thomas Pesquet
La tecnologia in questione – denominata “olotrasporto” (in inglese “holotransportation”) dall’azienda che ha sviluppato il visore necessario a vedere l’ologramma – è un assaggio delle possibili applicazioni del metaverso in ambito medico. Ma in cosa consiste questo orizzonte tecnologico di cui tanto si parla? Per metaverso si intende uno spazio digitale tridimensionale in cui le persone possono (o potranno) interagire tra loro e avere esperienze che mimano quelle della vita reale grazie all’utilizzo di visori per la realtà virtuale o aumentata e, spesso, all’implementazione di algoritmi di intelligenza artificiale. Il termine, inventato dall’autore di fantascienza Neal Stephenson nel suo romanzo Snow Crash, è tornato alla ribalta un anno fa, quando Mark Zuckerberg ha annunciato ingenti investimenti nell’ambito della realtà virtuale e il cambio di nome della sua società da Facebook a Meta. Le prime applicazioni del metaverso hanno interessato settori quali il business, la moda e lo sport, ma sono state proposte anche diverse soluzioni nell’ambito dell’assistenza sanitaria, ora più che mai sensibile a questo tipo di tecnologie. Un gruppo di ricerca della Zhongshan Hospital Fudan University di Shanghai, uno dei più attivi nel settore, ha addirittura proposto il 2022 come l’anno del “metaverso in medicina”. La pandemia di covid-19 ha infatti dato un enorme impulso al settore della telemedicina, favorendo lo sviluppo e l’adozione di tecnologie innovative utili a erogare servizi sanitari a distanza. Bisogna però ricordare che, per essere considerate un valore, anche questo tipo di applicazioni dovrà superare il vaglio della sperimentazione clinica, utile a dimostrare la loro efficacia, in termini di benefici per i pazienti e i servizi sanitari, e sicurezza. Non mancano preoccupazioni, poi, per quanto riguarda la reale applicabilità di queste tecnologie, la quale comporta diverse sfide in termini di risorse e privacy.
Quali sono le possibili applicazioni del metaverso in ambito sanitario?
Facciamo qualche esempio. Un primo obiettivo potrebbe essere quello di “potenziare” i colloqui clinici, come nel caso dell’astronauta Thomas Pesquet. Questa possibilità prevede un’evoluzione delle visite in video-conferenza, già ampiamente utilizzate in alcuni contesti clinici, attraverso l’implementazione di tecnologie di realtà virtuale e algoritmi di intelligenza artificiale. Medico e paziente, dotati di dispositivi portatili e/o di un visore ad hoc, potrebbero quindi interagire in uno spazio digitale tridimensionale contando su una serie di dati clinici raccolti ed elaborati in tempo reale. Almeno idealmente, un approccio di questo tipo potrebbe portare a un’ulteriore evoluzione della telemedicina a beneficio dei pazienti che vivono in aree rurali o delle persone con disabilità motorie.
Una seconda possibile applicazione del metaverso in ambito medico riguarda invece gli interventi chirurgici. Partendo dall’ampio ricorso a robot chirurgici – spesso già dotati di tecnologie di realtà virtuale o aumentata, tecniche di imaging avanzato e algoritmi intelligenza artificiale – in futuro potrebbe essere possibile navigare in dettaglio e in tempo reale le strutture anatomiche dei pazienti sottoposti a un’operazione. Grazie all’impiego di visori e altre tecnologie i chirurghi migliori potrebbero quindi “entrare” in una sala operatoria digitale tridimensionale e operare pazienti localizzati a grandi distanze.
Questi interventi, poi, potrebbero essere seguiti in streaming da altri chirurghi localizzati in tutto il mondo, i quali potranno quindi formarsi sulle procedure da remoto. Nel 2021 il Seoul National University Hospital ha creato un ambiente digitale basato sull’integrazione delle tecnologie già oggi disponibili in una sala operatoria “smart” e quelle del metaverso, e lo ha utilizzato per istruire 200 chirurgi toracici provenienti da diversi Paesi su alcune procedure utilizzate nel trattamento del tumore del polmone. Grazie a un visore per la realtà virtuale, infatti, i chirurghi in formazione hanno potuto assistere, in tempo reale e con una visuale a 360°, a tutte le fasi dell’intervento.
L’educazione è infatti un altro ambito in cui il metaverso potrebbe rivelarsi utile. Le applicazioni della realtà virtuale o aumentata potrebbero rendere possibili protocolli educativi immersivi, con gli studenti in grado di “entrare” all’interno di corpi e organi digitali per comprenderne meglio struttura e funzionamento. Lo stesso, idealmente, potrebbe essere fatto dai pazienti, i quali potrebbero “navigare” il proprio organismo per comprendere meglio i loro problemi e prendere parte attiva alla discussione sulle scelte terapeutiche. La possibilità di estendere tali programmi formativi a un pubblico potenzialmente illimitato in termini numerici e geografici potrebbe permettere una maggiore diffusione delle pratiche basate sulle evidenze scientifiche, contribuendo a ridurre la variabilità delle cure e favorendo l’accesso a interventi di efficacia dimostrata.
Un metaverso pieno di insidie
L’ipotesi di utilizzare il metaverso per garantire una migliore assistenza sanitaria non è priva di insidie. Una prima grande preoccupazione riguarda la privacy dei pazienti in quanto una possibile falla nei sistemi di sicurezza informatica potrebbe portare al furto di dati sensibili. Si sta quindi valutando la possibilità di trasmettere i dati sensibili attraverso NFT (in inglese non-fungible tokens): certificati digitali di autenticità basati su sistemi di blockchain. In questo modo i pazienti potrebbero sempre disporre di tutte le informazioni relative alla propria salute immagazzinate in un unico NFT a cui solo loro e i loro medici avrebbero accesso. Una possibilità, questa, che richiederebbe però un immenso lavoro di ricerca e costruzione di un rapporto di fiducia con la cittadinanza, specie in un contesto che vede protagonisti soprattutto organizzazioni private e grandi multinazionali.
Infine è evidente che l’implementazione delle possibili applicazioni del metaverso in ambito sanitario richiederanno tecnologie all’avanguardia dal costo non trascurabile. Visori per la realtà virtuale di ultima generazione, sistemi wireless di misurazione dei parametri fisiologici e connessioni internet in grado di trasferire enormi quantità di dati in tempo reale dovrebbero diventare la norma. Non si può non considerare, quindi, che nonostante alcune applicazioni del metaverso in medicina risulterebbero particolarmente utili in contesti svantaggiati – come ad esempio nelle aree rurali ed economicamente meno sviluppate – verosimilmente tali innovazioni andrebbero a vantaggio, almeno in una prima fase, delle popolazioni che già godono di un’assistenza sanitaria di elevata qualità.
In ultimo non si possono non considerare i limiti di un’assistenza sanitaria erogata esclusivamente a distanza. Il contatto fisico è spesso un elemento centrale delle visite mediche, difficilmente riproducibile (almeno per il momento) in forma digitale. Inoltre un approccio basato sulla telemedicina potrebbe ridimensionare l’importanza del rapporto tra medico e paziente, elemento centrale, ad esempio, nell’ambito della medicina generale e territoriale. Le possibili applicazioni del metaverso in ambito medico sono quindi diverse e potenzialmente in grado di portare dei benefici significativi per operatori e pazienti. Queste dovrebbero però essere sempre finalizzate, almeno in prospettiva, a risolvere problemi clinici e organizzativi reali.